Letteratura
“Ventotto poesie russe e una italiana”, la bella raccolta di Paolo Nori per Crocetti Editore
Paolo Nori è uno scrittore difficilmente classificabile. Forse perché è errato in partenza voler definire la scrittura e colui che tale esercizio conduce per passione o per professione. Tornando a noi, Paolo Nori è difficilmente classificabile perché la sua missione letteraria sta tutta in una frase con cui ama definirsi: “A me piacciono due cose che fanno piangere: la letteratura russa e le partite del Parma”. E allora la sua scrittura ruota tutta attorno a questi due soli, a parte il fatto che un mondo con due soli, per ora, non si è mai visto, tranne che nei romanzi di fantascienza. Potremmo dire che la scrittura di Paolo Nori è fatta di frammenti, tanti piccoli frammenti, come quelli del suo blog che offre una mappa dettagliata dei suoi interessi letterari e delle sue ultime attività.
Crocetti Editore ha recentemente pubblicato un libro in cui Paolo Nori indaga uno di questi due soli. Un libro in cui commenta, con stile fortemente autobiografico, ventotto componimenti di poeti russi. “E questo cielo, e queste nuvole – 28 poesie russe e una italiana scelte e commentate da Paolo Nori” è un libro in cui Nori svela molto della sua intimità, compreso quel brutto incidente che lo ha visto allettato a lungo presso l’Ospedale Maggiore di Bologna. Lo stile che adotta è estremamente colloquiale, lo stesso che utilizzerebbe incontrando un amico al bar nella sua terra d’origine, e proprio per questo il suo libro è interessante, perché ti fa sentire Paolo Nori vicino, che sussurra, comunicando quella passione per la letteratura russa per cui è ormai universalmente noto.
Ma prosa e poesia sono due mondi distinti, sono due soli distinti. Avvicinarsi alla poesia russa è rappacificarsi con un mondo che in questi anni abbiamo conosciuto solo attraverso le storture di una guerra in cui aggressore e aggredito coincidono per le nostre povere coscienze. Perché nella poesia russa emerge un romanticismo fatto di eroismi individuali, libertà, nostalgia e di una formidabile capacità di espressione dei sentimenti. Lui stesso racconta così la sua predilezione per la poesia russa: «Io, tutte le volte che vado in Russia, una delle prime cose che faccio è guardare il cielo e mi vien sempre in mente una breve poesia di Velimir Chlebnikov: “Poco, mi serve./ Una crosta di pane,/ Un ditale di latte,/ E questo cielo/ E queste nuvole”. E quando penso alle due donne della mia vita, mia figlia e sua mamma, mi vien sempre in mente un’altra poesia di Chlebnikov che inizia dicendo: “Le ragazze, quelle che camminano,/ Con stivali di occhi neri/ Sui fiori del mio cuore”. E quando sto male, ma male, mi viene in mente quella poesia di Pasternak che finisce dicendo: “Vivere una vita non è attraversare un campo”. Oppure quella di Mandel’štam che comincia dicendo: “Ho imparato la scienza degli addii, nel piangere notturno a testa nuda”. E allora, quando Crocetti mi ha proposto di scegliere e di commentare un certo numero di poesie russe che mi piacciono, io gli ho risposto di sì, che lo facevo».
Ho letto questo libro di Paolo Nori in un momento molto particolare della mia vita. Ventotto poesie russe e una italiana. Quando ho letto il componimento con cui Nori ha scelto di chiudere il suo libro ho capito perché lo sentivo sussurrare nell’orecchio. Sembra che i poeti russi abbiamo saputo descrivere con estrema umanità tutto, veramente tutto, anche le sensazioni di un lutto attorno a cui si resta a ragionare per giorni, e non ci si dà pace per giorni. L’ultima poesia del suo libro è di Angelo Maria Ripellino (Poesie. 1952-1978, Einaudi, Torino 1990, p. 21).
E lo ringrazio per avermela così gentilmente sussurrata.
XXIX
Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sé sempre il meglio
e non essere scaltri.
Vivere è amare la vita
coi suoi funerali e i suoi balli,
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.
Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta,
schivare le gonfie parole
vestite con frange di festa.
Vivere è scegliere le umili melodie
senza strepiti e spari,
scendere verso l’autunno
e non stancarsi d’amare.
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