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Festival: a Santarcangelo è tempo di resistenza

“Punire un’istituzione culturale significa colpire e indebolire l’intero ecosistema che le ruota attorno”. Il direttore della rassegna romagnola Tomasz Kirenczuck commenta duramente i tagli della commissione dello spettacolo: da 28,3 nel 2024 si è passati a 14,5 per il 2025

5 Luglio 2025

SANTARCANGELO – Il festival “del nostro scontento” è vivo e dà battaglia contro i tagli orizzontali delle commissioni del ministro Giuli che hanno penalizzato fortemente quella che è la rassegna più antica del contemporaneo. Culla di decine di formazioni, di artisti diventati poi celebri, fucina di scambi e confronti a livello internazionale. Non importa se non si ama o non si condivide la sua linea editoriale, quello che è assolutamente importante è fare in modo che continui a essere un faro di cultura. Il responso del ministero è passato da un punteggio di 28,3, lo scorso anno a un punteggio di 14,5 di questo anno. Cosa mai sarà accaduto nelle more per meritarsi un taglio simile? Insomma non se ne capisce la motivazione. Ma insomma, ‘sti membri paludati delle commissioni si può sapere chi sono? Cosa fanno? Come si informano sui teatri e sui festival? E, soprattutto, come arrivano a formulare i loro giudizi che, ad esempio per Santarcangelo, si traduce in un pesante vuoto economico (lo scorso anno ebbe 226 mila euro) domani chissà… E così si preannuncia la drammatica fine per il triennio 2025-2027. Esagerati? Per niente. La situazione continua a restare nebulosa. Su tutta la vicenda aleggia un’aura di mistero che, vista la bassa macelleria fatta in mezza Italia, è decisamente fuori luogo.

Insomma membri o commissari che siano, stavolta dovrebbero spiegare con pacatezza come si è giunti a questi tagli. E, soprattutto, cosa significano. Pubblico e teatranti un’idea se la sono fatta. E non è delle migliori. Naturalmente andrebbe fatta contestualmente anche una ricognizione sui “miracolati” promossi – perché ci sono, ci sono…- e capire come hanno ottenuto voti e guiderdone. Ma quello è un’opera di chiarezza che probabilmente avverrà più in la di sicuro.

Tomas Kirenczuk, che dirige artisticamente il festival romagnolo da quattro anni, in occasione della presentazione alla stampa ha usato parole chiare e significative.

La piazza Ganganelli di Santarcangelo. Al centro un’azione teatrale della non scuola del teatro delle Albe (Foto Pietro Bertora)

Il valore della cultura risiede nella diversità. La libertà di espressione è un elemento essenziale della creazione. Il dovere di ogni Stato -di ogni Stato democratico- è quello di proteggere la diversità culturale, -afferma Kirenczuck– garantire la libertà di espressione di artiste e artisti, così come l’autonomia e l’indipendenza delle istituzioni culturali. Non spetta allo Stato occuparsi della programmazione e della curatela delle istituzioni culturali, ma bensì garantire le condizioni economiche, sociali e strutturali per il loro funzionamento efficace e per lo sviluppo dei processi artistici”.

Sulle decisioni prese dalla commissione del ministero dello spettacolo. “Il segnale è chiaro: non c’è più spazio per il rischio culturale, per la sperimentazione, per la complessità e la molteplicità dei linguaggi. Sembra avanzare una visione normalizzante, rassicurante, programmata dall’alto, che lascia poco spazio all’imprevisto e all’alterità. Ma senza rischio e senza pluralità, la cultura si svuota del suo significato più profondo: quello di essere strumento di trasformazione e di immaginazione collettiva”.

Tutto questo suscita nel direttore polacco il ricordo del periodo oscuro vissuto in Polonia ai tempi “del governo Diritto e Giustizia” con episodi di restringimento degli spazi di espressione e che lo costrinsero ad espatriare.

I risultati del Fus ha osservato ancora il direttore artistico “non rappresentano soltanto un attacco alla cultura indipendente, ma una vera e propria provocazione contro la diversità delle comunità che la generano. Gli attacchi a molte istituzioni che operano nell’ambito del performativo, con un chiaro impegno politico e una posizione etica esplicita, non sono un errore del sistema. Sono il sistema stesso che si manifesta nel suo potere e nella volontà di esercitare un forte atto intimidatorio nei confronti di chi fa cultura”. La chiusa del discorso è tagliente e chiede una risposta.

Il critico d’arte attuale direttore artistico del festival di Santarcangelo Tomasz Kirenczuck

Punire un festival – dice Tomasz Kirenczuk – non significa soltanto distruggere un lavoro istituzionale. Punire un’istituzione culturale significa colpire e indebolire l’intero ecosistema che le ruota attorno: con le artiste e gli artisti, le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo, con i partner locali, nazionali e internazionali, con le reti, i progetti già avviati e quelli in fase di sviluppo. Infine, punire un’istituzione culturale significa colpire il suo pubblico. Il pubblico di Santarcangelo Festival è una comunità ampia, consapevole, che vive nel territorio oppure raggiunge il Festival spostandosi da tutta Italia e dall’estero, per confrontarsi con visioni altre, con estetiche non convenzionali, con forme radicali di ricerca artistica. Un pubblico che non cerca conferme, ma domande e non teme la complessità e la pluralità. Chi prende queste decisioni deve assumersene la responsabilità e avere il coraggio di spiegarle in modo trasparente”.

E veniamo al Festival. La 55esima edizione di Santarcangelo ha scelto di “attraversare il presente concedendosi uno sguardo di attesa e di speranza. In un mondo sempre più diviso e in conflitto “not yet” suona come un invito a immaginare futuri alternativi”. Dal 4 fino al 13 luglio, come è abitudine, il Festival occuperà le strade e le piazze del borgo medioevale con le sue performance, ponendo al centro la riflesisone su “quanto l’incertezza del tempo presente possa essere fonte di paura ma anche spazio di apertura e possibilità”.

La paura di potersi esprimere liberamente è strettamente legata al corpo, a come appare e all’uso che ne si fa. Il lavoro su di esso diventa dunque “pratica di liberazione per Venuri Perera (Sri Lanka / Olanda) ed Eisa Jocson (Filippine).

La compagnia Dewey Dell in “Ecco dance of Furies” . La compagnia è composta da Teodora, e Agata Castellucci, Vito Manera e il musicista Demterio Castellucci (Foto di Eva Castellucci)

Il corpo come fonte di ispirazione drammaturgica è anche al centro del lavoro di Jéssica Teixeira, artista multidisciplinare brasiliana, Kenza Berrada, francese di origini marocchine, Alina Arshi, artista svizzera di origini indiane. Il tentativo di travalicare dai confini dell’ordine normato per creare nuove forme di relazione è forte nelle performance di Alessandro Sciarroni, Leone d’oro nel 2019 alla Biennale di Venezia, di Xenia Koghilaki, artista greca residente a Berlino, e di Maud Blandel, coreografa franco-svizzera. Ma la paura può essere anche il primo passo verso il cambiamento, come nel lavoro di Dewey Dell, compagnia composta da Teodora Castellucci, Agata Castellucci, Vito Matera, e dal musicista Demetrio Castellucci. Razzismo e colonialismo sono al centro delle performance di Davide-Christelle Sanvee,artista svizzera di origine togolese, di Marah Haj Hussein, palestinese residente in Belgio, di Eli Mathieu-Bustos, formatosi tra la Francia e Bruxelles, di Tiran Willemse, in collaborazione con la musicista elettronica di origine congolese Nkisi.

Il confine tra memoria personale e collettiva sono esplorati da Némo Camus, artista e sound maker con base a Bruxelles, il polacco Wojciech Grudzinski, già ospite a Santarcangelo Festival nel 2023, Diana Anselmo, che pone al centro del suo lavoro la storia della cultura sorda in Italia e in Europa. L’arte come territorio di resistenza: con Alex Baczynski-Jenkins, coreografo polacco con base a Berlino per il terzo anno a Santarcangelo Festival, dell’autrice canadese Clara Furey, di Hana Umeda, performer polacca di origine giapponese, di María del Mar Suárez, in arte La Chachi, di Mathilde Carmen Chan Invernon, attrice e danzatrice franco-spagnola, e di Silvia Calderoni e Ilenia Caleo.

La cura per contrastare l’esclusione e ridefinire le relazioni di potere. Il tema è fortemente presente nelle pratiche di numerose artiste come Ewa Dziarnowska, di Flavia Zaganelli e la cilena Josefina Cerda. L’interesse verso pratiche femministe ed ecologie queer è al centro delle proposte dei collettivi chiamati ad animare Imbosco: Industria Indipendente, KEM e Parini Secondo. A C’entro, la sala cinematografica di Santarcangelo, si terranno inoltre due proiezioni legate ai temi centrali nella programmazione del Festival: le riflessioni su retaggi coloniali e pratiche decolonizzanti a cura di Liryc Dela Cruz, e di Kamal Aljafari, uno dei registi palestinesi oggi più prolifici e innovativi, presentato in collaborazione con Rimini e con Gaza.

La pratica di liberazione per Venuri Perera ed Eisa Jocson (Filippine) nella performance “Magic Maids” (Foto Bernie.Ng2)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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