La musica del 1985 è ricca di figure comparse, arrivate al successo, e poi rapidamente sparite

Musica

Speciale 1985 – Rockin’on the Cold War

La Geopolitica sonora del 1985, tra muri che cominciano a sgretolarsi e resistenze a colpi di cassette pirata

5 Luglio 2025

Nel cuore del 1985, mentre Ronald Reagan e Michail Gorbačëv ingaggiavano un delicato pas de deux geopolitico segnato da 40 lettere confidenziali e quattro vertici in tre anni, la musica si trasformò in linguaggio universale di resistenza. Reagan, che nel 1983 aveva bollato l’URSS come “impero del male”, cambiò atteggiamento in occasione del cambio al vertice dell’Urss.

Ma il mondo si scongelava non solo tra le due superpotenze. Nell’aprile 1985, il governo cinese autorizzò i Wham! a esibirsi a Pechino, primo concerto occidentale nella Cina post-maoista. Il manager Simon Napier-Bell aveva ingannato le autorità presentando George Michael come “ragazzo perbene” contrapposto allo “scandaloso” Freddie Mercury. Lo storico evento al Workers’ Gymnasium, trasmesso dalla BBC con commenti in mandarino davanti a 15.000 spettatori, fu un capolavoro di diplomazia sonora.

Intanto, nei territori del blocco sovietico, i nastri magnetici divennero valuta di libertà. Born in the U.S.A. di Springsteen, erroneamente celebrato dal presidente in un discorso da campagna elettorale l’anno prima come inno patriottico, era protagonista delle trasmissioni pirata all’est. Gli archivi della Hoover Institution conservano registrazioni delle trasmissioni di Radio Free Europe/Radio Liberty, che includevano brani come “Born in the U.S.A.” per sostenere i movimenti dissidenti nell’Europa dell’Est. Un rapporto CIA declassificato rivelò che cassette del Boss circolavano nei gulag siberiani, sovvertendo il mito della “decadenza capitalista”. Leggende raccontano che in Afghanistan, i mujaheddin ascoltavano Russians di Sting su walkman sottratti ai soldati sovietici, mentre la canzone interrogava l’umanità condivisa oltre le ideologie.

Parallelamente, i R.E.M. con Fables of the Reconstruction (giugno 1985) crearono un album-culto la cui estetica “gotica sudista” divenne codice di resistenza. A Catania, dove vivevo in quegli anni, il gruppo di Athens era oggetto di un culto quasi ossessivo. Loro ed altri gruppi “minori” dell’epoca (Violent Femmes, Smiths solo per citarne un paio) resero quella alle pendici dell’Etna una città-simbolo della musica non allineata alle esigenze delle majors discografiche, con negozi di dischi e radio private che trasmettevano dischi recuperati in maniera rocambolesca con spedizioni dall’Inghilterra e dagli USA (queste ultime spesso sfruttando la prossimità con la base militare di Sigonella). Radio Free Europe risuonava anche durante le proteste studentesche contro gli euromissili, i manifestanti intonavano Driver 8 trasformando il treno del testo in metafora di fuga nucleare.

Oltremanica, il collettivo britannico Red Wedge (fondato da Billy Bragg e Paul Weller) ridefiniva il rapporto tra musica e politica. Attraverso tour nei college e manifesti multimediali, artisti come The Style Council e Madness sostennero le proteste dei minatori in giro per la Gran Bretagna e il Labour Party di Neil Kinnock, trasformando i concerti in assemblee politiche per mobilitare i giovani contro le politiche thatcheriane e il riarmo nucleare.

Fu in questo clima che il progetto “Artists United Against Apartheid” di Steven Van Zandt riunì 49 icone globali – da Bruce Springsteen a Miles Davis, da Bob Dylan a Bono – sfidando apertamente il regime sudafricano e la politica americana del constructive engagement. La canzone Sun City, registrata in 15 studi tra New York e Dublino, divenne un manifesto sonoro: il 50% delle radio USA la censurò per le critiche a Reagan, mentre in Sudafrica fu vietata. Ogni copia venduta si trasformò in un atto di disobbedienza culturale, raggiungendo il 5° posto nella classifica di Rolling Stone.

Il 1985 dimostrò che la musica era un vero attore geopolitico. Le collaborazioni di Sun City anticiparono la diplomazia artistica degli anni ’90, mentre i Wham! in Cina aprirono la strada ai concerti di Billy Joel e David Bowie a Mosca negli anni successivi. I R.E.M. piantarono semi che fiorirono nel 1989, quando It’s the End of the World risuonò durante la Rivoluzione di Velluto. Come osservò Danny Schechter, regista del documentario su Sun City: “Il nastro magnetico fu un’arma più potente dei missili”. Mentre Reagan e Gorbačëv negoziavano la riduzione degli arsenali, gli artisti smantellavano le barriere psicologiche: nota dopo nota, muro dopo muro.

La prima puntata qui

Playlist della Guerra Fredda (1985)

1. Artists United Against Apartheid – Sun City  

2. Wham! – Wake Me Up Before You Go-Go (live a Pechino) 

3. R.E.M. – Driver 8 

4. Style Council – Walls come tumbling down (video registrato a Varsavia)

5. Billy Bragg – Between the wars (inno del Red Wedge)

6. Bruce Springsteen – Born in the U.S.A.  (video della “gaffe” di Ronald Reagan)

7. Sting – Russians

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