
Storia
Oltre il Salento, una dimensione mediterranea per il fenomeno del tarantismo
In un suo recente saggio lo studioso Vincenzo Santoro riaffronta il fenomeno del tarantismo ponendolo in una dimensione mediterranea.
Gibellina. Vincenzo Santoro, classe 1970 è un antropologo militante e un rigoroso ricercatore indipendente. Lavora e vive a Roma, ma non ha mai tagliato il suo cordone ombelicale culturale col Salento, la terra da cui proviene (è nato e cresciuto ad Alessano) e che ha reso il cuore stesso del suo impegno di ricerca. Sulla scorta di quel gigante dell’antropologia italiana che è stato Ernesto De Martino, si occupa da anni infatti di quel fenomeno complesso, affascinante e ricchissimo di implicazioni che è il tarantismo. A questo fenomeno ha dedicato ben due libri: la curatela di una raccolta di saggi “Percorsi del tarantismo mediterraneo” (autori: Sergio Bonanzinga, Gino l. Di Mitri, Marco Lutzu, Goffredo Plastino) e un suo corposo saggio “Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale” che esplora, rende chiari e amplia, in una dimensione mediterranea, i confini geografici di questo fenomeno. Si tratta di due lavori, editi entrambi da ItinerArti nel 2021, cioè a sessant’anni esatti dalla pubblicazione dello storico saggio di De Martino “La Terra del rimorso”. Ha presentato il suo interessantissimo lavoro a Gibellina, in Sicilia, l’11 luglio scorso nell’interessante contesto della programmazione delle Orestiadi. Lo abbiamo incontrato.
Perché il tarantismo è un fenomeno che affascina così tanto antropologi e ricercatori delle più svariate discipline?
«Io credo che ci siano due ragioni che spiegano il fascino che il tarantismo esercita su antropologi, su ricercatori di diversi ambiti disciplinari, ma anche su un vasto pubblico di non addetti ai lavori. La prima ragione è legata al fatto che si tratta di un fenomeno che vede la musica (e con la musica il ballo e l’arte in generale) protagonista in qualche modo di fenomeni di cura e guarigione di mali che riguardano l’anima. La seconda ragione, credo, che attenga al fatto che nel Salento, che è la terra in cui probabilmente questo fenomeno ha avuto origine e nella quale è ambientato il fondamentale studio di Ernesto De Martino “La terra del rimorso”, su una lettura contemporanea e creativa di questo fenomeno si è costruito uno straordinario movimento di rilancio socio-culturale ed economico del territorio, di cui l’elemento più visibile è il grande festival della “Notte della taranta”».
La sua ricerca rinviene tracce di questo fenomeno in un ambito mediterraneo, cioè ben oltre solo il Salento.
«Si e questo è il tema centrale del mio ultimo libro (“Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale”). A più di sessant’anni dall’uscita del libro di Ernesto De Martino, la grande mole di documenti e testimonianze su questo fenomeno ci ha rivelato una sua natura molto più complessa e una estensione geografica mediterranea e comunque molto più ampia rispetto al Salento. C’è da dire che sicuramente De Martino aveva intuito queste caratteristiche, laddove ad esempio, dagli studi della sua allieva Clara Gallini, gli arrivavano notizie sul fenomeno dell’argia in Sardegna. In altre parole De Martino aveva intuito una dimensione mediterranea del fenomeno. Nel mio studio documento una fortissima presenza di questo fenomeno in tutta l’Italia meridionale: parte dal Salento e dalla Puglia fino a tutto il 1500, poi si diffonde in Calabria e Sicilia (con testimonianze che lo raccontano fino vivo alla fine dell’ottocento) e soprattutto in chiave maschile. Caratteristica quest’ultima che non è evidente come dovrebbe essere invece. In Campania sicuramente ci sono delle presenze e delle testimonianze, qualcosa in Lazio. La Sardegna va considerata sicuramente con il fenomeno dell’argia: un insetto con connotati simbolici simili a quelli della taranta. Poi in Spagna a partire dalla fine del settecento, addirittura con una sorta di insorgenza pandemica. Un episodio, mal testimoniato però, si trova nella Francia meridionale nella zona di Marsiglia. Nel Nord Europa questo fenomeno non è presente, ma in quell’aerea c’è il Ballo di San Vito, un fenomeno interessante e in qualche modo simile al tarantismo, ma senza taranta e con una diversa funzione della musica.
Oltre al Mediterraneo si possono individuare altre aree geografiche?
«Andando ancora più indietro, De Martino aveva intuito il legame del Tarantismo con una classe di fenomeni rituali e cultuali di possessione e di trance legati alla musica e alla danza, che sono riscontrabili in un’area vastissima. Un’area che tocca sicuramente, oltre al Medio Oriente e al Nord Africa, anche l’Africa Sub Sahariana e, da qui, il Centro e il Sud America (si pensi al Candomblè brasiliano, o al Vodoo haitiano) e molte altre aree del mondo. Culti di possessione mediati dalla musica e dal ballo che hanno funzioni e caratteristiche diverse.
Cosa racconta la figura di San Paolo in questo contesto?
«Per quanto riguarda San Paolo e la sua presenza nel Tarantismo dobbiamo ricordare che, oltre alla figura di grande teologo/ideologo del Cristianesimo, egli nella religiosità popolare presenta, derivandolo da un passo specifico degli Atti degli Apostoli (laddove si racconta che a Malta egli venne morso da un serpente), una specie di patronato sugli esseri striscianti (i serpenti, gli scorpioni e i ragni). Una tradizione più antica del tarantismo certo, ma che nel tarantismo ha trovato una sua ulteriore espressione. Una tradizione che probabilmente passa da Malta alla Sicilia (dove si osservano ancora molte feste e luoghi di culto specifico) e che ha anche una sua interessante espressione iconografica: San Paolo spesso è rappresentato non solo con il libro e la spada, ma anche seguito e circondato da corteggi di vari e inquietanti esseri striscianti».
Si possono trovare delle tracce delle derivazioni di questi fenomeni dalla cultura classica pre-cristiana?
«La tesi di De Martino è questa: alcuni rituali antichi servivano a costruire dei percorsi di cura per le persone che presentavano gravi problemi psichici, ovvero malattie dell’anima che affliggevano misteriosamente chi ne soffriva. Per evitare che queste persone si perdessero del tutto c’erano questi rituali, comunitariamente riconosciuti, che riuscivano a salvarle e reintegrarle. Nel mondo classico, che noi conosciamo molto di più di altre culture antiche grazie alla presenza della scrittura, questo tipo di esperienze religiose e di possessione legati alla musica, alla danza e alla trance, erano certamente presenti e operanti. Il dionisismo, l’orfismo, il culto di Cibele, il coribantismo, i culti orgiastici genericamente detti. Ne parlano diversi autori importantissimi (Platone ad esempio) con attestazioni certe. De Martino dice ancora che, quando crolla – o comincia a crollare – il paganesimo, questi culti restano sospesi, perché la base ideologica su cui si basavano finisce ma i bisogni, materiali e spirituali, a cui rispondevano continuano ad essere presenti. Ecco che frammenti di questi culti continuano a vivere in modo sempre più debole, finché non trovano un’espressione sincretica nell’alveo cristiano, spesso nel contesto del culto dei santi, che consente di arrivare a quell’ulteriore fenomeno che De Martino chiama “riplasmazione”. Il tarantismo è appunto il risultato di una di queste riplasmazioni, con l’aggiunta dell’oggetto simbolico, del nume della taranta che non è mai presente nei culti orgiastici o nei fenomeni di possessione del mondo classico. La taranta è un essere totalmente simbolico, con questo nome vengono chiamati insetti, scorpioni, serpenti, ma la verità è che il morso (o lo sfiato) della taranta copre simbolicamente uno stato di fortissimo disagio psichico. Talvolta il morso di un insetto è presente realmente, talvolta può anche non esserci stato in alcuna forma, talvolta paradossalmente leggiamo che è stata l’apparizione in sogno di San Paolo a rivelare il morso e innescare lo stato di disagio psichico. Tra l’altro De Martino ci spiega che l’origine di questo rituale è quasi sicuramente da collocare nel medioevo quando, in concomitanza col divampare della lotta da Cristianesimo e Islam, si riscontra – ed è testimoniata ampiamente – una paura collettiva e diffusissima dei ragni velenosi e del loro morso».
Quanto è forte ancora il magistero di Ernesto De Martino? Che cosa è ancora vivo di esso?
«De Martino anzitutto ci ha insegnato a trattare in modo scientifico fenomeni che prima erano stati banalizzati e trattati come semplici credenze popolari o fenomeni di mero folklore. Poi ci ha indicato una attenzione all’umano che resta centrale: si tratta di fenomeni che riguardano persone in carne e ossa, “ nostri compagni” lui diceva. Questo vale sul piano generale. Nel particolare del tema del tarantismo, ne “La terra del Rimorso” e in “Morte e pianto rituale” c’è questa sua straordinaria capacità di coniugare una lettura storica di lunga durata (ricordiamo che le prime fonti sul tarantismo sono del 1362, quindi un campo di sette secoli di storia) con le risultanze di una concreta e specifica ricerca sul campo fatta in Salento, nell’estate del 1959. Questa capacità di lettura è straordinaria e ci dà una traccia metodologica su come affrontare questi temi. Altro elemento ancora centrale è ad esempio l’approccio multi e inter-disciplinare: egli portò con sé un sociologo, un etnomusicologo, uno psicologo, uno psichiatra e altri esperti per la documentazione. Io credo che questa straordinaria potenza d’indagine, esperita nel realizzare la “Terra del rimorso” (scrittura, fotografie, riprese video, musiche), è una delle ragioni fondamentali, se non la più importante, della notorietà di questo fenomeno che pemane ancora adesso».
Crediti fotografici: Studio 505
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