Letteratura
“Ore del tempo perduto” del poeta Antonio Spagnuolo
Antonio Spagnuolo (Napoli, 1931) è uno dei migliori poeti italiani. In questo libro, che è una ristampa anastatica del 1953, si intuiscono le potenzialità dell’autore, potenzialità che sono state espresse pienamente negli anni, nel corso di una lunga e gloriosa carriera poetica.
Questo volume, edito da la Valle del Tempo, è impreziosito da un ottimo saggio breve che esplicita la poetica di Spagnuolo e anche da una lettera di Umberto Saba, che per primo capì che il giovanissimo Spagnuolo era un ottimo poeta. Da queste liriche si capisce il grande talento, che coesiste con la conoscenza della tradizione. Si capisce anche la precocità di Spagnuolo, perché sappiamo bene che per fare apprendistato poetico e per formarsi un immaginario e tradurre tutto ciò in versi ci vogliono oggi almeno 30-35 anni d’età a un poeta o a una poetessa, che si rispetti. Da questi versi si intuisce che Spagnuolo può diventare un’eccellenza lirica, cosa che poi di fatto negli anni successivi si è verificata. Ma procediamo con ordine.
Bisogna riprendere il filo che lega lo Spagnuolo giovanissimo a quello più maturo. Nei componimenti più recenti il poeta dimostra di fondare la sua arte su solidissime sovrastrutture intellettuali, permeate da una grande cultura umanistica. Ma per capire la sua produzione più recente bisogna anche rifarsi a quel ragazzo, innamorato dell’amore, della poesia, della natura, della vita, che comunque sapeva le contraddizioni dell’animo, il mistero insondabile della morte, l’inconoscibilità del sostrato noumenico (“Svaniva tutto,/ purificando il cuore,/ solo pensando a cose che non so.”, “Un’ombra nel buio m’affoga,/ eppure è tanta luce. È un nulla che fluisce opaco, e ciò che sento svanisce./ Piango per il tuo viso mamma mia,/ che più non vedo.” e ancora “Come quel tronco stecchito, /senza chioma,/ il riso della notte,/ freddo:/ il mio peccato,/ sogghigna./ Solo con il terrore,/ nell’oscuro”).
In queste sue prime poesie ci sono evocazioni, simboli, immagini, Eros e Thanatos. C’è un poeta, ancorato alla tradizione, in cerca della verità ma con una visione del mondo e uno stile originale già definiti, seppur non abbia ancora aperto le porte all’inconscio, senza lasciarsi sopraffare, come avverrà in seguito. La sua è già una poesia ben calibrata, ben ponderata, che definirei del giusto mezzo, non basata sull’accumulo o sulla sottrazione, non basata sulla banalità sentimentalistica né sulla complicazione intellettualistica astrusa. Non cerca mai il birignao né la retorica, non dice mai troppo né troppo poco, evitando l’anaffettività troppo cerebrale e l’enfasi diaristica, ma giungendo alla giusta distanza dalle cose della vita e del mondo con il necessario pathos e la necessaria partecipazione emotiva.
Bisogna leggere queste poesie per capire tutto il resto, non solo il poeta Spagnuolo ma anche l’intellettuale, l’operatore culturale e alla fine l’uomo. Queste poesie sono una premessa, un’anticipazione di ciò che si è realizzato compiutamente negli anni successivi. Questo volume è per così dire propedeutico per capire il poeta.
Ma per capire molto di Spagnuolo bisogna anche leggere e rileggere le prime pagine di questo volume, il suo saggio breve: la sua concezione alta e nobile della poesia, intrisa dell’autenticità dell’essere e della sacralità della verità interiore in un mondo ormai dominato dal consumismo, dal narcisismo, dalla razionalità tecnologica, dai rischi del web e della cultura di massa. Spagnuolo riprende la tematica dell’inconsumabilità e dell’assenza di mercificazione della poesia, tanto caro a Pasolini. In un mondo dominato dall’utilitarismo e dal pragmatismo le poesie sono ore del tempo perduto, ma se guardiamo in profondità e siamo veramente umani la poesia può continuarci a dare molto sia per l’apporto culturale che interiore: questa è la vera lezione di Spagnuolo.
Ma ora veniamo a una piccola nota polemica: questo volume ci fa capire anche che in questi ultimi decenni siamo degenerati perché oggi pochissimi ventenni, più unici che rari, riuscirebbero a scrivere versi come quelli del 1953 di Spagnuolo. Oggi probabilmente non ci sono più i Saba, pronti a riconoscere i talenti dei giovanissimi, ma neanche giovanissimi e precoci Spagnuolo, forse il livello medio si sarà pure alzato, aumentando il tasso di scolarizzazione, ma scarseggiano le eccellenze.
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