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Cinema

Quarant’anni di ‘Vacanze di Natale’. L’eterno ritorno

di Gianluca Angelini
5 Gennaio 2024

Nel 1983, mentre ai botteghini americani ‘sbancava’ ‘Una poltrona per due’ – divenuta una pellicola di culto anche da noi con l’immancabile passaggio televisivo del 24 dicembre – da queste parti nelle sale, a garantire il ‘sold out’, era ‘Vacanze di Natale’. Film firmato da Carlo Vanzina e divenuto, a suo modo, una pietra miliare – se non della cinematografia nazionale – del costume italico. Su cui – incredibilmente – riflettere e dibattere. Già, perchè a quarant’anni di distanza dal debutto, l’opera Vanziniana, in versione restaurata e rimasterizzata, si è tolta lo sfizio – lo scorso 30 dicembre – di incassare 500.000 euro in un solo giorno di programmazione, strappare un’altra giornata di proiezioni, prevista il 6 gennaio e spingere la penna del New York Times, Jason Horowitz, a dedicarle un ritratto – seppure al vetriolo – indicativo di quanto abbia inciso sulla società italiana. D’altronde quelle immagini sguaiate, le battute grevi – abbinate a una colonna sonora fatta di motivetti che ancora si canticchiano con levità – hanno raccontato, forse con involontaria precisione, l’Italia di allora. Smaniosa di ridere – anche in maniera grossolana e volgare – e un po’ ‘guardona’ dopo la cappa degli ‘Anni di Piombo’ e i lunghi mesi dello stragismo. Segnati, graficamente, da quella infamante copertina dello ‘Spiegel’ con una P38 a guarnire un piatto di spaghetti. Smaniosa di dimostrare a tutti che quella ‘Milano da Bere’ con la sua narrazione, era la copertina di un Paese divenuto la quinta potenza economica planetaria, riscopertosi ‘cool’ – come si direbbe ora – e persino capace di ‘stracciare’, su un campo di calcio, gli dei pallonari di Brasile e Argentina per portarsi a casa il ‘Mundial’, quello dell’82, più bello di sempre. Le figurine portate sullo schermo da Vanzina – i borgatari romani arricchiti che conquistano Cortina d’Ampezzo; il ‘cumenda’ milanese che sfoggia auto da sogno, ‘ganassa’ che sorseggia whisky e elargisce laute mance; l’improbabile cantante di piano bar che rimorchia le clienti dell’hotel di lusso – fanno parte di un immaginario collettivo difficile da scalfire anche perchè, pur ingigantendole, hanno riproposto, più o meno fedelmente le stesse figure che, in carne e ossa, popolavano il Paese in quei tempi densi di edonismo e che ora in tanti sembrano rimpiangere. Le stesse che ammiccavano dagli schermi televisivi con le reti berlusconiane e le tivvù private a imprimere linguaggi – da ‘Drive in’ a ‘Colpo grosso’ – sino ad allora sconosciuti. I frizzi e i lazzi messi in scena da un cast, salvo Stefania Sandrelli, di abbonati a quella che si definiva ‘commedia all’italiana’ – da Jerry Calà a Christian De Sica, da Claudio Amendola a Karina Huff, da Guido Nicheli a Riccardo Garrone, da Mario Brega a Marilù Tolo fino a Antonella Interlenghi – hanno raccontato, manco racchiudessero un trattato di sociologia, le manie e tic degli italiani, le loro aspirazioni, la codardia e il senso del ridicolo spesso, o quasi sempre, perduto. Un racconto, a quanto pare, che – anche a quarant’anni di distanza – non smette di affascinare se un quotidiano come il New York times, con un penna affilata come quella di Horowitz, si sofferma sul capostipite di una serie di pellicole, “mai ritenute adatte al consumo all’estero” e che, attacca, “erano per gli appassionati che amavano una fetta di cultura italiana durante l’edonista e spensierata fine del secolo. Per i critici, però, riflettevano il consumismo e – scandisce – il sessismo da showgirl dell’era Berlusconi che, come un vergognoso segreto, era meglio custodire in famiglia”. Ora, prosegue il giornalista newyorchese, quel film “lo stanno riabilitando come classico di culto che ha elevato a forma d’arte l’amore italiano per il tradimento, per l’umorismo da toilette e per le imprecazioni folcloristiche, per lo scontro tra gli italiani di classe differente”. Parole velenosette. Ma forse veritiere e financo condivisibili. Non fosse che in quegli stessi anni, di là dell’oceano, imperversava la saga di ‘Porky’s’, mistica che avrebbe lasciato il posto, qualche lustro più in là, a quella di ‘American pie’. Altro che De sica e il suo ‘Zartolin, tenga…la mutanda’.

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