Storia
Angelo Adam, l’ebreo perseguitato dal fanatismo ideologico
Luglio 1945, il giorno non è certo, Angelo Adam, un intellettuale ebreo, rientra finalmente a Fiume, la sua città non più italiana ma occupata dalle milizie titine. Adam era noto per essere stato un militante antifascista con simpatie comuniste, che il fascismo aveva confinato a Ventotene. Liberato, nonostante la sorveglianza a cui era stato sottoposto, come tanti italiani che dissentivano dal regime aveva lasciato l’Italia per raggiugere Parigi. Purtroppo, però, non aveva fatto in tempo a mettersi in salvo quando le truppe tedesche erano entrate a Parigi. Denunciato da un collaborazionista, era stato catturato e deportato nel lager di Dachau era stato uno dei pochi sopravvissuti. Una storia terribile che, tuttavia, avrebbe avuto una coda finale drammatica.
A Fiume, Adam non era rimasto con le mani in mano, imprudentemente aveva ripreso i contatti con gli amici di un tempo, coloro con cui aveva condiviso l’opposizione all’odioso regime mussoliniano che, dopo avere combattuto il fascismo subendone conseguenze tragiche, ora difendevano le ragioni della comunità italiana.
Adam, e i suoi compagni, si rendevano conto che la italianità di Fiume non era più difendibile e auspicavano un accordo che garantisse alla comunità italiana di potere far parte del nuovo ordine salvaguardandone la propria peculiarità, a cominciare dalla difesa della lingua.
Nel clima arroventato di quegli anni, qualsiasi attività politica era a rischio ma Adam pensava di essere al sicuro anche in forza della sua biografia personale e delle, mai nascoste, simpatie comuniste. Ma si sbagliava.
Il redde rationem arrivò il successivo 4 dicembre quando, a mezza notte e mezza, lui e la famiglia vennero svegliati da violenti colpi battuti al portone di casa. Saltato giù dal letto, presagendo qualcosa di grave, prima di aprire ordina alla figlia di nascondersi in un sottoscala.
Quando apre, si trova di fronte alcuni individui della polizia titina che gli impongono di seguirlo in una caserma ubicata non molto lontana dalla sua abitazione.
Angelo Adam, non fa resistenza, si veste pronto a seguirli ma, i poliziotti non si accontentano, vogliono che a seguirli sia anche la moglie Ernesta Stefanchic.
Non si accorgono, però, che nell’appartamento c’è, testimone scomoda, anche Zulema, la figlia diciassettenne di Angelo che dal sottoscala ha ascoltato quando stava accadendo ai genitori.
Di Angelo Adam e della moglie Ernesta, non si trovò a più traccia, quasi fossero stati inghiottiti da un buco nero, restava però, la figlia Zulema che non si rassegnò alla loro perdita tanto da mettersi già dal mattino successivo alla ricerca dei suoi genitori.
Nella ricerca coinvolge anche alcuni amici del padre Angelo ma anch’essi nel giro di qualche giorno scompariranno divorati dal solito buco nero.
A questo punto Zulema, con la forza della disperazione, si presenta alla caserma titina in cui erano stati visti entrare per l’ultima volta i coniugi Adam. Un errore fatale, visto che da quella caserma anche la ragazza non è più uscita, lo stesso buco nero aveva divorato anche lei.
Degli Adam, nessuno seppe più niente e se ne è a conoscenza solo per un racconto fatto da un profugo che era riuscito a sfuggire alla mattanza.
La tragica storia della famiglia Adam è un esempio emblematico di ciò che accadde nelle terre giuliane e istriane a decine di migliaia di bambini, donne e uomini, solo colpevoli di appartenere alla comunità italiana.
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