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Letteratura

Perfettina

di Filippo Cusumano
23 Febbraio 2018

Finalmente ho trovato modo di chiederglielo.
Lui ha sempre un’aria distante, sembra quasi che gli piaccia mostrarsi preso dai suoi pensieri e dalle sue preoccupazioni aziendali.
Mai un commento sul ristorante dove è stato a cena (neanche su quello per il quale ha chiesto a me di effettuare la prenotazione), su un film visto la sera prima, su una partita di calcio, sul tempo che fa.
All’inizio quella sua riservatezza mi era sembrata un pregio.
Soprattutto se confrontata con l’esuberanza – quasi sconfinante nella molestia – del capo che avevo prima.
Poi, poco alla volta, quella stitichezza di parole, quel vuoto di riconoscimenti, quella assenza di sorrisi, hanno cominciato a stressarmi.
Sono sei mesi che faccio la sua assistente – è così che lo sento definirmi con i suoi colleghi, mai successo che abbia fatto riferimento a me definendomi la sua segretaria- e non ce la faccio più.
Ho trentacinque anni, so fare bene il mio mestiere, so vestirmi con proprietà, ho ancora il fisico di quando avevo vent’anni, sono una che non lascia mai niente al caso.
Una perfezionista. E’ la mia natura.
Chi mi conosce bene ed ha confidenza con me mi definisce ironicamente “perfettina”.

Ma ho un lato debole.
Debolissimo.
Amo essere gratificata.
Quando so di avere fatto per bene una cosa qualunque – non importa se una slide sui ricavi da utilizzare in Consiglio di Amministrazione oppure una omelette – mi piace sentirmi dire che sono stata brava.
Conosco un bel po’ di persone che hanno l’abitudine di gratificare il prossimo a tutto spiano. I loro complimenti, una volta che le hai inquadrate, valgono di meno, ma non per questo risultano sgraditi.
Poi ci sono gli stitici. Quelli che ti guardano fare un triplo salto mortale e rimangono impassibili.
E a me è capitato il capo più stitico dell’universo.
Così oggi mi sono fatta coraggio e gliele ho cantate.
Il bello è che mi sono “scatenata” proprio in un momento in cui stavo ricevendo un segno tangibile del suo apprezzamento.
Stavo seduta davanti a lui, nella sua stanza, con in mano il blocco degli appunti.
Anche quando mi dà degli ordini, è uomo di poche parole.
Preferisco avere sempre un blocco a portata di mano per la preoccupazione di dimenticare qualche particolare.
Ad un certo punto, proprio quando mi stavo per alzare e per congedarmi da lui, ha preso una busta che si trovava sul tavolo e me l’ha passata.
“Ah, poi c’è questo per lei”
Distrattamente, senza neanche un sorriso. Come quando mi passa la ricevuta di un albergo da inserire tra i rimborsi.
Guardo la busta e, dalla finestrella trasparente, vedo che è indirizzata a me. La apro al volo e scopro che è una gratifica. La più sostanziosa che abbia mai ricevuto in vita mia.
A quel punto non ho resistito.
“Grazie! – ho detto – Ma allora devo proprio pensare che le vado bene!”
Ha alzato gli occhi da un documento che stava leggendo, con un’aria stupita, poi ha detto: “Certo, se ci fosse stato qualcosa che non andava bene, lei sarebbe stata la prima a saperlo”
“Che ne direbbe allora se ci prendessimo un momento per ragionare su come ottimizzare la nostra collaborazione?”
Aria ancora più stupita : “La nostra collaborazione è già ottima, la lettera che ha in mano lo prova, mi sembra”.
“Il fatto è che lei mi impegna al 30% del mio potenziale. Potrei fare molto di più, se lei me lo consentisse…”
A quel punto è affiorato nella sua voce – in maniera quasi impercettibile – un tono di irritazione : “Se c’è qualcosa che non va nel suo lavoro, il problema è solo suo. Io sono stracontento di lei. Quand’è la prossima riunione?”
Che debbo fare, per ora mi aggrappo a quell’aggettivo: stracontento.
Ma non demordo. Tornerò alla carica…

Lavoro
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