Storia

L’uso della memoria a destra

3 Giugno 2025

Scrive Alessandro Portelli nella presentazione breve e densa a Politica e martirio di Amy King, che “questo libro costruisce un’altra pietra «d’intralcio» perché impone memorie sgradite a noi antifascisti e decostruisce il modo in cui i fascisti e la destra ricordano”. E aggiunge: [Politica e martirio] ci fa capire che i fascisti, visti e ascoltati da dentro, non sono tutti come ce li siamo rappresentati e, in secondo luogo, perché certe logiche della memoria di destra non sono poi così lontane dalle nostre”

Politica e martirio di Amy King è un testo molto utile per capire la retorica politica di questo nostro tempo. Soprattutto non delude le attese.  Un testo che mette al centro le forme della comunicazione della destra in Italia e che consente di affrontare con strumenti e criteri significativi e innovativi la questione della continuità e della discontinuità tra la destra italiana alla data odierna e le sue matrici o le sue fascinazioni per la retorica fascista della prima metà del ‘900 senza per questo indulgere in nessuna affermazione che non colga anche la distanza da quel tempo.

Amy King parte da un fatto di morte concreto, ma soprattutto lavora sulle forme attraverso le quali quel fatto ha costituito una memoria, e ha dato un’identità culturale e politica alla destra missina e poi alle diverse famiglie politiche che dallo scioglimento del Movimento sociale italiano [Msi] hanno dato luogo al panorama della destra estrema in Italia tra anni ’90 e oggi.

Partiamo dunque da quel fatto.

La notte del 16 aprile 1973 viene compiuto un atto di terrorismo nell’appartamento del segretario della sezione del Msi a Primavalle Mario Mattei. Nell’attentato muoiono Virgilio Mattei di 22 anni e Stefano Mattei di 10 anni, due dei sei figli di Mario Mattei. L’attentato è compiuto da militanti di Potere operaio.

La memoria di quell’attentato ha impiegato molto tempo ad entrare nell’opinione pubblica. A lungo quell’atto costituisce una memoria per la destra mentre vaste aree della sinistra ritengono che sia un falso e che i responsabili vadano cercati nell’area dell’estrema destra contraria alle posizioni più moderate di Mario Mattei.

Ma quella memoria è complicata anche a destra. Nel processo di trasformazione che conduce verso Alleanza Nazionale, una parte del Msi vive quella trasformazione come un tradimento delle origini e i morti in quell’attentato come la testimonianza di un’identità che una parte del Msi vuol dismettere.

Questo è ciò che fa di quell’episodio – meglio: dell’uso della memoria di quell’episodio – un percorso interessante per dare un volto alla cultura della destra  a partire dal 1988 – ovvero  successivamente alla morte di Giorgio Almirante, segretario storico del Msi tra anni ’60 e la metà degli anni ’80. L’episodio del 16 aprile 1973 e soprattutto i funerali dei due giovani Mattei (19 aprile 1973) a cui Almirante con la moglie partecipano in prima fila, era stato assunto dal Msi  come la dimostrazione di una identità da rivendicare a fronte di una repubblica democratica che solo a parole riconosceva i torti e perseguiva giustizia. Dunque quell’episodio acquista valore di contro memoria.

Proprio intorno a quella macchina è significativa la ricerca di Amy King che muove da una osservazione interessante di Michel Foucault (il testo è leggibile qui).

Si tratta, scrive Foucault in quel testo, di sollecitare l’uso sacrificale e distruttore di verità che si oppone alla storia-conoscenza. In ogni modo, si tratta di fare della storia un uso che la liberi per sempre dal modello, insieme metafisico ed antropologico, della memoria. Si tratta di fare della storia una contromemoria, – e di dispiegarvi di conseguenza una forma del tempo del tutto diversa.

Laddove la contromemoria è costruita in opposizione alle visioni egemoniche dl passato e associata a gruppi che sono stati lasciati fuori dalla storia ufficiale.

L’autonarrazione di chi rivendica l’identità del Msi o comunque di un segmento di storia del proprio passato da cui non ha alcuna intenzione di dimettersi, fa in modo che la memoria di quei due morti e la memoria di quell’attentato, anche in conseguenza della freddezza che dimostra l’opinione pubblica, una parte della sinistra, vada oltre l’episodio. Quei due morti entrano nel pantheon di una comunità. Più precisamente: sono un tratto  della memoria di chi all’estrema destra non ha intenzione appunto di intraprendere né un precorso di riconciliazione con memoria repubblicana comunque di partecipare facendo la propria parte alla costruzione di una «memoria condivisa».

Dunque quell’episodio all’indomani del processo che lentamente conduce alla crisi del progetto di Alleanza nazionale di Gianfranco Fini e all’insorgenza del movimento che conduce alla costruzione di Fratelli d’Italia acquista un nuovo valore anche per l’uso che ne fanno,  a partire dalla fine del millennio e poi negli «anni doppiozero», sia Casa Pound Italia sia Forza nuova, soprattutto nelle cerimonie di costruzione di luoghi della memoria fascista.Tra questi:  Acca Larenzia, il luogo della morte di Sergio Ramelli, la riappropriazione simbolica e politica della strada in cui era collocata la casa della famiglia Mattei a Primavalle per finire alla rivalorizzazione della cappella dei martiri fascisti al cimitero monumentale del Verano in cui entrano anche i due fratelli Mattei.

Il problema, come sottolinea Amy King, non è solo il calendario civile alternativo che si crea, ma la reiterazione e la manifestazione sempre più plateale di gesti, riti, slogan, posture del corpo, che hanno una filiazione diretta con altrettanti atti della retorica politica del fascismo regine e della esperienza saloina.

Allo stesso tempo, sottolinea Amy King, questa gestualità non è solo rappresentazione teatrale.

“Le organizzazioni di estrema destra odierne – scrive Amy King – si propongono come il secondo avvento dei fascisti della prima ora […]. La loro forma di militanza è la commemorazione non la violenza (sebbene la violenza spesso affiori), ma si propongono come la nuova avanguardia ricalcando le tracce retoriche che evocano parallelismi con il passato” [p. 208]

Il che non significa che dovremmo andare a cercare negli atti di esercizio fisico l’espressione della violenza. Perché se nella sua forma propria la violenza ha per effetto il corpo; nella sua forma simbolica si attua mediante l’intervento di segni e si manifesta come minaccia. Soprattutto il ricorso ai riti simbolici che evocano l’esercizio della violenza (e dunque ne minacciano la messa in atto) alludono a una condizione di crisi che intravede nel ricorso alla violenza uno strumento utile.

Ma anche: la violenza è il linguaggio che fonda il patto tra contraenti. Probabilmente è anche la prova di lealtà al gruppo e è l’atto che sancisce se si è parte de gruppo oppure si può ambire a farne parte oppure no. Un codice che ricalca l’appartenenza religiosa della setta come ha osservato il filosofo Byung-Chul Han nel suo Topologia della violenza.  Il che significa che la categoria della violenza non è solo l’atto materiale che compi, ma il discorso politico che la sostiene, l’accompagna e la legittima, se per caso diventa atto concreto, conseguente e non preliminare a un impianto culturale e a un immaginario.

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