Letteratura
Intervista a Sallusti: “In Italia se non sei di sinistra ti danno del fascista”
In occasione dell’uscita del suo nuovo libro, “L’Eresia Liberale”, abbiamo intervistato il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti
“Un libro che racconta e documenta come essere liberali e conservatori in questo paese sia considerato un’eresia; si viene considerati non degni di partecipare al dibattito democratico e civile in quanto fascisti, in questo paese se non sei di sinistra sei fascista, nel libro provo a smontare questa tesi”
Queste le dichiarazioni di Alessandro Sallusti direttore de “Il Giornale” durante una delle presentazioni del suo nuovo libro “L’eresia Liberale”. Lo incontro a Milano nella redazione del quotidiano, per parlare di questo e di altro…
“L’Eresia Liberale” titolo del tuo libro, in sintesi se sei di sinistra ti è concesso tutto, anche di sbagliare, se sei di destra no e rischi pure di essere definito fascista, ma intanto in Europa governano le destre, come mai?
Perché c’è uno scollamento totale tra la classe dirigente e il cittadino elettore, il popolo dà delle indicazioni, dice dove vuole andare, spesso le sostiene a modo suo, a volte moderato, a volte esagerato, ma queste indicazioni vengono molte volte disattese dalla classe dirigente. L’esperimento italiano andrebbe studiato, il popolo dice di andare a destra, il Paese sta andando a destra, si sta dimostrando che può esistere una destra moderna, liberale, conservatrice, responsabile europeista, atlantista, non è vero sostenere che andare a destra significa andare a sbattere. Questa è la grande novità che ha portato Giorgia Meloni ad essere protagonista sulla scena internazionale. Fino ad ora altre destre che sono apparse spesso non si sono dimostrate all’altezza del compito.
Con Peter Gomez, durante la presentazione del tuo libro a Milano avete discusso della sottile differenza fra libertà e verità, ci riproponi il tuo pensiero.
La verità non esiste. La verità è un punto di vista. Qual è la verità su Trump, su Meloni, su Schlein, su qualsiasi persona o su qualsiasi cosa? La verità è un punto di vista che dipende dal tuo pensiero. Cerco di rendere il concetto più comprensibile con un esempio, torniamo indietro con la memoria al delitto di Garlasco; credo che la metà degli italiani sostengano o pensino che Alberto Stasi non sia un assassino, trovano nell’inchiesta elementi per sostenere questa tesi, l’altra metà invece pensa che sia colpevole e a sua volta cerca elementi a supporto di questa convinzione. La verità giudiziaria, quindi, non è una verità assoluta, mentre alcuni punti di vista vengono accettati, altri invece sono ritenuti falsi a prescindere, spesso il pensiero liberale è ritenuto indegno di partecipare al dibattito.
Parli di coraggio del mostrarsi liberali conservatori, perché secondo te è venuto meno questo coraggio?
Il liberale conservatore è una persona pragmatica, certamente meno idealista e ideologica di un progressista, per cui più che affrontare le cose con il coraggio le affronta con il pragmatismo, cerca una soluzione. La guerra in Ucraina provoca problemi pratici anche a noi cittadini, aumentano le bollette di gas e luce, costano di più alcuni prodotti per l’aumento dei fertilizzanti, del gasolio agricolo ecc. Questo porta molti a dimostrare disinteresse per i diritti della popolazione ucraina, sovrapponendo a questi i propri interessi, per cui il prezzo di una pace, anche se salato per l’Ucraina, conta poco: la guerra deve finire. Alla fine, questo diventa cinismo che è il contrario dell’idealismo e questo non è un bene.
Il conservatore è tendenzialmente pessimista?
No, non lo credo. Il conservatore è colui che, pur aggrappandosi al passato, è proiettato al futuro; è falso pensare che il conservatore si opponga al cambiamento, questo è un modo di dire; lui non vuole cambiare strada, vuole percorrere la stessa, ma migliorarla, renderla, più sicura, più veloce. Non penso però che il pessimismo alberghi né tra i conservatori né tra i progressisti, all’interno delle due categorie esistono sia gli ottimisti sia i pessimisti.
Leo Longanesi si autodefiniva “conservatore in un Paese dove non c’è nulla da conservare”, oggi invece cosa necessità di essere conservato?
Necessita di essere conservata la nostra appartenenza a una storia, che è quella occidentale. Penso che se usciamo da quella storia deragliamo, anche perché andiamo a giocare fuori casa. Il globalismo è uscire dalla storia occidentale, ha avvantaggiato le autarchie a discapito delle democrazie. In questo senso ne hanno tratto vantaggio la Russia, la Cina, l’Iran… Perché in occidente abbiamo rinunciato a conservare, come punti fermi, i nostri valori. Questo lo dicevano anche i non conservatori. Nel libro cito ad esempio Sartori, che è uno dei più grandi politologi che l’occidente, non solo l’Italia, ha avuto nel ‘900. Diceva di non confondere il multiculturalismo e l’accoglienza con il diluire i nostri valori con altri importati. Accogliamo certamente, ma alle nostre condizioni, se rinunciamo ai nostri valori siamo destinati a scomparire.
Nel libro racconti che la prima volta che hai votato avresti voluto votare MSI, ma poi, leggendo un articolo di Montanelli, “ti sei tappato il naso” e hai votato DC. Ci sono state altre occasioni in cui ti sei tappato il naso per votare e poi ti sei pentito?
Dicevo in casa che avrei votato MSI, il partito votato da mio padre, ai miei tempi disattendere le indicazioni paterne non era consigliabile, però avevo già deciso di votare il Partito Liberale. Da qualche anno era nato “Il Giornale” che aveva contribuito a formare il mio pensiero, il quotidiano dava indicazioni di votare DC, quindi era un gran casino, mi sembrava quasi una cosa da nascondere, una cosa di cui vergognarsi, capii solo con il tempo che è giusto avere un’idea, ma è sbagliato impiccarsi a quell’idea. Montanelli diceva: “noi siamo liberali, avversari della Democrazia Cristiana, però se la DC non vince e vincono i comunisti, allora tra i due meglio stare con i primi”. Non bisogna impiccarsi ad un’idea, ma far sopravvivere la propria idea, in base al principio che il nemico del mio nemico è mio amico. Quel principio l’ho avuto sempre molto chiaro. Spesso quando si accusa qualcuno di incoerenza lo si fa senza tenere conto che il primo elemento della coerenza è raggiungere un obiettivo. Se sulla strada si trova un ostacolo è necessario evitarlo, girargli intorno, senza perdere mai di vista la meta. Questo vale nella vita politica, nella vita professionale, anche familiare, le strade non sono mai diritte e in discesa, spesso sono in salita e anche con qualche tornante. La coerenza non è un valore assoluto, questo lo dice anche Tony Blair, come scrivo nel libro citando la sua biografia “On Leadership”. Lui sostiene che un conto sono le cose che dici, quando sei all’opposizione, un altro quelle che dici in campagna elettorale, un altro ancora sono le cose che fai quando governi. Le tre cose non coincidono mai, nonostante questo, in queste tre fasi non ha mai cambiato idea rispetto alla meta, ma ha mutato la strategia, ha cambiato alleanze, priorità… Tornando alla domanda, quell’appello a votare DC bloccò la vittoria comunista.
In seguito al tuo racconto sulla vicenda dell’ex Sindaco di Predappio, Giuseppe Frassineti, che chiese aiuto a Berlusconi per un centro culturale di storia del Novecento a Predappio, lui stesso ha rilasciato un’intervista al Resto del Carlino in cui racconta nei dettagli tutta la vicenda e spiega perché lo chiese proprio a Berlusconi, citando un discorso che il Cavaliere fece nel 2009, in Abruzzo, sulla libertà e la costruzione di un sentimento nazionale unitario, che vedesse destra e sinistra collaborare insieme per una democrazia pacificata. Ci si arriverà mai?
Dovranno passare almeno altre due generazioni. Siamo qui ancora a parlare di Repubblica Sociale, del Duce, dopo 80 anni. È un mistero che dopo tutto questo tempo continuiamo ancora a darcele su quello che è stato. La storia su fascismo e antifascismo ha stancato, se tutto è fascismo alla fine nulla è fascismo, esiste ancora questa ossessione che tutto sia fascista, se non sei di sinistra, tutto il resto è fascista. La questione è molto dibattuta sul web, mia nipote, che oggi ha solo 6 anni, quando si imbatterà su questa storia crederà purtroppo che sarà ancora attuale, quindi non so quando finirà, spero presto, ma non meno di altre due generazioni.
Secondo L’Economist la GenZ si divide fra maschi e femmine per quanto riguarda posizioni progressiste e conservatrici. Rispetto agli anni ’90 il 27% in più delle donne, fra i 18 e i 29 anni, si colloca politicamente a sinistra, mentre i maschi, della stessa età, stanno diventando sempre più conservatori. Come mai secondo te?
Bisognerebbe essere dei sociologi per dare una risposta corretta alla tua domanda, penso che i social abbiano qualche responsabilità. La gente riceve molte più informazioni e si crea un proprio punto di vista, la disparità tra i due sessi potrebbe essere dovuta al fatto che sui social il punto di vista sulla questione femminile è maggiormente sbilanciato a sinistra. Immagino quindi che una giovane donna che si affaccia alla vita risulti più sensibile e permeabile a questo punto di vista rispetto ad un uomo.
In un’intervista a Quarta repubblica, parlando del tuo arresto dici che faceva parte di una guerra civile mediatica di quegli anni. Che cosa significa?
Erano gli anni clou dello scontro tra berlusconiani e anti-berlusconiani. La magistratura era schierata da una parte ben precisa, chiunque stesse dalla parte opposta si trovava automaticamente nel suo mirino, sia che si trattasse di uomini politici o di giornalisti e opinionisti. Palamara, che in quegli anni era il capo della magistratura, scese in campo contro Berlusconi, nei talk show televisivi era solito sedersi accanto ai politici e ai giornalisti che rappresentavano la sinistra, evidenziando una raffigurazione plastica della contrapposizione con la parte opposta. Io vengo arrestato per un reato – si trattava di omesso controllo – che non aveva mai portato all’arresto di nessun direttore, nonostante altri colleghi direttori avessero un numero di condanne per lo stesso reato ben superiori alle mie. Questo significa che io sono stato arrestato perché considerato rappresentante di una certa parte politica.
Non pensi che adesso stiamo vivendo la stessa guerra a parti invertite?
No, perché non è nei fatti. Mi fa sorridere il fatto che ogni talk show inizi con il solito ritornello che questo Paese sia a rischio per quanto riguarda la libertà di espressione e che chi la pensi diversamente venga discriminato e messo all’angolo. Poi succede che tutta la trasmissione è incentrata contro lo stesso governo. In pratica si fa un talk show per dire che questo governo è fascista e che impedisce ai giornalisti di parlare, se questo fosse vero, lo stesso talk show non potrebbe andare in onda.
Cosa ne pensi della dichiarazione di Pierluigi Battista sul 25 aprile?
Pierluigi è un eretico, una mente libera, non essendo più in carriera, nel senso classico della parola, è un uomo libero da tutti i punti di vista, esprime con chiarezza e sincerità qual è il suo punto di vista. Può sembrare una banalità, ma non è così. Finché sei ancora all’interno della giostra che gira, in realtà non sei completamente libero di esprimere un tuo punto di vista, perché puoi innescare una serie di reazioni e contro reazioni che alla fine ti si possono ritorcere contro. Oggi se ci domandiamo chi è un uomo libero, sicuramente è Pigi Battista.
C’è qualcosa nella tua vita che, ripensandoci oggi, faresti diversamente?
No, perché mi è andata di culo. Non sono nemmeno stato ammesso all’esame di maturità, è evidente che se tornassi indietro non ripeterei l’errore, ma prendo atto che, se avessi passato quell’esame, oggi probabilmente sarei un perito chimico in pensione, invece di essere qui a dirigere un giornale. Certo posso affermare che, tornando indietro, probabilmente continuerei a studiare, però devo ammettere che scelte errate a volte possono trasformarsi in opportunità. È innegabile che esista una certa dose di fortuna di cui io ho beneficiato a piene mani, non so per quale motivo, poteva anche accadere, che, tornando indietro, non completando gli studi, avrei passato una vita da disoccupato.
Le solite considerazioni contrapposte, da una parte Meloni alla Casa Bianca convince il Presidente americano al dialogo con la Ue, non si piega su Kiev e ottiene il sì di Trump a una prossima visita a Roma. Dall’altra parte il vertice ha portato a un “quadro desolante”, si acquisteranno dagli americani più armi, il costo sarà di almeno dieci miliardi subito. Qual è la tua idea al riguardo?
Tra i vantaggi dello stare all’opposizione c’è quello di affermare che tutto ciò che fa la maggioranza è sbagliato, puoi permettertelo perché non devi scegliere, non devi decidere, non devi gestire, quindi puoi dire qualsiasi cazzata. Sarei stato molto curioso nel vedere se ci fosse stato un governo di sinistra, come si sarebbe comportato. Faccio notare come si comportò la sinistra in due precedenti governi: il primo presieduto da Massimo D’Alema, inviò, durante la crisi dei Balcani, i caccia a bombardare la Serbia, nel il secondo Giuseppe Conte, fece un inciucio vergognoso con Trump. Quello che dice l’opposizione lo analizzo con grande rispetto, ma avendo 50 anni di mestiere alle spalle gli dò il giusto peso. Dubito che Meloni offra 10 miliardi senza avere nulla in cambio. Quando esiste un problema, nelle democrazie ci si siede intorno ad un tavolo e si tratta, ci sono offerte e proposte reciproche, si fa una trattativa. Cosa avrebbe dovuto fare il nostro Presidente del Consiglio, non andare? Andare e offendere il Presidente americano? Uscire dalla UE? Ci dicano cosa avrebbe dovuto fare. Trump nelle sue folli dichiarazioni difende il suo Paese – se vuoi in modo discutibile – si tratta di condurre un negoziato che non sia penalizzante. A me dà fastidio, e penso che la stessa emozione negativa la provi Giorgia Meloni, quando l’opposizione cerca di denigrare l’immagine del nostro governo e del nostro presidente all’estero. Finché viene criticata dalla stampa nazionale avversa o nei talk show casalinghi questo ci sta, l’opposizione deve svolgere il suo compito: fare opposizione. Ma, se come accade, viene rilasciata un’intervista al Financial Time dicendo che l’Italia è un paese di merda, non danneggi Meloni, ma danneggi l’Italia.
Mancano poco più di due anni per la scelta del nuovo sindaco di Milano. Qualche mese fa Salvini (con il possibile supporto di Meloni) ha ipotizzato una tua candidatura, qualora le amministrative venissero accorpate alle politiche di fine legislatura. Non è la prima volta che si fa il tuo nome. Qual è la tua posizione?
Non è il mio mestiere, ognuno deve fare quello che sa fare, buttarmi nell’arena politica e anche amministrativa, dove servono capacità manageriali non indifferenti – Milano è una delle più grandi aziende d’Italia – non lo vedo possibile, non ci sono i presupposti.
Perché nonostante il successo nazionale della coalizione di centro destra, Milano, dopo la sconfitta della Moratti 16 anni fa per mano di Pisapia, continua ad essere governata dalla sinistra?
Milano è un po’ radical chic, ma ti devo dire che la città non è governata male, non è mai stata governata male, possiamo incazzarci perché le piste ciclabili ci disturbano, perché vietare di fumare all’aperto è una follia, ma parliamo di piccole cose. Se Milano è diventata importante il motivo è perché è stata ben governata da tutti i sindaci che si sono succeduti. Tutti hanno avuto l’intelligenza di continuare – sia pure modificando qualcosa – ma non di annullare ciò che avevano ereditato dalla precedente amministrazione. La Milano che Sala ha preso in mano è una città che nasce con Albertini, continua con Moratti, Pisapia non la disfa, ma la completa. La città è stata governata bene sia dalla destra sia dalla sinistra. Oggi esiste un problema di sicurezza, ma il Sindaco non c’entra, l’errore forse da lui commesso è quello di strizzare l’occhio a fenomeni che nella percezione della gente sono portatori di insicurezza: l’immigrazione, i centri sociali… È un errore di comunicazione, perché viene dato un appoggio politico, quasi culturale, ad un fenomeno che ha invece radici delinquenziali. L’insicurezza della città dipende da politiche immigratorie sbagliate, ma di queste non se ne occupa il sindaco.
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