Il ruolo del social e la propaganda che riecheggia la storia

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22 Aprile 2022

In una guerra che nega ogni diritto umano, dove ci siamo assuefatti a vedere giornalisti mandati sul campo a filmare gli orrori, in un mondo che resta attonito dinanzi alla ferocia forse perché tanta ferocia non ci era stata mai narrata prima, o almeno mai prima in questa modalità così martellante, ripugnante, feroce – alle altre guerre, vuoi per motivi economici, vuoi perché sullo scacchiere internazionale interessano meno si dà meno rilevanza – ci viene raccontato di tutto e il contrario di tutto. Col fiato sospeso apprendiamo notizie sempre più allarmanti, i militari ucraini asserragliati nell’acciaieria chiedono di essere evacuati ma Kiev non li autorizza, i corridoi umanitari sarebbero passaggi attraverso i quali capita che si spari sui civili. Dopo le fosse comuni, corpi disseminati a Bucha come un museo dell’orrore a cielo aperto, credo che si possa parlare di raccapricciante pornografia dell’atrocità
Altra la questione dei tennisti russi esclusi da Wimbledon. Le delegazioni russe saranno escluse dal festival di Cannes. Gli atleti e le atlete russe sono state escluse dalle paralimpiadi. Un quadro di Degas ha dovuto cambiare nome perché si chiamava “le danzatrici russe”, è stato ribattezzato “le danzatrici ucraine”. Poi c’è Dostoevskij.
Mi chiedo: si può parlare di razzismo che sta invadendo l’Europa dopo l’attacco di Putin all’Ucraina?
Un parossismo antirusso poco giustificato forse? É difficile credere che gli atleti disabili russi non hanno nessuna colpa nell’invasione dell’Ucraina? E neanche Dostoevskij, e neppure i tennisti? Ci vuole molto a capire che così facendo non si fa che sdoganare in modo clamoroso il razzismo o più precisamente la xenofobia? Da una parte un’interpretazione manichea secondo la quale per capire il mondo bisogna dividerlo in buoni e cattivi, dall’altra quella xenofoba, secondo la quale i popoli si individuano, si giudicano e si suddividono sulla base della nazionalità.
È azzardato parlare del nuovo – aggettivo forse improprio perché in realtà non è mai stato vecchio – nazionalismo che pervade tutto il sistema? Se difendere i valori dell’occidente e dire che sono messi in discussione dall’aggressione russa all’Ucraina sembrerebbe giusto, è pericoloso e poco legittimo da un punto di vista etico instillare l’idea che essere russo sia una garanzia di degrado, e perciò è naturale e doveroso suscitare nelle anime perbene una separazione, un arretramento, un’immediata discriminazione. Continuando di questo passo, rigurgiti di xenofobia si espanderanno a macchia d’olio.

Il fatto che i nostri schermi siano, dal 24 febbraio scorso, uno dei luoghi di battaglia di questa guerra non deve indure a stupirci. Viviamo nel content continuum della digital life e in quegli schermi, che ci rendono audience e medium allo stesso tempo, definiamo le nostre identità personali e di comunità nell’arena dei social. Un incessante flusso di dati fatto di notizie vere e false, opinioni, foto, video, immaginari smaterializzati e tempestose emotività che chiedono reazioni in tempi reale: questo è il luogo in cui ci sentiamo connessi al mondo, dove competono i nostri pensieri e prende vita la nostra realtà.
Bisognerebbe dire un terreno di guerra anche in tempo di pace. Ma è proprio lì che poggiano le fondamenta di quella che è stata definita l’era del post verità. Cosa significhi viverci dentro lo abbiamo capito lentamente assistendo alle narrazioni che si sono sviluppare intorno ai grandi eventi della storia recente, come la campagna elettorale di Donald Trump nel 2016 e la pandemia globale del Covid 19, giusto per menzionare due esempi di grande portata. Circostanze che hanno scatenato polarizzazioni e scontri d’opinione duri, alimentati da un tipo di comunicazione che esiste da sempre, ma si giova oggi tanto dell’invasiva potenza della rete quanto della concentrazione di potere nei media dell’informazione. In una parola la propaganda.
La Treccani alla voce propaganda recita: “Azione che tende ad influire sull’opinione pubblica..tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni e manipolare cognizioni e dirigere il comportamento….utilizza tecniche comunicative che…….. implicano un certo grado di occultamento, manipolazione, selettività rispetto alla verità”. E più avanti sostiene: “Rientrano nella propaganda l’attività di pubbliche relazioni di organi governativi, grandi imprese ed altre istituzioni, le campagna politiche, le campagne di pubblica informazione” .
Poca differenza vi è in realtà con la pubblicità, entrambe nascono da una matrice comune che è quella della comunicazione persuasiva e della retorica, pur essendo diverse negli argomenti, nelle leve emozionali e nei toni usati.
Scopo della propaganda, da sempre esistita, è la creazione del nemico, l’affermazione di una narrazione che orienta il pubblico, la massimizzazione del consenso per rendere più agevoli le decisioni politiche.
Stiamo vivendo, dicevo, anche una guerra social, che vive sulla rete. Gli esempi di propaganda non mancano, a partire dalla sua forma più dura, che si contraddistingue per il taglio fortemente ideologico, il simbolismo, il tono imperativo e di contrapposizione, un registro emozionale che fa leva su rabbia e paure.
Come i video diffusi in Russia e diventati virali su Twitter in cu sfilano in maglia nera le folle urlanti del “Putin Team”, inquietanti in sé e paradossali ai nostri occhi se si pensa che questa propaganda poggia sull’idea di “denazificare” l’Ucraina. In bella vista appare la componente simbolica di questa guerra, quella lettera “Z” che vediamo dipinta sui carri armati, usata nei post social come segno identitario, stampata su Tshirt e merchandising vario. La lettera “Z” non porta bene. “Operazione Z” era il nome dato dai giapponesi all’attacco di Parl Harbour e da lì a poco la storia finiva con l’esplosione di due bombe atomiche. Bombe che oggi sono negli arsenali sia della Russia che della Nato.
Le narrazioni di guerra sono ormai divenute armi nel mondo digitale che ci arruolano tutti, tutti i parte responsabili dell’aria che tira. Forse disinnescare le polarizzazioni tipiche dei social in favore di un dibattito maturo e ragionato, diverso dalla solita guerra quotidiana che attira like, è una responsabilità che dovremmo avvertire tutti.
Una responsabilità maggiormente necessaria e doverosa per chi ha un tetto sicuro sotto cu dormire, e dove il sonno non è interrotto dal suono delle sirene.

TAG:
CAT: discriminazioni, Russia

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