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Letteratura

La notte

di Biagio Riccio
14 Agosto 2020

La notte, a volte, non fa compagnia ed è terreno fertile, perché sale la paura.
La solitudine fa sentire la sua lama acuminata.
Dà tormento e sprigiona i timori dell’inconscio, come diceva Dostoevskij ne “Le Memorie dal sottosuolo”: si muovono le acque degli anfratti reconditi della nostra psiche tribolata e martoriata, emerge tutta la disperazione non assopita durante il giorno.
Ma la notte è anche di quelli che rifiutano il sonno, non portatore di serenità: il letto è quello di Procuste; i pensieri uccidono, colpiscono la mente vuota.
È per chi non conosce il tempo, né per ore, per giorni, anni e stagioni. Per chi smarrisce la ragione ed è dominato dalla follia che non vede alcun limite, ritegno, diga e sfoga tutta la sua virulenza e rabbia.
La notte è per chi piange al fiochissimo lume della tetra lucerna per immedicabili ed incomprensibili dolori.
Non vuole la luce limpida, rifiuta il regno dei colori e si acquieta nell’oscurità della “nerità compatta”. È caliginosa, tagliente, immutabile, intatta. Posatoio, nido, foresta, tana, labirinto e troppo stretta per dormire in pace.
È tenebrosa, abnorme, contrassegno e firma dell’inquietudine, ospizio di mostri che si ammansiscono, albergo di angoscia, di irresoluti ed abbandonati a se stessi. È matrice di dolori, di disagi, di speranze vane; reca in sé un’allusione distruttiva, una segreta potenza che non esplode mai. Il suo escludere la luce è una consolazione fatua al continuato mendacio dell’esistere.
Nella notte si discende negli incavi dell’inconscio, dell’onirico, dove la vita si fa rada, si ammuffisce, trapassa in pietre sterili, fragili, rumori di acque che non vedono la luce e non fecondano campagne.
La notte è inconsistente al tatto, alla penetrazione; è vizio, delirio, forma negativa di balocco di luce, di cipria di giorno, recinto di un mondo rovesciato e dissennato.
La notte è per chi ha perso la pietà e la misericordia degli uomini e nell’ombra non riceverà perdono alcuno per l’efferatezza dei delitti commessi.
Di notte si pentono gli imbroglioni, chi agisce con disvalore.
È per chi cerca Dio, come l’Innominato di Alessandro Manzoni che ha paura della morte: veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancor lontana, ma faceva un passo ogni momento. Temeva il giudizio implacabile dell’Assoluto che erodeva il suo cuore.
È insidiosa e cercata da chi ambisce a placare desideri oscuri, come voleva Pier Paolo Pasolini, che aveva addosso il profumo della melanconia.
La notte non è nitida, è cupa ed il fumatore continua imperterrito ad accendere le sue sigarette ed a perdersi nelle nuvole della sua terribile e devastante confusione, alla ricerca di una soluzione che non c’è e non ci sarà mai.
La notte è buia, perché cala la sensazione del nulla, della nientificazione, perché ogni sforzo non produce alcun risultato. L’Essere è preso, ostaggio del tiranno: il tempo che non si consuma.
La notte brucia i sogni che non dovrebbero mai abbandonarci e farci diventare desti: si rompe l’ incanto che ci ha fatto compagnia con la luna.
La notte è terribile, perché nel silenzio spettrale, nella solitudine cercata e desiderata del “cupio dissolvi” non dovrebbe dar tribolazione e tormento a chi intende ubriacarsi, per ricercare un sonno ristoratore, forse definitivo.
È rifugio per gli indecisi, per chi intende allontanarsi e cerca di rimuovere e rimandare la dura ed implacabile realtà, la ferrea e bronzea necessità di deliberare e scegliere ad ogni costo: prendere o lasciare, senza alcuna mediazione compositiva ed esitazione motivata.
Nel silenzio della notte si cerca il consiglio, si medita, si sussurra alla coscienza.
Ma la notte è feconda per chi cerca l’Assoluto.
È di chi prega nella fede che fermi ogni dolore e rassegnazione e conferisca la calma e la serenità, perché senti la partecipazione di Lui nella tua anima, come il mare che si placa dopo la tempesta. La gioia – per chi crede – inonda ed innaffia lo spirito.
La notte è crudele per chi vende il suo corpo, perché lo fa toccare agli altri senza amore, come bere senza dissetarsi, ridere con la morte nel cuore.
La notte è lunga per chi dorme senza letto e senza coperta, ma con cartoni, coltre di assoluta povertà.
È dura come l’acciaio a morire per questi poveri clochard: le ore non passano mai e la rabbia monta senza poter far nulla.
È scenario bellissimo per i viandanti posseduti da Dioniso, che possono bere e ballare senza timore di nessuno.
La notte è delle puttane, dei pokeristi, degli insonni, dei folli che sono liberi, dei portieri d’albergo.
La notte è di chi non sa morire.
È di notte che si percepisce meglio il frastuono del cuore, il ticchettio dell’ansia, il brusio dell’impossibile.
È di notte che si piange al buio, senza vergogna e senza essere visti da nessuno.
La notte è di chi sa già, ma anche povera per chi ancora non ha saputo nulla e non vuole sapere.
La notte è calda, è lunga, è magnifica per ascoltare storie di vita, per l’adagiarsi del pudore che si scioglie e dona le dolci cose nei talami d’amore, nei letti degli amanti che si cercano forsennatamente.
La notte è per i ladri, che sperano di non essere scoperti e visti, perché si vergognano pure.
La notte è di chi aspetta l’aurora dalle dita rosa: almeno vede la speranza che non finisce mai.
La notte è degli amanti fuggitivi, per dirsi tutto quello che nella luce non si potevano dire.
È alla tarda notte che si ode il canto per i sentieri lontano morire a poco, a poco, per chi intende ritornar al desco di casa ed il cuore si intenerisce per chi aspetta.
I giorni si distinguono tra loro, ma la notte ha un unico nome.

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