Cinema

Unita-Uilcom: “Nello spettacolo pensioni e welfare un miraggio. Nel 2026 rischio crisi sociale”

In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati sindacati e associazioni di interpreti e maestranze chiedono alla politica di agire, citano l’Irlanda e rivendicano: “Facciamo cultura ma anche ritorni economici”.

19 Dicembre 2025

Dietro le sfavillanti immagini di una carriera costellata di red carpet, servizi fotografici e apparizioni televisive una categoria di lavoratori – attori, attrici e lavoratori dello spettacolo – che sperimentano la crisi come tanti altri. E aldilà di un’esigua minoranza di “sopra la linea”, le cosiddette star, sugli altri incombe il paradosso che pur essendo sotto i riflettori le loro condizioni di lavoro e le asperità di un’attività strutturalmente precaria, soggetta alle fluttuazioni dei finanziamenti alla cultura e allo spettacolo, senza ammortizzatori sociali adeguati, regole congrue per andare in pensione, restano invisibili, sepolte sotto una coltre di luoghi comuni: sono ricchi, belli e famosi e poi, si sa, la cultura “non fa PIL”. Così invisibili che di alcuni la politica – è l’aspetto surreale emerso nella conferenza stampa – può persino dimenticarsi che esistono e cancellarli dagli aventi diritto alla pensione.

Sullo sfondo di questa condizione generale si sono abbattuti prima il Covid, poi i perenni ritardi dello Stato nel liquidare i finanziamenti, spingendo le banche a chiudere il rubinetto del credito, infine i ritardi del governo Meloni nel decidere le nuove regole del tax credit e i tagli al fondo cinema, che hanno già bloccato molte produzioni e ridotto drasticamente l’occupazione. E con le regole in arrivo si annunciano tempi ancor più cupi. La denuncia arriva da UNITA, Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo, e UILCOM, i lavoratori delle comunicazioni della UIL, in una conferenza stampa tenutasi ieri presso la Camera dei Deputati.

“Siamo qui”, ha detto Daniela Giordano, presidente di UNITA, nella sua introduzione, per comprendere che cosa è accaduto ai lavoratori dello spettacolo nel 2025 e cosa ci aspetta nel 2026, che si annuncia come l’anno zero per una categoria che in Italia sembra sia considerata più un errore di sistema che un settore di lavoratori degno di di tutele e di regole certe”.

Dopo la minaccia di tagli draconiani, in una ridda di annunci, smentite e controannunci da parte del ministro Giuli (FdI) e della sottosegretaria Borgonzoni (Lega), alla fine la dotazione del fondo cinema dovrebbe assestarsi a 669 milioni, solo 50 meno dell’anno passato. “Ma quei soldi”, precisa Giordano, “non sono mai bastati al cinema italiano, al punto che negli anni lo splafonamento ha causato un buco di un miliardo alle casse dello Stato”. Con le nuove regole in fase di approvazione, il tax credit, dicono i produttori, coprirà solo l’8% dei costi, molti film verranno accantonati e in alcuni casi i set si sposteranno all’estero. Con quale impatto sui lavoratori?

Secondo i dati UNITA nel 2024 un attore di prosa scritturato come lavoratore subordinato ha avuto una media di 44 giornate contributive e compensi lordi per 4.522 euro; un attore di cinema 5,5 giornate per 1.746 euro lordi. Per chi invece lavora a partita IVA il dato si attesta a 21 giornate contributive e 4.334 euro lordi in teatro e 16 giornate e 14.310 euro lordi nel cinema. “Tra questi ultimi”, sottolinea Giordano, “ci sono anche i cosiddetti big, che in questi mesi sono stati presi di mira da una certa politica e da alcuni media e dipinti come ladri di risorse pubbliche”.

Sono cifre che smentiscono i luoghi comuni di vite da favola e al danno si aggiunge la beffa dei requisiti richiesti per accedere agli ammortizzatori sociali e maturare il diritto alla pensione: irraggiungibili. Elaborando i dati precedenti, infatti, UNITA ipotizza che lavorando sia in teatro che al cinema come dipendenti si arriva a una media di 49 giornate l’anno e 6.267 euro lordi; come partita IVA a 37 giornate e 18.644 euro. Ma per accedere all’indennità di discontinuità introdotta dal governo Meloni con la legge 175/2023, che in teoria dovrebbe sostenere i lavoratori dello spettacolo nei periodi in cui non sono sotto contratto, servono almeno 51 giornate di lavoro, mentre le giornate necessarie a maturare un anno di contribuzione pensionistica sono addirittura 90. Risultato: meno del 50% dei lavoratori riesce ad accedervi. “Per questo UNITA chiede una legge che adegui i requisiti e le modalità di calcolo dei contributi previdenziali alle reali condizioni di lavoro e un ammortizzatore che garantisca una sussistenza dignitosa nei periodi tra un contratto e l’altro, come il Basic Income for the Arts introdotto di recente in Irlanda, che garantisce agli artisti un minimo di 325 euro a settimana”. E che, conclude Giordano, “ha fruttato allo Stato irlandese un ritorno di 1,39 euro per ogni euro speso, a dimostrazione che la cultura è anche un investimento”

Allarga il discorso Roberto Corirossi, segreteria nazionale UILCOM, “Si tratta di una condizione che colpisce l’intero settore dello spettacolo e in particolare l’audiovisivo. Qui da tre anni i lavoratori scontano i ritardi del governo nella definizione dei nuovi criteri del tax credit, che ha già bloccato molti set. E con le nuove regole e la riduzione dei fondi i produttori di ANICA e APA prevedono addirittura un blocco completo che spingerebbe migliaia di lavoratori sul lastrico”. UILCOM chiede di ridisegnare il welfare per l’intero settore, “perché con queste premesse nei prossimi anni molti lavoratori non solo non avranno l’indennità di discontinuità, ma neppure la Naspi, concessa in base alle giornate lavorate negli ultimi quattro anni, in cui si è già verificato un drastico calo del lavoro”. Per difendere i lavoratori dello spettacolo UILCOM non esclude di portare in giudizio lo Stato impugnando l’articolo 9 della Costituzione, che promuove lo sviluppo della cultura, perché non si protegge la cultura senza proteggere chi ci lavora.

Marco Bonini, tra i fondatori di UNITA, usa l’ironia: Da attore provo a mettermi nei panni di un esponente del partito di maggioranza, che si chiama Fratelli d’Italia anche se è diretto da due sorelle”. E provo a pensare come fanno loro che il settore della cultura e dello spettacolo sia egemonizzato dalla sinistra e che quindi vada in qualche modo contenuto”. “Ma poi mi chiedo: lo sa il ministro Giuli che sul set ogni 10 attori c’è una troupe di 60-70 persone che votano anche centrodestra? Qui siamo passati dal colpirne uno per educarne 100 a colpirne uno per escluderne 100 che votano anche per loro”.

Federica Murineddu, legale con vent’anni di esperienza a sostegno dei lavoratori dello spettacolo, ritorna sul fatto cheL’articolo 9 della Costituzione tutela la cultura e dunque impone di sovvenzionarla, ma anche che per ogni euro di tax credit lo Stato ha un ritorno del 2,38% e dunque tagliare i fondi, oltre a far levitare i costi del welfare, significa rinunciare a questo surplus”. E sul tema della previdenza, aggiunge, il problema non sono solo le 60 giornate contributive l’anno, troppe, ma anche “l’accanimento dell’INPS e, mi spiace dirlo, della Cassazione contro questi lavoratori”. E cita due casi in cui “è stata negata la pensione senza neanche fornire i conteggi in base ai quali l’INPS ha preso questa decisione”. E dopo le sentenze favorevoli ai due in primo e secondo grado la Cassazione ha stabilito che “nel verificare i requisiti si contano solo le giornate di contribuzione maturate negli anni in cui si raggiunge il numero minimo di giornate previsto dalla legge”.

Tra gli interventi più significativi quelli che collegano i numeri a esperienze concrete. Come fa Bruno Verdirosi, stuntman, “una categoria che sul set rischia la vita, ma non è contemplata nei premi dei festival internazionali”, per cui “quando ti capita, come è successo a me, che un tassista ti ringrazia perché dice che fai delle cose belle, è emozionante”. Accanto agli stuntmen, ancor più invisibili, aiuto-registi, segretari di edizione, attrezzisti, parrucchieri e truccatori, macchinisti ed elettricisti, che, racconta Cinzia Liberati di AIARSE, associazione degli aiuto-registi e dei segretari e segretarie di edizione, ed esponente Uilcom, “Nel 1997 il decreto legislativo 182 collegato alla Riforma Dini ha inserito erroneamente tra i lavoratori la cui attività non è connessa direttamente con la realizzazione di uno spettacolo e a cui quindi per maturare la contribuzione previdenziale sono richieste 260 giornate di lavoro l’anno, un requisito che però per loro è impossibile da raggiungere”. Un errore sanato solo nel 2005, con una legge che ha riclassificato correttamente quei lavoratori ma non ha valore retroattivo, provocando un “buco contributivo”. Spiega Liberati: “Quando facciamo domanda di pensione quegli otto anni ci vengono calcolati col criterio dei 260 giorni, danneggiandoci due volte, perché così si alza l’asticella dell’accesso alla pensione e si incide pure sull’ammontare dell’assegno”.

A qualcuno, però, è andata persino peggio: “Chi ha scritto il decreto”, prosegue Liberati, “si era dimenticato di inserire nelle tabelle i costumisti, che così formalmente sono stati esclusi dagli aventi diritto alla pensione. L’ENPALS, l’ente previdenziale dello spettacolo, per rimediare all’errore della politica, ha dovuto far finta che appartenessero anche loro alla categoria delle 260 giornate l’anno”. ENPALS che, tra parentesi, è confluito nell’INPS nel 2011 con un attivo di 3,4 miliardi di euro, con gli iscritti ex ENPALS che continuano a generare attivi per centinaia di milioni di euro l’anno. Insieme vi era confluito anche l’INPDAP, la cassa del pubblico impiego, che invece aveva un disavanzo di oltre 10 miliardi, dovuto in parte alla riduzione dei dipendenti pubblici, ma in parte al fatto che fino al 1995 le amministrazioni centrali dello Stato non hanno versato alcun contributo e anche dopo il 1996 per anni hanno continuato a versare solo la quota a carico del lavoratore e non quella a carico del datore di lavoro. Tra i tanti paradossi che incombono su questa categoria di lavoratori c’è anche questo. Alla politica – tra i presenti ieri il deputato PD Matteo Orfini – i rappresentati dei lavoratori dello spettacolo chiedono di mettere una pezza agli errori di oggi ma anche a quelli del passato.

(Foto di Benedetta Rescigno)

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