Cinema
Nanni Moretti al cinema Sacher
Il cinema Nuovo Sacher proietta film d’autore e rassegne cinematografiche. In questi giorni è in corso la rassegna “tuttomoretti”, i cui film sono preceduti da una corposa presentazione di Nanni Moretti.
A Trastevere, a due passi da Porta Portese, si trova il cinema Nuovo Sacher, di proprietà della Sacher Film, la casa di produzione di Nanni Moretti. Il cinema si trova all’ingresso di uno dei quartiere più famosi e caratteristici di Roma. Mentre altri cinema rinascono, il Sacher resiste proiettando film d’autore e rassegne cinematografiche. In questi giorni è in corso la rassegna “tuttomoretti”.
La rassegna “tuttomoretti”
La rassegna ripercorre l’intera carriera del regista, che qui ovviamente gioca in casa. Alcune proiezioni sono anticipate da presentazioni di Nanni Moretti, definite “corpose”. Capisco allora che è la volta buona di esaudire il mio vecchio desiderio di recarmi in questo cinema. Il Sacher mi affascina da quando ci passai di fronte, un giorno che trascorsi mezza giornata a Trastevere, mentre tornavo in Toscana dopo un viaggio a sud, ormai tanti anni fa.
Così, ci rechiamo in un cinema affollato di una domenica di maggio. La presentazione è davvero “corposa”, un monologo interminabile, che parte dal film che stiamo per vedere, “Ecce bombo”, per parlare di tutt’altro.
Moretti tiene un discorso affascinante, lungo, disconnesso, pieno di salti, tic e versi con la bocca, proprio come i personaggi dei suoi film. Tiene in mano un po’ di appunti confusi, che a un certo punto gira con un sorriso smagliante, gridando “Pagina… 2!”.
Il regista si autocelebra con leggerezza e autoironia, rimarcando tutti i suoi difetti in una maniera così naturale da sembrare fiabesca. E’ un talento che hanno pochissimi autori, solo i più geniali. Ci accompagna così in un viaggio dentro un film che ha ormai quasi cinquanta anni e Nanni Moretti chiede al pubblico di essere indulgente. Ma non ce n’è bisogno. Lo stile e la trama di “Ecce bombo” sono forse acqua passata, ma rimane un capolavoro.
Non mi pare possibile riassumere il discorso senza snaturarlo, ci sono troppi passaggi interessanti, importanti e ironici. Come una lezione sul cinema e sulla vita. Non posso che provare a riportarlo quasi fedelmente, passando alla prima persona. Non è breve, ma credo che ogni passaggio abbia valore.
Dal cinema indipendente alla produzione
“Nel 1974, ero all’avanguardia perché avevo costituito un gruppo di autocoscienza maschile, dove gli uomini si interrogavano sul loro rapporto con le donne. Il gruppo non durò più di tre mesi, ma “Ecce bombo” ne fa la parodia. Il film usci al cinema Etoile l’8 marzo 1978, per traslocare poco dopo, dando spazio a un film di Pasqua con Enrico Montesano, “Le braghe del padrone”. Sì, all’epoca non c’erano solo il film di Natale. Oggi, al posto di quel cinema, c’è un negozio Louis Vuitton.
Questo è il mio secondo lungometraggio, ma il primo all’interno dell’industria cinematografica. Lo realizzai a basso costo con una pellicola da 16 mm per risparmiare e poi lo gonfiammo in 35 mm. Per questo, ha un effetto un po’ sgranato. Non sono stato l’unico regista che ha iniziato con i film indipendenti, girati in Super 8, per poi passare a una produzione vera e propria.
In questo passaggio da un pubblico d’élite a un pubblico di massa, altri si sarebbero snaturati, avrebbero segato la propria personalità. Avrebbero detto e fatto ciò che gli chiedevano i produttori, perché il pubblico ha bisogno di una trama lineare, di un certo tipo di comicità, di alcuni attori precisi, etc.
Invece, io non ho cambiato lo stile e il tipo di comicità. “Ecce bombo” ricordava “Io sono un autarchico”, il mio primo film fatto in casa. Non sono andato verso i presunti gusti del pubblico, perché i peggiori delitti cinematografici sono stati fatti in nome del pubblico, ma ogni tanto il pubblico regala sorprese.
Gli attori
Come protagonisti, ho utilizzato gli amici del film precedente, anche non attori professionisti come il giornalista Paolo Zaccagnini. Ho amalgamato amici ad attori di teatro. All’epoca, c’era una netta divisione tra teatro e cinema. Ma anche chi faceva sceneggiati televisivi non veniva chiamato a recitare per il cinema.
Ero molto amico del regista Peter del Monte, che aveva girato solo il film “Irene, Irene”. Il film era stradoppiato. Lui mi invitò a registrare l’audio in presa diretta e aveva ragione. All’epoca, non si facevano più film in presa diretta. Ma, pochi mesi prima, Giuseppe Bertolucci girò così “Berlinguer ti voglio bene”. Sarebbe stato infatti un delitto doppiare Roberto Benigni. Così, i registi hanno ricominciato a girare in presa diretta ed è stato un successo.
Non esistevano neanche figure come il location manager e i casting. C’erano solo due fotografi che facevano foto in bianco e nero 18×24 cm con le facce degli attori. Uno dei fotogradi aveva l’abitudine di fotografare sempre le attrici davanti a un pagliaio. Ora è facile, ci sono provini e auto provini. Un giorno, feci vedere a Peter del Monte le foto delle attrici. Quando vide Cristina Manni, lui disse che era una faccia per il mio cinema. Presi così questa ragazza che non ha più fatto l’attrice, ma le frasi e il personaggio sono rimaste un cult, grazie alla scena “faccio cose, vedo gente”.
Avevo un rapporto particolare con gli attori. Mio padre era un professore di epigrafia greca all’università e io lo costringevo a fare una parte in ogni film. Invece, Lina Sastri interpretava la ragazza schizofrenica e voleva conoscere meglio la storia, voleva sapere perché il suo personaggio stava male. Ma per me era solo una pedina, a cui dicevo cosa fare. Oggi ho molta più empatia con i miei attori.
La tecnica
La mia esperienza di spettatore ha sempre influenzato il mio lavoro di regista. C’erano due grandi filoni di cinema italiano negli anni ‘70: quello politico di Elio Petri e d Francesco Rosi da una parte e la commedia all’italiana dall’altra. Ma, come spettatore non mi sentivo vicino a nessuno dei due. Ero legato al cinema d’autore anni ’60, alla Nouvelle Vague francese, ai primi film di Roman Polanski in Polonia, al Free Cinema inglese e in Italia ai fratelli Taviani, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Ermanno Olmi, etc.
Questi registi sono diventati popolari col tempo e avevano la caratteristica di trattare argomenti importanti mentre si interrogavano sul cinema. Rifiutavano il vecchio cinema e la società di quegli anni. Prefiguravano un cinema diverso e una società nuova, fatta di nuove relazioni tra le persone. Mi piacevano molto i fratelli Taviani, che usavano la macchina fissa.
Anch’io ho utilizzato la macchina fissa, anche se a volte l’ho fatto con rigidità, come inchiodandola sul cavalletto. Forse volevo ricordare al pubblico che non stava assistendo alla realtà, ma a una sua rappresentazione. Cercavo così un pubblico più attivo e adulto, che non si limitasse a fare il tifo tra buoni e cattivi.
Il successo
Non mi aspettavo il successo di “Ecce bombo”. Ricordo una proiezione privata in cui eravamo solo quattro persone. Il produttore, Maurizio Gallo, mi disse che era affezionato al film, come ai figli più problematici. Pensavo di aver fatto un film doloroso per pochi e scoprii di aver fatto un film comico per tutti. Il mio personaggio non era simpatico, e forse non lo è neanche la mia persona.
Il film, una volta uscito nelle sale, non è del regista ma del pubblico. E la gente voleva ridere. Nella scena in cui si dice che la ragazza è schizofrenica, la gente rideva. Ma non c’è niente da ridere, è una scena tragica. Dopo tanti anni, il film continua a parlare anche a un pubblico giovane, diversissimo dalla nostra gioventù degli anni ‘60. E continuano a ridere.
Mostravo una fettina piccola di realtà, molto parziale, non rappresentativa della società e neanche della gioventù. Rappresentavo un quartiere preciso di Roma nord (il quartiere Mazzini) e le persone di estrema sinistra rimaste deluse dai gruppi extraparlamentari, perché quest’ultimi si limitavano a riprendere gli schemi della sinistra tradizionale. Eravamo delusi da quel modo di fare politica vecchio. Più tardi, solo il femminismo sarebbe stato rivoluzionario.
Malgrado fossimo una piccolissima minoranza, il film uscì, piacque e mi accorsi che si immedesimavano persone lontanissime generazionalmente, socialmente e politicamente.
Solo di fronte alla scena in cui urlo “Ve lo meritate Alberto Sordi!” tutti ammutolivano, come se avessi bestemmiato in chiesa. Si scatenava il gelo in sala, anche per il pubblico più giovane e ridanciano.
Il contesto
Probabilmente, la gente percepiva la mia generazione come grigia e ideologica, incapace di ridere di sé stessa. Non criticavamo noi stessi perché la destra avrebbe potuto strumentalizzare quelle critiche. Inoltre, era in vigore la politica stalinista della doppia verità. Tra di noi ci si poteva dire cosa non andava, ma in pubblico dovevamo essere granitici a sostegno degli ideali. Io però volevo lavare i panni sporchi in pubblico.
Il periodo di uscita di “Ecce bombo” coincise con il sequestro di Aldo Moro, perché mentre noi facevamo cinema, altri giovani si vollero inventare una guerra che non c’era. Il film usciva a Genova il 16 marzo e io dovevo arrivare in città in mattinata. Presi il treno da Roma e sbagliai fermata, scendendo alla stazione di Piazza Principe, anziché Brignole. Sentii un altoparlante chiamare il mio nome e andai al telefono. Loro mi dissero che non poter venirmi a prendere perché sapevo cos’era successo. Ero in treno e non c’erano cellulari, ma risposi comunque di sì, anche se non sapevo niente. Mi dissero di prendere il taxi.
Il tassista mi portò in piazza de Ferrari e disse di non poter continuare, perché sapevo quel che era successo. Mi trovai allora in mezzo a una grande manifestazione dove PCI e DC sfilavano insieme. Una situazione assurda, perché c’era stata la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro. Ancora oggi mi interessa molto quella storia, ho seguito con passione la cinematografia al riguardo, specie i film e la serie di Marco Bellocchio. Personalmente, ero per la trattativa.
Conclusione
La casa che si vede nel film è casa mia, ovvero quella dei miei genitori. Me ne andai di casa tardissimo per quel tempo, a 29 anni, dopo aver girato “Sogni d’oro”, il mio terzo film. E poi, per lo stress, ci tornai a mangiare e dormire durante le riprese sia di “Bianca” che de “La messa è finita”.
Non so se leggerlo o meno, ma ho chiesto all’intelligenza artificiale di scrivere un dialogo di Nanni Moretti e in due secondi mi ha dato un risultato. Vabbè ve lo leggo, ma questa intelligenza artificiale deve fare ancora tanta gavetta.”
Nanni Moretti legge allora una piccola scena in un caffè romano, dove un regista chiede a un barista se possa essere considerato un intellettuale. L’intelligenza artificiale prova a ricreare una scena ironica, ma il regista non appare tanto convinto del risultato.
Mentre se ne sta andando, Nanni Moretti si ferma un secondo per ammettere che non amava quando i critici dicevano che sapeva raccontare la sua generazione. Anzi, si offendeva, perché voleva che si concentrassero sul suo modo di fare cinema. Oggi ci ha ripensato e ritiene che sia stato un onore riuscire a raccontare anche gli altri.
Non poteva esserci conclusione migliore, prima di rivedere quel capolavoro di “Ecce bombo”.
FOTO DI HUA WANG
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