La chiamavano Trinità: Famiglia, Dio e (forse) Patria
Come volevasi dimostrare. Il nuovo manifesto della (nuova?) Destra, perfettamente incarnato nel capolavoro del generale Vannacci, è pronto per le masse. Nero su bianco, i precetti saranno facilmente assimilabili da quella gente, ed è parecchia, che era in attesa di un decalogo chiaro da seguire da parte del potere. Perché non si può negare che un militare, al suo massimo grado, come il generale in questione, faccia parte del potere.
Il mondo al contrario, in testa a tutte le classifiche per il clamore suscitato, e per la curiosità morbosa che ha scatenato, è un concentrato di banalità ma anche di pregiudizi, oltre che di affermazioni bislacche per quanto riguarda la normalità, le razze, eccetera, e dove è configurabile un reato. Un po’ il solito frullato ideologico che caratterizza la Destra più retriva e meno evoluta, lo zoccolo duro degli ignoranti, insomma.
Orfani di un regime fascista vero, che in Europa non è più concepibile (Orban a parte), tant’è che addirittura la Destra moderata europea non avrebbe accolto il fratellame d’Italia tra i suoi, prendendone le distanze. Questa non è la realtà, naturalmente, ma è il vittimismo strategico tipico di Meloni e Salvini, che giocano il ruolo, appunto, delle vittime, capovolgendo i fatti reali e trasformandoli in modo da apparire agli elettori come gli agnelli italiani minacciati dai lupi europei.
Nessuno, ma dico proprio nessuno, è andato a vedere cosa dice la Legge Mancino, n.122, art. 3 comma 1:
Salvo che non costituisca più grave reato, è punito: A1) chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
Proclamando che gli omosessuali non sono “normali” (come lui), il generale compie il reato di propaganda di superiorità basandosi sulla presunta propria “normalità”. E quindi discrimina. Questa non è libertà di opinione, ma bisognerà fargli un disegnino, al generale, perché mi pare un po’ asciutto di lessico di lingua patria, nonostante le famose lauree.
Il manifesto del generale è il vestito perfetto per questa Destra becera, ignorante e antiprogressista, in cui si è rifugiata una larga fetta di cittadini italiani, altrettanto beceri, ignoranti e antiprogressisti che non sono più in grado di gestire la propria libertà all’interno della democrazia. Fondamentalmente perché sembrano non comprenderla. Sembrano piuttosto travisarla, pensando che democrazia significhi libertà di dire e fare qualsiasi cosa che passi per il capo. Hanno bisogno di regole rigide e precise: cosa sono queste porcherie di commistioni sessuali, questi stranieri, quelli di pelle nera, che vogliono sostituirsi a noi, che sono autori di stupri, di furti, di omicidi, e portano le malattie, e come fa una negra a essere campionessa italiana, perché mai dovrebbe rappresentare l’Italia una di etnia diversa? I valori cristiani, perdio! La famiglia, la donna, angelo del focolare e bianca. I temi principali di questo manifesto maldestro del generale.
A giudicare dai commenti su Amazon, dove il capolavoro autoprodotto spopola, la gente non aspettava altro, osannando l’autore, che “finalmente!” ha avuto il coraggio di dire ciò che pensa buona parte degli italiani. E se lo dice un generale, perbacco, sarà degno di ascolto. Perfino Crosetto viene ingiuriato per la sua mossa diplomatica di destituzione dalla direzione dell’Istituto Geografico Militare, Crosetto, il ministro della difesa, anche lui rappresentante di questa stessa Destra retrograda di cui fa parte il generale e, di sicuro, molti altri militari tutti maschi d’un pezzo, alcuni dei quali hanno già elogiato le parole del collega.
Ma perché tutta questa gente vede le lotte per i diritti civili come qualcosa che viene loro tolto mentre non è assolutamente così, anzi il contrario? Io credo che ci sia una motivazione psicologica di possesso, alla base. Lo Stato, in questi decenni, si è dimostrato particolarmente duro verso i propri cittadini, soprattutto in materia fiscale. Lo Stato ha preteso tasse, macellato pensioni, ridotto diritti riguardanti il lavoro, aumentato disagi sociali, alzato i balzelli sui carburanti, inasprito la burocrazia anziché semplificarla, favorito la sanità privata, favorito l’evasione fiscale, condonato gli abusi, distrutto la Scuola. Di contro ha concesso, dietro insistenza dell’UE, essendo in ritardo rispetto al resto del continente, le unioni civili tra omosessuali – peraltro monche delle regole per la gestione dei figli – ma non equiparate al matrimonio, come in altri paesi dell’Unione, sebbene abbastanza simili. E le nostre Destre a insorgere e a negare e a lottare contro queste porcherie, quando furono approvate in Parlamento, dicendo che sarebbe stata la fine della famiglia. A distanza di sei anni io vedo solo famiglie eterosessuali distrutte dove i figli uccidono i genitori, i genitori uccidono i figli, mariti uccidono mogli, mogli uccidono mariti, immani tragedie quasi greche, che affliggono nuclei familiari eterosessuali, dove Medee, Edipi, Clitennestre, Oresti si alternano, mentre la maggior parte delle unioni civili omosessuali prosegue felice il proprio percorso. Forse qualche separazione e qualche divorzio c’è stato anche lì, perché no, d’altro canto, succede. Non ci lasceremo togliere la famiglia, urlavano tutti gli psicofascisti e leghisti (psicofascisti anche loro), come se fosse l’ultimo baluardo di possesso da difendere da uno Stato che giocava all’asso pigliatutto. Il possesso.
Ma questo capovolgimento in negativo annunciato e paventato dal fratellame d’Italia e dalla Lega (basti ricordarsi del Pillon e delle sue crociate antigay, lui pagato coi soldi pubblici, che si permetteva di discriminare) non c’è stato. Anzi c’è stato un miglioramento, dove il paese reale ha capito che non c’è alcun problema e che la famiglia non è in pericolo ma esattamente il contrario, si estendono dei diritti e basta. Solo quelli che hanno il paraocchi congenito non riescono a vedere. Non vogliono vedere. Forse perché ne hanno timore per problemi propri non risolti o per indottrinamento religioso, dove viene costantemente rappresentato ciò che è bene e ciò che è male, e l’omosessualità non è mai bene in quel mondo funestato dal peccato. Contro natura, è la parola d’ordine. E sono, come sempre, i più ineducati, quelli che fanno più chiasso e che riescono sempre a parlare sugli altri, interrompendo i discorsi, in stile berlusconiano, a farsi sentire più forte, colle sentinelle in piedi, coi cori da stadio, colle violenze, coi bambini ostentati, coi mondi al contrario, in nome di Dio e della Patria, una patria di cui nessuno conosce la demografia e la geografia ma di cui si sente il bisogno solamente quando si giocano le Olimpiadi o i Mondiali di calcio. Non a caso il calcio, uno sport quasi esclusivamente maschile, dove i tifosi sfogano la propria rabbia e il proprio testosterone (questo ovunque, soprattutto nei paesi del Nord Europa) distruggendo l’ambiente intorno e scazzottandosi cogli oppositori.
Ricordo, a quest’ultimo proposito, un episodio accaduto a me, una domenica di tanti anni fa, dopo una prova musicale, tornando in treno da Mantova a Milano, passando da Cremona. Quel giorno si era giocata la partita tra il Mantova e il Cremona e mentre il treno viaggiava lentamente nella pianura io mi ero assopito. Mi risvegliò un colpo secco e subito dopo una cascata di gocce di vetro su di me, provocandomi piccole ferite che iniziarono subito a sanguinare. Un barlume di razionalità mi spinse a non aprire gli occhi, che mi sentivo punti, perché quelle gocce acuminate avrebbero potuto ferirmeli. La gente iniziò a urlare e qualcuno cercò di aiutarmi, dicendomi di non aprire gli occhi, soffiando sulla faccia e con un fazzoletto per togliermi le schegge. Qualcuno chiese se c’era un medico. Il treno si era fermato. Un gruppo di ragazzi, che avevano lanciato sassi contro i finestrini del treno, nel frattempo, correva per i campi. Poi si seppe che sul treno c’erano i cremonesi che tornavano dallo stadio di Mantova e che i teppisti nelle campagne erano mantovani, sconfitti dai cremonesi, che però volevano vendicarsi contro i tifosi di ritorno presenti su quel treno. Fu trent’anni fa, ma la violenza era la stessa. Oggi c’è molta rabbia in più, rabbia che proviene da una profonda insicurezza sociale, educativa, e viene convogliata, oltre che nelle manifestazioni sportive, e anche cavalcata e amplificata attraverso i social da quella politica che se ne nutre per emergere e che alla fine, dai e dai, è finalmente emersa ed è al governo. La violenza, metaforica e concreta, con cui Salvini, Bossi, Meloni, Forza Nuova, e prima di loro quelli di MSI, AN, eccetera, pur cambiando abito, si erano sempre espressi, discriminando meridionali, culattoni, negri e altro, adesso è stata eletta a comportamento e quasi ci si sente spalleggiati, al sicuro, adesso che coloro sono al governo. Salvini, dai cori antiterroni è passato al ponte sullo Stretto (o Canale di Sicilia, come lui spesso lo ha chiamato prima che lo correggessero), per unificare Sicilia e Continente.
L’omicidio violento di quel Willy, ragazzo adorabile, da parte di quei fratelli votati all’aggressività gratuita, gli eccessi violenti di certe forze dell’ordine contro fermati o detenuti, gli stupri (soprattutto se coinvolgenti il figlio del presidente del Senato attuale, giudicato e assolto dal padre quasi onnipotente prima ancora di un’indagine e un regolare processo) di massa, hanno una matrice comune. Molti giovinastri di oggi, soprattutto quelli che se non fanno mostra della loro capacità di violenza e di forza non si sentono nessuno, credono che, manifestandola, il mondo li tratti come eroi. Se ne renderanno conto in carcere, dove il mondo fittizio in cui vivevano non esisterà più.
L’assoluta astrazione dal mondo reale, come testimoniano i messaggi sui social postati dal branco di stupratori di Palermo, è la dimensione in cui vivono costantemente quei giovani. Come in un video gioco dove la vittima da stuprare è l’obiettivo da raggiungere. Ormai adulti anagraficamente ma immaturi, ormai irrecuperabili o, quanto meno, assai difficilmente recuperabili. Nessun riformatorio, nessun carcere cambierà più quei cervelli che nel loro imprinting hanno contemplato la violenza come legge suprema. Non bisognerà farli mai più uscire dal carcere, mai più. Genitori colpevoli di assenteismo, di incapacità educativa, di tutto, genitori che andrebbero messi in carcere anche loro, perché sono loro i principali responsabili di come sono diventati quei figli. Sono, probabilmente, quegli stessi genitori che minacciano gli insegnanti difendendo i propri figli se vanno male a scuola, anziché dar loro uno sganassone e metterli a studiare, togliendo loro paghetta, telefono (il principale mezzo di autoesaltazione), scooter (o auto, quando c’è). Sono criminali anche loro, spesso, e insegnano ai figli come usare le pistole. Il carcere diventa, nelle loro teste, quasi una medaglia per loro.
Ma queste famiglie sono, soprattutto, il prodotto di un sistema che ha eretto un monumento al consumo, come fosse una divinità. È la faccia sgradevole della medaglia, che nessuno vuol vedere, nessuno vuole analizzare, perché è veramente sgradevole. Significa mettere in discussione l’intero sistema e questo non si può fare perché avrebbe implicazioni colossali, crollerebbe il castello di carte. E l’egoismo e l’egocentrismo di tutti non sono cose che si possono accantonare, soprattutto dopo averli esaltati e fertilizzati. Tutto viene consumato, i mezzi di comunicazione, ossia il telefono e i social, i corpi degli aggressori e degli aggrediti, le gesta degli stupratori e i danni delle vittime, e questo consumo non ha freni, domani si ripeterà, forse nello stesso luogo, forse da un’altra parte, perché ormai è uno dei tanti prodotti di questo sistema. Sistema in cui anche i genitori dei mostri si trovano, più o meno consapevoli, più o meno accondiscendenti. Sarà molto difficile bloccare e far regredire questo modello di vita, perché permea ogni piccola azione individuale e collettiva, diabolicamente intrecciate, ma bisognerà pur cominciare da qualche parte. In genere, se ci si accorge di aver sbagliato strada, si ritorna indietro e si cerca quella giusta. Ma ci si è veramente accorti di tutto questo? Il governo, specialmente quello attuale, cosa fa? Assolutamente nulla. Eppure blatera, a proposito di educazione, della scuola del merito, parola magica che ha perfino inserito nella nomenclatura del dicastero dedicato.
Il merito. Probabilmente il merito di un ministro come Lollobrigida, dopo le sue infelicissime esternazioni, e ne ha una serie, è quello di essere cognato. L’unico merito, in questo paese è essere parente o famiglio di qualcuno importante. La famiglia, d’altro canto è la terza entità della trinità meloniana, Dio, Patria e Famiglia. Sembra, però, a dispetto del celebre outing: “Io sono Giorgia, io sono una donna, io sono una madre, io sono italiana, io sono cristiana”, che la sua posizione sia stata ribaltata, da ultima è diventata prima, poi vengono Dio e, forse, la Patria.
Non è una novità, certo, già il nepotismo fu adottato nella Storia passata, certi papi che facevano cardinali i cuginetti o i nipotini adolescenti, per esempio. Anche Mussolini, alla fine, aveva fatto del genero il suo fiore all’occhiello, sebbene poi finì male, a entrambi. Ma il nepotismo è un problema culturale assai incancrenito, nel nostro paese. Forse qui è più evidente, altrove meno, anche se la famiglia Kennedy e, più tardi, la famiglia Bush, sono un esempio evidentissimo di grandi nepotismi d’oltremare. Sarà questo il merito ostentato dal governo.
Tornando alla violenza, si raccoglie ciò che si è seminato. Rabbia, insoddisfazione, invidia, egoismo, superbia, indifferenza, incuria, sembra la sfilata dei vizi capitali.
Il Presidente della Repubblica, che è un gentiluomo di vecchio stampo, ha provato a dirlo con parole molto chiare al meeting di Rimini. Ma le orecchie di chi avrebbe dovuto intendere saranno state ben pulite? Speriamo che, dall’alto della sua autorità, il Presidente Mattarella possa far seguito con delle azioni, qualora le sue parole siano disattese.
L’unica chiave per fermare questa spirale verso l’abisso ce l’ha lui, vegliare sulla Costituzione e farla rispettare. Le parole di Vannacci non sono rispettose di niente.
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