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Storia

Il lavoro nella dignità dell’uomo

di Biagio Riccio
1 Maggio 2018

La festa del lavoro induce ad una riflessione: l’uomo per il suo lavoro è rispettato nella sua dignità?
Nell’enciclica Populorum Progressio Paolo VI, promuove l’umanesimo integrale, lo sviluppo dell’uomo in tutta la sua totalità, sulla scia di tematiche di pensiero di un grande filosofo francese, Jacques Maritain.
Il Papa della finissima intellettualità vede nella dignitas hominis la chiave di lettura, affinché l’uomo possa, come è scritto nella Bibbia, “riempire la terra ed assoggettarla”.

Dio, che ha dotato l’uomo d’intelligenza, d’immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste, l’operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli. Il lavoro sviluppa anche la coscienza professionale, il senso del dovere e la carità verso il prossimo”( passim Populorum Progressio).
Così anche Giovanni Paolo II ci ricorda Lazzaro nel Vangelo per cui, nella Sollicitudo Rei socialis, scrive: “In ogni singolo uomo è dato il diritto «ad assidersi alla mensa del banchetto comune», invece di giacere come Lazzaro fuori della porta, mentre «i cani vengono a leccare le sue piaghe» (Lc 16,21). Sia i popoli che le persone singole debbono godere dell’eguaglianza fondamentale, su cui si basa, per esempio, la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: eguaglianza che è il fondamento del diritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno sviluppo”. (Sollicitudo Rei socialis).
“La gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. Negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi” (Caritas in Veritate enciclica di Papa Benedetto XVI).
In realtà si è perduto il rispetto per il lavoro e la società si avvia ad una diseguaglianza che non conosce più proporzioni, come ci ha detto in un bellissimo libro Joseph Stiglitz: “Se i mercati avessero mantenuto le promesse di migliorare il tenore di vita, tutti i peccati delle imprese, tutte le apparenti ingiustizie sociali, i danni all’ambiente in cui viviamo o lo sfruttamento dei poveri avrebbero potuto essere perdonati. Il capitalismo non riesce a fare ciò che ha promesso e fa cose che non aveva promesso crea diseguaglianza, inquinamento, disoccupazione ed il degrado dei valori al punto che si può accettare tutto e nessuno è responsabile” (Il prezzo della diseguaglianza).
Vale ancora, inconcusso, quanto scrisse Marx: “Certamente il lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell’operaio. Produce palazzi, ma caverne per l’operaio. Produce bellezza, ma deformità per l’operaio.
Il lavoro resta esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensì mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito” (Manoscritti economici filosofici).
La dignità dell’uomo nel lavoro trova il suo rispetto.

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