Montale

Letteratura

“L’oltre: Eugenio Montale tra filosofia, fisica e religione” di Adriana Beverini

17 Maggio 2025

Cosa resta oggi dell’ultimo Montale? Pochissimo o niente. Qualche saggio breve o qualche nota critica scritta in accademiese! Da questo punto di vista il saggio (edito da Il ramo e la foglia edizioni) di Adriana Beverini, nota letterata e operatrice culturale, colma questa grossa lacuna e lo fa egregiamente. A mio avviso infatti i poeti e le poetesse oggi sono post-montaliani, forse alcuni/e senza aver assimilato pienamente l’ultimo Montale.

Ma questo accade anche in altri ambiti, in cui si è post-fascisti, post-democristiani o post-comunisti senza aver mai fatto veramente i conti con il fascismo, il comunismo, la Dc. La parola d’ordine per svariati motivi era lasciarsi alle spalle Montale. Lo esigeva il gruppo 63, lo esigevano i neosperimentali, lo esigevano i marxisti, lo esigeva il neo-orfismo, etc etc. Montale doveva essere messo nel “museo” delle patrie lettere. Alcuni italiani andarono in guerra con i libri di Ungaretti e di Montale negli zaini, ma quei tempi erano ormai passati. Montale aveva fatto scuola stilisticamente con il suo descrittivismo paesaggistico, con i suoi correlativi oggettivi, presi da Eliot, che poi però aveva abbandonato. Già negli anni settanta comunque doveva avanzare il nuovo in un Paese politicamente contrassegnato dal solito vecchio che avanza, da un immobilismo, da un gattopardismo, che sembravano eterni: niente corsi e ricorsi, bisognava rompere definitivamente gli schemi, almeno in poesia, per poi cercare di essere incisivi nella realtà.

E poi Montale era stato testimone e interprete di un mondo, di un’epoca, che bisognava lasciare alle spalle. Monterosso, il caffè Le Giubbe Rosse, il Gabinetto Vieusseux, “le stalle di Augia”? Erano roba datata, da passatisti. Montale si collocava “fuori della storia” e indossava sempre un “abito borghese”. Era il poeta celebrato per antonomasia. Già a scuola si insegnava la triade Ungaretti-Saba-Montale e si considerava il poeta un protagonista indiscusso del Novecento italiano. Fu così che alcuni laureati lo contestarono quando fu fatto senatore a vita e lui rispose con ironia che il bandolo alla sua matassa non lo aveva mai sbrogliato. La sua era un’ignoranza socratica di fronte all’inesauribile molteplicità fenomenica, al noumeno che non poteva cogliere, insomma a quello che Gadda definiva lo gnommero. Ancora da questo punto di vista questo saggio della Beverini chiarisce in modo netto riguardo alla grande intellettualità montaliana e ci fa capire qual è l’eredità del poeta. Come scriveva lui stesso c’erano i filosofi dell’omogeneo e quelli dell’eterogeneo, ma nessuno poteva essere certo di niente. Di fronte a una realtà di cui era impossibile cogliere il senso ultimo, Montale non poteva che affermare che forse la “vecchia serva analfabeta” ne sapeva più di lui. Ma per quanto il poeta aveva a cuore l’umanità e i suoi problemi, per alcuni era un gerontocrate reazionario e arrivato, come fece capire in un suo componimento il bravo Attilio Lolini.

Montale era un padre, che doveva essere ucciso: il complesso edipico e anche quello letterario dovevano essere risolti, superati. A livello stilistico la poetica degli oggetti e delle agnizioni degli Ossi di seppia ha certamente lasciato un segno indelebile nella poesia contemporanea italiana. Ma la questione non è tanto Montale, ma com’è stato percepito. Croce scriveva che il problema non era se Hegel era morto, ma sapere ciò che di Hegel era vivo e morto in noi. Beverini con molte intuizioni originali e strutturando in modo organico, ci offre una lettura molto approfondita della complessità dell’ultimo Montale tra scienza, religione, filosofia. Riprende molte liriche del poeta, cita F.Capra, Einstein, Bohr, Feynman. Di nuovo colma la lacuna, trattando del rapporto tra scienza e letteratura, un legame che pochi avevano trattato ed è un’operazione legittima, anzi preziosa e necessaria in un’epoca in cui si tengono corsi universitari sul rapporto tra Dante e la scienza. Dirò di più: Beverini è in ottima compagnia perché anche il famoso ricercatore e divulgatore scientifico Piattelli Palmarini ha indagato a più riprese il rapporto tra Montale e la scienza. Ma questo lavoro di Beverini è una ricerca incessante sul rapporto tra Montale e quelli che Popper chiamava gli interrogativi ultimi. Il libro ha delle sezioni tematiche (il vuoto, il tempo, la realtà, il nulla) e l’autrice è sempre molto pregnante e mai dispersiva.

L’autrice ricorda la critica di Boutroux allo scientismo, mettendo in luce un Montale antipositivista. Riprende “l’inganno della realtà “, lo scetticismo del poeta. Ricorda il termine “essente” con cui il poeta definisce Clizia e a proposito cita Emanuele Severino. Collega il tempo “vacuo” e la filosofia buddhista. Cita Vannini e Basilide per Montale, che voleva arrivare al “fondo dell”anima” e al contempo non aveva certezza di esistere. Ricorda l’incontro formativo con don Trinchero. Cita la figura del demiurgo, ricordando che per Montale il demiurgo non era platonico ma gnostico. Insomma ci sono tantissimi spunti interessanti e originali e perciò vi consiglio di leggere questo libro.

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