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Letteratura

Heda Margolius Kovȧly, Sotto una stella crudele

di Pasquale Hamel
10 Agosto 2017

Ci sono libri che lasciano il segno, non temo di essere smentito se annovero fra questi “Sotto una stella crudele. Una vita a Praga 1941-1968” di Heda Margolius Kovȧly, pubblicato nel 1973 e  solo ora tradotto in Italia per il tipi di Adelphi. Il racconto di una storia vera, un pezzo di vita vissuta da un’ebrea praghese che ha avuto l’avventura, qualcuno potrebbe definirla “sfortuna”, di sperimentare la disumanità di due dei tre totalitarismi – mi riferisco al nazismo prima e al comunismo poi – che hanno marcato tragicamente la storia del novecento ed ai quali la protagonista, nonostante tutto, riesce a sopravvivere grazie ad un’eccezionale forza di volontà che le fa scrivere :”volevo vivere, perché ero viva, non solo perché, per puro caso, non ero morta”.  Autobiografia, quindi, che è anche una sorta di diario di una lunga sofferenza, solo a tratti spezzata da qualche barlume di speranza che, quasi subito, la cruda realtà storia, con straordinaria perfidia, si occupa di dissolvere. Un libro di altissimo valore letterario, scritto con passione e, tuttavia, senza quelle cadute che molto spesso banalizzano le narrazioni in cui l’autore è personalmente coinvolto.

Un pesante atto di accusa contro la malvagità umana e, soprattutto, contro gli inganni delle ideologie dietro le quali si nascondono le perversioni più ripugnanti. Storia di sogni rubati, di voglia di normalità in quel tempo ferita dall’odio razziale, dalle tanto allucinanti che false promesse di creare l’uomo nuovo; della volontà di potenza ma anche delle miserie umane che, anche qui troppo spesso, non lasciano spazio alla pietà. Ma, anche, il racconto di chi ha il coraggio di non arrendersi, di reagire anche nelle manifestazioni più spietate del potere avendo la forza di testimoniare la verità sfidandone l’ostilità, in un contesto di diffidenze e di paure che avvelenavano le coscienze rendendole insensibili ad ogni emozione come quelle che suscitano mani tese alla ricerca disperata di aiuto normalmente. Storia di amore, amore materno, così forte da spingere ad atti eroici; ma anche storia di un amore coniugale autentico, fatto di rispetto, di complicità. Storia di legami amicali tanto forti da spingere al rischio del bene supremo della vita. E, poi, Praga, città colta, città carica di storia, città aperta le cui ariose strade si mutano d’un tratto in un’intricata ragnatela popolata da occhiuti aguzzini in cerca delle loro vittime, da gente che si nasconde impaurita, da miserabili delatori e di volgari parassiti. Non dunque la Praga incantata, la Praga magica, ma una città da incubo dove il vivere quotidiano diventa una angosciosa sfida per la sopravvivenza. Una storia di occasioni, come quella che riesce a salvarla dalla ferocia nazista. Infatti, dai campi di concentramento, dove era stata richiusa nel ’42 e dove assiste impotente allo sterminio della sua, approfittando di una situazione favorevole Heda riesce a fuggire portando dentro l’orrore di quanto aveva visto e vissuto. Il racconto della sua fuga disperata, il vagare in cerca di un luogo sicuro, braccata come un animale in fuga, e lo scontarsi con la pavidità di quelli che aveva immaginato amici. Una fuga che dura fino alla fine della guerra ed all’ingresso delle forze armate russe, considerate liberatrici.

E l’illusorio clima nuovo, la precaria libertà, la voglia di partecipare, di contribuire alla ricostruzione morale e materiale di un Paese sfregiato dalla guerra e dalle violenze. Gioie e dolori. Gioia come il ritrovare l’uomo della sua vita, un coraggioso ebreo, anche lui deportato ma miracolosamente salvatosi. L’infatuazione per il socialismo, il diventare comunisti immaginando di costruire un mondo nuovo fondato sulla giustizia e sul rispetto umano. Il subdolo abbraccio del partito che aveva corrotto tanti giovani con la favola del possibilità di cambiare la natura umana. La disillusione che lentamente si trasforma in silenziosa rivolta. Il processo farsa, in un clima che ricorda molto proprio il capolavoro di Franz Kafka, che si conclude con la condanna a morte per impiccagione del marito accusato di reati che non aveva commesso. La miseria nella quale si trova a vivere, il degrado personale, la malattia e la ricerca disperata di un lavoro per sfamare se stessa e il proprio figlio. L’emarginazione sociale, la condizione di reietto della società per un tempo lungo almeno fino a quando con il XX congresso del PCI si riconoscono gli errori e gli errori commessi dai dirigenti del partito. E poi, la primavera di Praga con il riaccendersi delle speranze, l’idea di un socialismo dal volto umano che come una febbre assale giovani e vecchi. Una speranza un sogno frantumati dall’arrivo dei carri armati russi che reprimono quanto ormai sembrava riconquistato. Tutto questo descritto con intensità e senza ricorso ad artifici retorici, rendendo partecipe e, perfino, corresponsabilizzando il lettore. La vita di Heda, com’ella stessa riconosce, si fa dunque, metafora di “ un microcosmo in cui si è condensata la storia di una piccola nazione d’Europa”. Un libro bellissimo che sarebbe utile adottare nelle nostre scuole se non altro per farne antidoto contro le perverse tentazioni della storia. Un libro che farebbe apprezzare ai nostri giovani, drogati dalla civiltà consumistica, quello che Paolo Borsellino definiva il fresco profumo della libertà .

comunismo letteratura nazismo
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