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Innovazione

Nuovi obiettivi per la scuola: educare all’imprenditorialità

di Teresa D'Errico
14 Giugno 2018

Lo scorso Marzo 2018 il MIUR ha pubblicato il Sillabo per l’Educazione all’imprenditorialità siglando, in questo modo la definitiva curvatura in senso economicistico della scuola e assumendo la prospettiva aziendalistica del “fare impresa” come la sola, in senso assoluto, in grado di promuovere una cittadinanza attiva. Ne deriva, inoltre, una sensazionale centralità delle nuove tecnologie digitali; infatti tra le finalità principali del Sillabo figura quella di  prendere consapevolezza riguardo al ruolo e alle evoluzioni delle tecnologie di informazione e comunicazione (TIC). Comprendere le implicazioni delle TIC sia per individui, gruppi e organizzazioni, con particolare riferimento ai processi di comunicazione e organizzazione, creazione e distribuzione di valore. Comprendere i principali trend tecnologici e l’impatto delle tecnologie digitali sul lavoro. 

Mario Ambel mette in luce la deriva culturale di una scuola ormai allo sbando come dimensione formativa e sottolinea in particolare il processo di destrutturazione che la sta attraversando: una vera e propria erosione, un  tradimento, forme di desemantizzazione e ricategorizzazione antinomica delle categorie valoriali su cui, pure, si è retta per decenni un’idea di scuola che ha formato intere generazioni, persone complete. In questo processo di elaborazione di una neolingua ridefinita secondo criteri economico-aziendali il destinatario dei servizi (l’alunno) diventa cliente, la scuola un’azienda e la “customer satisfaction” diventa l’orizzonte vincolato di riferimento, su cui i “portatori di interesse” (stakeholder nella neolingua derivata) agiscono e determinano politiche e strategie ancor più degli stessi utenti-clienti.  Il tecnicismo del documento del MIUR è sovrano e l’uso manipolatorio del linguaggio assume un ruolo decisivo, conclude Mario Amben.
Sfugge però un dato a chi ha elaborato questo testo ministeriale seguendo semplicisticamente criteri assiomatici e apodittici (educare all’imprenditorialità = essere in grado di rispondere a bisogni e sfide sociali): a chi piace questo tipo di scuola? Ai genitori? Ai ragazzi? Ai docenti? In verità, a nessuno. Solo a chi la impone: il mercato.
Si tratta, appunto, di imposizioni di derivazione neocomportamentista, orientate a realizzare un preciso programma: costruire una società che risponda esecutivamente a precisi stimoli socio-ambientali, del tutto prona a subirne le logiche. La scuola dovrebbe, invece, essere un chiaro baluardo di difesa da una realtà che fagocita, omologa.
Risulta sintomatico il fatto che nel Sillabo del MIUR non compaiano neanche una volta riferimenti alla cultura umanistica, alle scienze umane, all’arte, alla letteratura. Si tratta dell’ennesima conferma: la bellezza è un bene “inutile”. Il Ministero dell’Istruzione si sta adoperando per la costruzione di un mondo sempre meno bello.
Nuccio Ordine nel suo noto saggio L’utilità dell’inutile riporta una famosa frase di Théophile Gautier che spiega molto bene la direzione che prenderà la società continuando a puntare solo sull’utilità e trascurando l’arte, la poesia: veramente bello è soltanto ciò che non può servire a nulla; tutto ciò che è utile è brutto, perché è l’espressione di un determinato bisogno, e i bisogni dell’uomo sono ignobili e disgustosi, come la sua povera e inferma natura. Il luogo più utile di una casa è il cesso.

Cfr.:https://scholescuolaecultura.blogspot.com/2018/06/nuovi-obiettivi-per-la-scuola-educare.html

innovazione scuola
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