Lavoro
Non è un “weekend lungo”, è un Paese stanco: scioperare contro una manovra che non aiuta chi lavora
La CGIL annuncia lo sciopero generale del 12 dicembre contro la manovra Meloni: non aumenta i salari, aiuta i ricchi e ignora chi lavora davvero, dice Landini. E i dati di Bankitalia, Ufficio Parlamentare del Bilancio dicono che ha ragione lui.
Il 12 dicembre l’Italia che lavora si ferma. La CGIL ha proclamato uno sciopero generale nazionale contro la manovra varata dal governo Meloni per dire che la misura è colma: stipendi fermi, prezzi che corrono, servizi pubblici in affanno. L’annuncio è stato dato oggi nel corso di una iniziativa del sindacato a Firenze da Fulvio Fammoni, presidente dell’assemblea generale Cgil, presente il segretario generale Maurizio Landini. «È una manovra ingiusta, sbagliata, che non aumenta i salari e non difende chi lavora», ha detto Landini a Firenze davanti ai delegati del sindacato.
Nel frattempo, la premier Giorgia Meloni si limitata a rispondere con un post: «Nuovo sciopero generale della CGIL. In quale giorno cadrà il 12 dicembre?». Sì, nessuna sorpresa il 12 dicembre è proprio un venerdì, e l’ultima volta, quando si scioperò per la Palestina, era pure venerdì, e dunque? diviso su tutto, il duo Meloni-Salvini è tornato compatto sull’ironia del “weekend lungo”: si sciopera di venerdì perché fa comodo al sindacato e ai lavoratori. E ci mancherebbe: chi sciopera ci rimette (la giornata non viene pagata) e ci mancherebbe pure che scioperasse quando fa comodo alla controparte, che sia il governo o i datori di lavoro. Chi proclama uno sciopero ha tutto l’interesse a ottenere quante più adesioni possibili perché il suo scopo è fermare la macchina produttiva mostrando così il suo peso negoziale fino al raggiungimento degli obiettivi.
Ironia per ironia, Landini risponde: «Ci sono in queste ore molti commenti, qualcuno è arrivato anche a dirci se possiamo cambiare giornata. Io vorrei rispondere con molta tranquillità: se vogliono hanno la possibilità anche che lo sciopero non ci sia, cambino loro la manovra», perché alla fine «stiamo proclamando questo sciopero non contro qualche persona, ma perché ci sia un cambiamento reale della vita delle persone, e chi per vivere ha bisogno di lavorare».
Non si tratta di un capriccio o di nostalgia per le piazze del passato: la mobilitazione nasce da numeri concreti. «L’emergenza fondamentale è il salario – ha spiegato Landini –. C’è bisogno di aumentare i salari, ma questa manovra non lo fa. Chiediamo risorse aggiuntive perché il rinnovo dei contratti pubblici non sia una mancia. Chiediamo che la detassazione riguardi tutti i lavoratori, senza tetti di reddito, e che venga restituito il fiscal drag: negli ultimi tre anni lavoratori e pensionati hanno pagato 25 miliardi in più perché le detrazioni e gli scaglioni non sono stati adeguati all’inflazione”.
Le analisi della Banca d’Italia e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) sono spietate: il taglio dell’IRPEF, fulcro della manovra, riguarderà circa il 30% dei contribuenti, ma l’85% delle risorse andrà ai due quinti più ricchi della popolazione. L’UPB calcola che benefici medi saranno di 408 euro l’anno per i dirigenti, 123 euro per gli impiegati, e soltanto 23 euro per gli operai. E la Banca d’Italia sottolinea che la manovra «fa poco sulla disuguaglianza dei redditi». In sintesi: non è un weekend lungo cui si risponde con leggerezza, ma un Paese che dice basta all’ingiustizia.
Cosa non va nella manovra
La manovra riduce l’aliquota IRPEF dal 35% al 33% per il reddito compreso tra 28.000 e 50.000 euro, ma l’impatto reale è marginale e sbilanciato. Secondo l’ISTAT e la Banca d’Italia, oltre l’85% del risparmio va alle famiglie più ricche. L’UPB segnala che «metà dei benefici va ai contribuenti con un reddito superiore ai 48.000 euro (che rappresentano l’8% del totale)».Le misure per il rinnovo dei contratti pubblici e privati sono giudicate dalla Banca d’Italia “improprie” perché il bilancio pubblico assume il ruolo che dovrebbero avere le imprese: «È un segnale politico più che un reale strumento di recupero salariale». Il risultato? I salari reali sono ancora più bassi rispetto a prima della crisi, e la manovra non è pensata per invertire quella rotta. Le misure favorevoli sono poche, frammentate, e non vanno alla radice del problema: salari che non aumentano, disuguaglianze che crescono, precariato che avanza.
Meloni può sorridere pensando al giorno della settimana, ma non può sfuggire al merito: un Paese stanco non vuole più le solite battute, vuole risposte concrete.
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