Il lavoro in Italia affronta oggi diverse sfide epocali, e ha bisogno di riforme organiche e di uno sguardo complessivo

Lavoro

Il lavoro e i salari, tra svolte mancate e sfide demografiche, ha bisogno di un nuovo disegno complessivo

14 Giugno 2025

Dopo la fase referendaria sui temi del lavoro e della cittadinanza, conclusasi il 9 giugno, si apre – o si dovrebbe aprire – una nuova fase di riforme, dialogo e cooperazione tra le Confederazioni sindacali, e successivamente tra queste e le Associazioni delle imprese. Un ritrovato ruolo delle parti sociali, dei corpi intermedi, attorno ai temi sollevati – che restano ancora tutti da affrontare – rappresenta la precondizione per interagire con le Istituzioni nell’obiettivo di costruire nuove politiche sul lavoro e sui salari, capaci di fronteggiare le sfide e i cambiamenti economici, sociali e tecnologici in atto. Per fare ciò, si dovrebbe partire proprio da questi temi, da una lettura e analisi del nuovo contesto determinatosi dopo il periodo pandemico, che ha segnato una forte discontinuità anche rispetto al passato recente.

Negli ultimi 25 anni, due dati inediti sono emersi dopo la pandemia: il numero di occupati, in costante aumento, ha superato il record dei 24 milioni; al contempo, l’inflazione – prima con il picco e poi con la stabilizzazione – ha eroso e continua a erodere i salari reali. L’aumento degli occupati, accompagnato da una maggiore stabilizzazione verso contratti a tempo indeterminato, è un fattore indubbiamente positivo, frutto di diverse concause:
1. Durante le chiusure pandemiche, la protezione del lavoro è stata garantita dal divieto di licenziamento e dall’estensione universale degli ammortizzatori sociali.
2. Sono poi seguite la regolamentazione del lavoro a distanza e i ristori alle imprese.
3. La successiva, sorprendente ripresa economica, il PIL da record, gli investimenti del PNRR, e le misure introdotte dal 2020 di decontribuzione e defiscalizzazione per giovani e donne hanno favorito le assunzioni e le stabilizzazioni.

Tutto questo può essere attribuito al governo Meloni? Non esattamente.

I salari, negli ultimi vent’anni, non hanno recuperato appieno la loro crescita reale, anche se sostenuti da un lungo periodo di bassa inflazione. Tuttavia, il picco inflazionistico post-Covid ha peggiorato la situazione: oggi permane uno scarto del 6-7% dovuto all’inflazione non recuperata e al drenaggio fiscale.

In tale scenario, è necessario ricomporre i tasselli del quadro complessivo, partendo dalla consapevolezza che siamo immersi in grandi transizioni: quella digitale, quella ecologica ed energetica, ulteriormente accelerate dall’intelligenza artificiale. Queste transizioni rappresentano opportunità di crescita e ammodernamento per il nostro sistema economico, ma richiedono un governo attento del trasferimento tecnologico e degli impatti sulle organizzazioni produttive, sui livelli occupazionali, sui profili professionali e sulle competenze delle risorse umane. Serve orientarsi verso un modello competitivo fondato sul valore aggiunto e sul lavoro di qualità e ben retribuito, abbandonando la logica del basso costo del lavoro che ancora oggi caratterizza diversi settori produttivi e dei servizi.

Un paese di vecchi, con sempre meno lavoratori

Il mercato del lavoro presenta inoltre evidenti criticità: – l’invecchiamento demografico, con il 90% degli assunti degli ultimi anni over 50; – la difficoltà delle imprese a reclutare, per mancanza di candidati, oltre la metà del personale desiderato,– la presenza di 2,5 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano né lavorano (NEET),– un tasso di inattività stabile al 33%.

In questo contesto, sarebbe urgente una nuova governance istituzionale, capace di integrare politiche attive e passive del lavoro, servizi per l’impiego, formazione continua e sviluppo delle competenze con un collegamento funzionale con il sistema scolastico.

Il tema del lavoro pubblico merita altrettanta attenzione: l’età media supera i 50 anni e circa un milione di professionisti andrà in pensione nei prossimi dieci anni. Occorrono nuove politiche di reclutamento programmato, formazione per il potenziamento delle competenze digitali, valorizzazione delle professioni e adeguate politiche retributive. Anche il tema della salute e sicurezza sul lavoro richiede un deciso orientamento alla prevenzione, con modelli organizzativi aziendali e di filiera progettati su matrici “infortuni zero”, supportati dall’integrazione istituzionale dei servizi di vigilanza e dal l’interoperabilità delle banche dati. Strettamente connesso è il tema del lavoro immigrato. L’immigrazione non è solo una questione di ordine pubblico: nel nostro mercato del lavoro vi sono 2,5 milioni di immigrati regolari – prevalentemente in fasce di lavoro povero – e circa 500 mila irregolari, spesso sfruttati e ricattati indegnamente. Serve una politica di accesso  nel nostro paese del lavoratore immigrato organizzato e legale, con assunzioni regolari, e nuovi strumenti per abolire, debellare l’irregolarità, favorendo l’emersione dal sommerso.

La questione salariale è infine legata al sistema della contrattazione, nato con il protocollo del 23 luglio 1993, che ha garantito copertura al 97% dei lavoratori. Questo sistema andrebbe rivisto e aggiornato, includendo nei parametri IPCA i beni energetici e introducendo garanzie stringenti che vietino la deroga per il rinnovo dei contratti alla loro scadenza, compresi quelli della pubblica amministrazione. Diversi punti di inflazione devono ancora essere recuperati nelle retribuzioni. La contrattazione decentrata ha bisogno di nuovi strumenti e indicatori aziendali per poter essere esercitata ed estesa ai lavoratori delle piccole imprese, mentre quella territoriale andrebbe potenziata per valorizzarne le specificità. Affinché la contrattazione sia davvero efficace, occorre anche dare attuazione legislativa all’articolo 39 della Costituzione (riferimento accordo interconfederale 2011), come già avvenuto per l’articolo 46, per affrontare la frammentazione contrattuale dannosa sia per i salari sia per le imprese.
È un punto rimasto inattuato fin dal protocollo del 1993 utile a dare efficacia erga omnes ai contratti firmati da coalizioni maggiormente rappresentative.. Serve inoltre garantire una copertura salariale e contrattuale anche a quel 3% di lavoratori che oggi non godono di alcuna tutela. In questo quadro, anche il governo dovrebbe svolgere un ruolo attivo nel recupero salariale, restituendo a tutti i dipendenti – non solo a chi ha un reddito inferiore ai 30 mila euro – e ai pensionati quanto perso per effetto del drenaggio fiscale.
Le tematiche esposte devono essere affrontate tutte insieme con un disegno organico, riformatore evitando la frammentazione.

Da dove cominciare?
Dalla riattivazione del tavolo triangolare previsto dal protocollo del 23 luglio. Nessuna delle parti lo ha formalmente disdetto. In fondo, tra Confederazioni sindacali e Associazioni imprenditoriali esiste una lunga storia comune di relazioni, contrattazione e politiche generali, spesso più profonda di quanto sembri nei momenti di tensione.

 

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