
Cinema
Garofano Rosso Film Festival 2025: intervista alla direttrice artistica Valentina Traini
Il desiderio più grande è che il festival resti fedele alla sua natura, senza inseguire tendenze o piegarsi a determinate logiche
Si è chiusa ieri la quinta edizione del Garofano Rosso Film Festival, il festival che dal 1 al 7 settembre ha tinto di rosso, con una suggestiva scenografia, gli scorci del borgo di Forme di Massa d’Albe, in Abruzzo.
Organizzato dall’associazione CinemAbruzzo e patrocinio del Parlamento Europeo, a conferma del suo valore culturale e della sua vocazione internazionale, il Garofano Rosso ha visto susseguirsi proiezioni, talk e mostre a cielo aperto. A raccontarci, nell’intervista che segue, le novità di quest’anno, portandoci nel dietro le quinte di un evento tanto intenso quanto ricco di temi, è la sua direttrice artistica, Valentina Traini.
Hai definito il festival un “atto di resistenza culturale”. Cosa significa per te oggi fare resistenza attraverso il cinema, e perché hai scelto di farlo proprio nei borghi degli Appennini?
Oggi la cultura viene troppo spesso ridotta a semplice intrattenimento, soprattutto nelle province italiane. Parlare di “resistenza culturale” significa allora riaffermare che il cinema può ancora essere uno strumento di pensiero, di libertà e di trasformazione. Le aree interne dell’Appennino sono il luogo ideale per questo lavoro: territori marginalizzati e segnati dallo spopolamento, ma allo stesso tempo custodi di memoria e, a volte, di una vitalità sorprendente. E poi sono la nostra casa: non c’è soddisfazione più grande che poter restare, e vivere di cultura, nella propria terra.
Il Garofano Rosso si distingue per la centralità data alla marginalità. Perché hai scelto di fare del “margine” il cuore del festival?
Credo che sia proprio dai margini, dai confini, che arrivino le narrazioni più radicali e autentiche. I margini sono “luoghi” pieni di vita, di conflitto, di immaginazione. Il Garofano Rosso non vuole semplicemente “includere” chi è escluso, ma ribaltare la prospettiva: mettere al centro chi viene lasciato ai bordi, valorizzare ciò che normalmente viene silenziato o oscurato.
L’edizione 2025 vede il debutto della sezione Supernovae, dedicata ai registi under 35. Quali obiettivi vi siete posti con questa nuova sezione? E come nasce la selezione delle opere?
Il nome Supernovae è un omaggio giocoso ai Super Rookies del manga One Piece – quei pirati che, pur essendo ancora “rookie”, riescono ad acquisire una notorietà esplosiva, attirando l’attenzione del mondo intero in un lampo. Nel nostro caso, i “rookie” sono registi under 35 che emergono con forza: esattamente come nella storia, le Supernovae sono quelle stelle che brillano così intensamente da farsi finalmente notare. Questo spazio nasce quindi dal desiderio di offrire spazio e visibilità a quei giovani registi che troppo spesso restano appunto ai margini per mancanza di risorse, contatti o opportunità nei circuiti istituzionali. Vogliamo intercettare linguaggi nuovi, voci autentiche, urgenze espressive che ancora non hanno avuto accesso a palchi più grandi, e dare a queste opere un palco concreto per “esplodere”.
In un’epoca in cui i festival spesso rincorrono la visibilità e il glamour, voi invece puntate sull’autenticità e sull’incontro umano. Quanto è difficile oggi portare avanti una scelta così controcorrente?
È difficile, perché significa rinunciare a una certa immediatezza di riconoscimento e visibilità. Ma allo stesso tempo è liberatorio: ci permette di restare fedeli alla nostra vocazione e di costruire relazioni vere, non solo apparenti. Crediamo che il pubblico, ma soprattutto gli autori ospiti, percepiscano questa differenza: chi arriva al Garofano Rosso non cerca luci artificiali, ma uno spazio di condivisione sincera. E questo ci ripaga di ogni fatica.
Il tuo sguardo come direttrice artistica costruisce un vero e proprio “mosaico di visioni”, come raccontano le otto sezioni tematiche del festival. Ce n’è una che senti particolarmente vicina? E perché?
Tutte le sezioni mi appartengono, perché ognuna è un tassello necessario a comporre l’immagine complessiva. Ma se dovessi sceglierne una, direi Afterword, quella che affronta il tema della morte, della perdita e del lutto. Viviamo in una società che tende a rimuovere questi temi, a considerarli scomodi, privati, da tenere nascosti. Io credo invece che sia fondamentale parlarne pubblicamente, proprio per rompere il tabù e creare spazi di condivisione in cui il dolore possa trasformarsi in consapevolezza collettiva. In questo senso Afterword non è solo una sezione del festival, ma un invito ad affrontare ciò che normalmente cerchiamo di evitare.
La comunità locale sembra avere un ruolo centrale nel festival, non solo come spettatrice ma come protagonista. Come lavorate per creare questo senso di appartenenza e coinvolgimento?
Non arriviamo nei paesi come ospiti esterni che portano “la cultura dall’alto”. Questo è il territorio in cui viviamo tutto l’anno, e il festival nasce da un processo graduale di conoscenza reciproca e di acquisizione di consapevolezza, sia da parte nostra che della comunità. In questo modo non è percepito come un evento calato dall’esterno, ma come un percorso condiviso in cui la comunità diventa parte attiva e riconosce in quel cinema anche un pezzo della propria identità.
Il programma 2025 è ricco anche di eventi collaterali che spaziano dalla letteratura alla musica, dalla memoria alla poesia performativa. Come nasce l’idea di un festival così interdisciplinare?
Nasce dalla convinzione che il cinema non viva in una bolla, ma dialoghi naturalmente con altre forme artistiche e con la vita stessa. Volevamo un festival che fosse un’esperienza immersiva capace di intrecciare linguaggi diversi. La letteratura, la musica, la poesia ampliano lo sguardo, permettono di costruire ponti e di far incontrare pubblici differenti. È un modo per contaminare e arricchire il cinema stesso.
Guardando al futuro, quali sono i desideri e le sfide che senti più urgenti per il Garofano Rosso?
Il desiderio più grande è che il festival resti fedele alla sua natura, senza inseguire tendenze o piegarsi a determinate logiche. Le sfide sono molte: continuare a resistere in un contesto di precarietà economica, mantenere l’accesso libero e gratuito, ampliare le reti di collaborazione internazionali senza perdere il radicamento locale. E soprattutto, continuare a fare del Garofano Rosso un luogo dove ci si possa ri-conoscere e emozionare.
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