Non c’è budget per aumentarti lo stipendio. Ma per la mia barca c’è

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6 Novembre 2021

Ieri io e il mio ex cognato Simone, che è gay, iscritto alla CGIL e fa il saldatore, siamo andati a bere una birra con Tiziano in un locale aperto da poco in via Genova. Tiziano non è emiliano, infatti è di Rovigo, ma è comunque un bravissimo ragazzo, e io non condivido certi stereotipi che circolano a Ferrara sui rovigotti, o sui padovani che pure hanno i loro bei difetti. Tiziano lavora a Venezia, però viene spesso a Bologna perché la sua ragazza studia giurisprudenza in città, e dice sempre che dopo la laurea lo molla e va a prendere un LLM a Boston, si trova un fidanzato con un lavoro strapagato a Beacon Hill ed entra in un mega-studio di avvocatoni; io però ci credo poco perché sono convinto che pure le aspiranti avvocatesse d’assalto abbiano un cuore, e in ogni caso la ragazza è ancora giovane (ventitré anni), e crescendo si addolcirà.

Siccome quando c’è Simone a Tiziano e a me non sembra fine parlare di donne, anche perché poi lui dovrebbe parlarci di uomini e da quando Walter lo ha lasciato l’argomento lo deprime, e dato che Tiziano non ne capisce nulla di calcio e Simone è milanista poveretto, si finisce sempre per parlare di lavoro. Ieri ho raccontato ai ragazzi che in ditta posso andare a cagare solo in pausa-pranzo, e che secondo il mio capo, il dottor Pazzollini, si può mangiare e cagare allo stesso tempo. Simone, a cui avevo già accennato della cosa, mi ha ripetuto che si deve fare la rivoluzione. Io gli ho chiesto come si fa una rivoluzione, e lui mi ha risposto in modo enigmatico: “Sono le masse che sanno come fare”, quindi ha ordinato un altro giro per tutti e tre.

Tiziano ci ha guardato con aria di superiorità. “So io ragazzi come si fa la rivoluzione”, ha detto, e nel dirlo gli è venuta fuori la cantilena veneta che la sua ragazza odia, perché “i veneti sono terroni con gli occhi chiari”. Dato che aveva l’aria di saperla lunga, gli abbiamo chiesto cosa volesse dire, e lui ci ha spiegato tutto per filo e per segno.

Per farla breve, Tiziano si occupa della manutenzione delle caldaie per una ditta molto famosa a Venezia, Rovigo e Belluno, la San Marco Caldaisti 1913. Spesso arriva a lavorare dieci ore al giorno, e prende nove euro all’ora. Deve dare la disponibilità anche nel fine-settimana, per almeno cinque ore. “Nove euro all’ora sono una miseria – mi dice – Io inizio alle nove e torno quasi sempre a casa alle otto, e sono così sfinito che qualche volta nemmeno mangio: mi infilo nel letto e dormo, neanche fossi un vecio di settant’anni, e io di anni ne ho ventotto”.

Più di una volta ha detto al suo titolare che nove euro all’ora sono pochi. “Alla fine quello che produce il fatturato per la ditta sono io, io e i miei colleghi. Io alla ditta faccio guadagnare cinquantamila euro l’anno, moltiplicalo per nove sono mezzo milione di euro, che ca**o!”. Il suo titolare però gli risponde sempre la stessa cosa: “Non c’è budget. Lavorare si deve, c’è crisi, lavorare bisogna Tiziano”. In realtà la risposta è in dialetto veneziano, io però sono una frana con i dialetti quindi riporto la risposta del titolare in italiano.

Tiziano è un ragazzo paziente. Per sette anni ha accettato la risposta del titolare con stoicismo e pazienza, perché a quelli della nostra generazione hanno giustamente insegnato che non si deve essere choosy, o troppo fissati con i propri diritti: se uno inizia a polemizzare, a inveire contro il titolare che lo sfrutta, come fa l’economia del sistema-paese a essere competitiva sui mercati globali? I giovani cinesi lavorano per tre euro l’ora, basterebbe fare anche solo un po’ meglio di loro, ed essere pronti a lavorare per due euro l’ora, e l’Italia in men che non si dica tornerebbe a essere la quinta potenza economica del mondo! Molte fabbriche di magliette o di jeans che ora stanno in Bangladesh, Malesia, Indonesia tornerebbero in Italia, e ci sarebbe così tanto lavoro da cancellare la disoccupazione giovanile, e persino quella minorile.

La settimana scorsa però il titolare ha fatto perdere la trebisonda a Tiziano una volta per tutte. Gli ha mandato un whatsapp con una foto della sua nuova barca, scrivendo: “Un uomo è un vero uomo solo se ce l’ha lungo almeno 15 centimetri, una barca è una vera barca solo se è lunga almeno 20 metri”. A parte il fatto che un uomo non è certo meno uomo se ce l’ha lungo, che so, tredici centimetri e mezzo (in Romania, mi ha detto mia moglie Alina, la media è dodici centimetri e settantatré), in ogni caso quando ha visto la foto della barca nuova Tiziano ha sbroccato, e gli ha scritto: “Quindi il budget per darmi uno stipendio un po’ più decente non c’è, ma per farti la barca da venti metri sì?”. Il titolare ha risposto: “Non devi confondere la situazione dell’azienda con le mie finanze personali”.

La risposta a Tiziano proprio non è piaciuta. Il giorno dopo si è fatto prestare il computer da sua sorella e ha scritto una bella lettera di dimissioni. “Da dove vengono le finanze personali di quello? Dal mio lavoro, dal lavoro dei colleghi porco cane! – ha spiegato a me e a Simone che lo guardavamo ammirati ma anche un po’ straniti – Io mi sono dimesso, e ora lui è nella m**da, perché sostituirmi non è facile, neanche un po’. Se i miei colleghi facessero lo stesso, si troverebbe in braghe di tela e allora altro che barca da venti metri!” Io gli chiesto se non era preoccupato di rimanere senza lavoro, e lui mi ha subito rassicurato: “Mona, ogni mese ricevo una o due offerte dalla concorrenza. Ho subito trovato lavoro in una ditta di Rovigo, mi danno gli stessi schei ma almeno il weekend ce l’ho libero”. A quel punto Simone ha chiosato, marxianamente: “Il punto è che il capitalista estrae dall’attività del lavoratore il plusvalore, e più plusvalore estrae più si lamenta”. Mentre finivo la mia terza birra, ho chiesto a Tiziano se secondo lui era così che si poteva fare la rivoluzione, dimettendosi dal proprio posto di lavoro. Mi ha risposto di sì, che la strada secondo lui era quella. Però se uno, come il sottoscritto, non riceve una o due offerte di lavoro al mese, che fa? Alla quarta birra mi è venuto il sospetto che nella vita ho davvero sbagliato tutto: avrei dovuto studiare per diventare tecnico delle caldaie.

Le barche in copertina sono tratte da Pixabay, che ringraziamo di cuorissimo.

 

TAG: caldaie, diritti, enrico piras, Lavoro, plusvalore, racconto, sfruttamento
CAT: lavoro dipendente, Letteratura

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