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Letteratura

Orfeo ed Euridice: l’amore irripetibile nella poesia

di Biagio Riccio
5 Maggio 2019

La poesia imbevuta ed immersa nell’amore è il canto di Orfeo, quello che, facendo vibrare le corde della sua cetra, ammaliava con la soave musica gli dei e tutto il creato, animali, piante, fiori, boschi,rocce.
Anche le pietre si scioglievano, le belve feroci diventavano mansuete, gli uccelli facevano da coro e l’Universo tutto si accendeva della luce celestiale nella sua nitida purezza.
Il suo canto inanellava nell’arcobaleno non la solita pioggia, ma un rovescio melodioso.
Incarna il mito della poesia, perché ne è il fondatore e tutti i poeti che sono venuti dopo devono tributargli eterna riconoscenza: la poesia distrugge il dominio della morte.
Arpeggiava per i monti, nei boschi, nelle selve, radure e le stelle della notte rifulgevano come un manto di luce,quando si diffondeva il dolce canto e ogni animale ne era pervaso: “animali di silenzio irruppero dal chiaro bosco liberato, da tane e nascondigli e si capì ch’essi non per astuzia o per terrore in sé eran sì sommessi, ma per l’ascolto. Tu creasti per loro un tempio nell’udito” scrive il grande poeta Rilke.
Nasceva dall’unione tra la Musa Calliope dalla quale ereditò le straordinarie capacità nel canto ed Apollo, il Dio musico per eccellenza.
Un giorno incontrò l’Amore e si narra che il suo canto quella notte fu il più bello che l’Universo intero abbia mai ascoltato: anche sull’ Olimpo arrivò la soave musica e tutti si intenerirono sino a stabilire che Orfeo fosse il primo tra i cantori e poeti per l’eternità.
“Le pietre dolci si fecero, e per te capaci divennero di udire….”
La sua musa fu Euridice, la più bella fra le naiadi che abitavano fra i fitti boschi e le rupi dei monti:quando si immergeva nelle acque si levavano piene di soffice spuma le armoniose sue forme che Orfeo immortalava con il suo canto.
Così è descritto il loro primo incontro:Euridice si siede davanti a lui e tra tutte le parole che gli sente pronunciare scopre il suo nome: è lei che quell’uomo canta. E il suo canto parla d’amore. Quando Orfeo finisce di suonare, le altre ninfe tornano nei boschi. Euridice rimane. “Perché canti?, gli chiede. Perché non so fare nient’altro, davanti alla bellezza del mondo. “E perché canti il mio nome?” Orfeo china lo sguardo, abbassa la voce: “Perché tu sei la bellezza del mondo”.
Narra il mito che Euridice ebbe il morso di una vipera e morì anzitempo, facendo cadere nella disperazione più aspra e crudele il suo sposo che implorava gli dei di riaverla viva, avendo vissuto pochi anni d’amore con lei.
“Lei così amata che una sola cetra la pianse più di mille donne in lutto e tutto il mondo fu in pianto, boschi e valli. Volgevano in silenzio il sole ed il cielo pieno di stelle,cielo di pianto e stelle sfigurate, lei così amata”.
Scese nell’Ade Orfeo grazie al suo canto: fu capace di soggiogare anche i mostri dell’inferno che al suo passaggio si sentivano ammansiti e colorati di una felicità inaspettata.
Ce lo racconta Ovidio nelle Metamorfosi: con il suo canto Orfeo ammansì Cerbero, che custodiva le porte dell’Ade: per la prima ed unica volta si videro piangere le Erinni, quelle che decretano la vendetta senza pietà.Anche Persefone ed Ade, gli implacabili signori del Tartaro,consentirono che Euridice tornasse tra i vivi: ma ad una condizione:che prima di tornare alla luce non fosse guardata da Orfeo.
Riavrai la tua Euridice a condizione che tu non ti volga indietro. Non guardarla, finché non siate usciti nella luce. Altrimenti tornerà ombra, e sarà morta per sempre.
Orfeo non fa domande. Accetta il patto, dentro di sé gli sembra lieve. L’amore, in fondo, è sempre divieto.
Ma così non fu. All’ultimo snodo della polverosa e fuligginosa via Orfeo si girò e ruppe il patto: non vedrà mai più Euridice. La bionda sposa che il poeta aveva cantato nei suoi versi, il profumo della sua vita,l’isola del suo ampio letto,non era più sua,non era più.
Il Mito insegna che il Fato è implacabile, ma anche che l’amore è irripetibile, non può più tornare, riprendere la scena di un tempo.
L’amore è lontananza, ha scritto Paola Mastracola, si nutre di distanze impercorribili. Non ho bisogno di vivere con te. In questo buio dove non ti vedo e non ti ho, è perfetto amarti: la vita fa parte della morte. Come nella notte è contenuto il giorno, come lo stesso cielo abbraccia e luna e sole… Sono diventata cielo.
Fare a meno di te,è l’amore.Ti posso perdere, perché ti posso avere meglio, se mi manchi.L’amore è un’ombra che se ne va e non ritorna più.

Biagio Riccio

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