Jobs Act, la porcata della chiamata nominale per i disabili

20 Giugno 2015

Abbiamo certezze, o almeno conferme, che Giuliano Poletti, titolare del dicastero del Lavoro, sia un ministro intelligente? Volendo proprio dibattere il caso, la materia non mancherebbe e gira intorno a una sola questione: il capitale umano. Di cui Poletti sembra non maneggiare lo spessore, fattore di non pochissimo conto trattando delle condizioni e del futuro di milioni di persone. Nel giro di un paio di giorni, le cronache ci hanno riportato l’impianto di due iniziative che farebbero parte del Jobs Act: la prima, appena dibattuta su Stati Generali, riguardava la possibilità per le aziende di controllare i propri dipendenti attraverso le tecnologie a disposizione senza più accordo con i sindacati, com’era prima con lo Statuto dei Lavoratori.

La seconda, se vogliamo ancora più grave, è la chiamata nominale dei disabili per la quota prevista per legge, evitando cioè le graduatorie. Il datore di lavoro dunque si sceglie chi gli “piace” e non faccia scandalo il verbo piacere applicato ai disabili, sgraviamo il tutto delle solite ipocrisie e guardiamoci negli occhi. È chiaro che gli imprenditori, nella maggioranza dei casi, si porteranno a casa i disabili belli e scattanti, quelli meno problematici, lasciando a terra chi è in condizioni più difficili.

Naturalmente Poletti nega la possibilità di una deriva di questo genere, sostiene addirittura che sia un incentivo all’assunzione dei disabili più problematici, ma Ileana Argentin, parlamentare del Pd e disabile, è di tutt’altro avviso: «Chiunque può scegliere chiunque. Se vuoi il disabile biondo con gli occhi azzurri, te lo prendi. In pratica, arriviamo a non avere più una graduatoria che in qualche modo limita le preferenze. Ma questo non può essere soprattutto per i disabili con disagio mentale o cognitivo medio-grave, dai down ai ragazzi con problemi motori o mentali, capaci ma con difficoltà. Vanno tutelati, non discriminati».

La chiamata nominale di un disabile è, innanzitutto, una volgarità. È per definizione una volgarità. È una volgarità averlo solo pensato, anche se la chiamata per graduatoria ha attualmente un sacco di problemi, ma semmai sono problemi che riguardano la miseria umana di molti imprenditori che se ne fottono e non rispettano la legge. E per aggirare questa debolezza, al ministero hanno pensato bene di incentivare la propensione all’inumanità.

Ma la questione è ancora più grande e riguarda la visione del governo rispetto al mondo del lavoro, e quel certo modo di interpretare quel territorio vasto e per certi aspetti ancora inesplorato che è, appunto, il «capitale umano». In cui convergono una serie infinita di sensibilità, di sfumature, di attenzioni, che alla fine compongono un quadro discretamente più attendibile della condizione dei lavoratori. Le due iniziative di cui sopra ci porterebbero a concludere che il ministro Poletti, e dunque dovremmo pensare anche il Presidente del Consiglio, hanno per questa indagine psicologica del lavoratore una considerazione pari allo zero.

Non si spiegherebbe altrimenti la recrudescenza tecnologico-militare che porta l’esecutivo mette in carico alle aziende di controllare unilateralmente il lavoratore, è un’umiliazione nei fatti, è una certificazione governativa di assoluta sfiducia nei confronti della famigerata “classe operaia” (ma anche l’imprenditore non viene tenuto in gran conto, lui che i suoi dipendenti dovrebbero conoscerli a menadito) . E così nella spiacevolissima questione della chiamata nominale dei disabili.

È vero, è verissimo che trattare su tutto, sino allo sfinimento, ha fatto di questo Paese un carrozzone inamovibile. E dunque disincagliare la nave dalle secche sindacali era un imperativo ineludibile. Ma a chi governa tocca un surplus di responsabilità, soprattutto quando sono i temi del lavoro a essere centrali.

Ormai vanno di moda le maniere spicce, liquidatorie, che non contemplano piani di osservazioni diversi, che non comprendono indagine psicologica, come magistralmente sentenziò Ludovico Massa detto Lulù, un grande Gian Maria Volontè, ne «La classe operaia va in Paradiso».

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In copertina, il ministro Giuliano Poletti in compagnia del sindaco di Torino Piero Fassino, foto tratta dal profilo Flickr di MITO 

 

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CAT: lavoro dipendente

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