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Agricoltura

L’Apocalypse Now del Prosecco a Nordest

di Giulio Di Lorenzo
20 Dicembre 2018

Mezzo miliardo di bottiglie di prosecco vendute nel 2018, bottiglia più, bottiglia meno.
Dovremmo tutti festeggiare, stappando -o sciabolando, se avete meno di trent’anni oppure volete dimostrarne meno di trenta- eppure i conti non tornano, sebbene si stimino 2.369 miliardi di vendite al dettaglio.
Non parlo semplicemente di un discorso economico (o economicista, che dir si voglia); temo e credo ci sia un problema alla radice, molto più grande di quello che si voglia far credere. Per curiosità, vi invito a fare un giro al supermercato dietro l’angolo e osservare attentamente i prezzi del prosecco, si va da un minimo di 2,80 fino ad un massimo di 30/40 euro a bottiglia. Non mi spaventa la gamma alta dei prezzi, perché credo che ognuno debba essere libero di stabilire il prezzo massimo, salvo poi assumersene i rischi del caso. Parlo ovviamente dei prezzi al ribasso. Siete davvero sicuri che quello sia prosecco?
Ma soprattutto, avete idea di quanta lavorazione, sforzi economici, di personale, di mezzi, e di strutture ci vogliano per produrre una “semplice” bottiglia? Dalla barbatella (dalla Treccani: vite Pianta dal cui frutto (uva) si trae il vino. Per v. s’intende normalmente la v. europea o v. nostrana unica specie del genere che vive spontanea in Europa e in tutto il bacino mediterraneo) al consumatore finale ci sono queste quattro grandi fasi: coltivazione, raccolta, lavorazione e distribuzione.
Ha davvero senso fissare un prezzo minimo per il prosecco?
Sì, e sarebbe una pratica molto utile qualora si applicasse a tutte le coltivazioni italiane (che bello vivere d’utopie, ma sono qui anche per questo). Mi piacerebbe veder nascere una sorta di stock market etico del Made in Italy.
Qualche domanda/considerazione finale:
Fate attenzione (o fateci caso se vivete, come me, nel nordest) quante barbatelle avete visto spuntare negli ultimi 15 anni? E soprattutto, vi ricordate cosa c’era prima di loro? Ha davvero senso continuare così? Per me no. È un rischio economico ed ambientale, soprattutto perché, per il bene del mercato (quale mercato, poi? Quello che obbliga a vendere a 2,80 euro -se va bene- una bottiglia di prosecco?) stiamo svendendo un prodotto e non so per quanto riusciremo a reggere questo tipo di sfruttamento. E se un giorno -per assurdo- il prosecco non dovesse più piacere e si ritornasse al Cabernet o Refosco? Quanto costerebbe “riconvertire” le viti e quanto tempo ci vorrebbe?
Siamo davvero sicuri di voler esultare per questo mezzo miliardo di bottiglie? 

agroalimentare made in Italy vino
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