Scienza, economia e politica del “wishful thinking”

11 Giugno 2017

In una giornata calda, mentre segui una trasmissione dell’Annunziata sulle mistificazioni nella divulgazione scientifica e leggi su L’Espresso, in due pagine dedicate a una rubrica “Le Idee”, un articolo di un certo Luigi Zoia, psicologo (così è definito su Wikipedia), che distingue gli economisti in numeristi e umanisti, capisci che il problema alla radice di tutto si chiama: “wishful thinking”. Se ti dicono che c’è un modo meno faticoso e doloroso di raggiungere un obiettivo, tu sei inclinato a crederci. Se poi in rete incontri altri “wishful thinker” come te che come te sono inclini a crederci, l’unione fa la forza. Se poi lo vedi scritto in un libro, allora sei convinto che la scienza è con te. Ma non è né la scienza dei numeristi, né degli umanisti: è la scienza dei cretini.

Prima di tutto un “disclaimer”: chi scrive è un “wishful thinker” conclamato. Tutti siamo “wishful thinker” e non abbiamo motivo di vergognarci. Oppure abbiamo motivo di vergognarci tutti insieme. A conferma della mia natura, e per una sorta di catarsi, ricordo qui il mio esempio di “wishful thinking” più ridicolo e buffo, ma non indolore, che mi sia capitato. Quando nel 1998 sono approdato a Bologna, l’ho fatto dopo un lungo corteggiamento in cui mi veniva raccontato come i colleghi fossero ansiosi di avermi con loro. Questo veniva incontro al mio “wishful thinking”, con l’aggravante dell’autostima. E da allora ho sempre allontanato da me l’idea di andarmene, per timore di tradire tutto questo trasporto nei miei confronti e il trauma inconsolabile della mia dipartita. Come faranno senza di me? Ci “volevo credere”. Dodici anni dopo invece ho saputo la verità scientifica. Una collega prima di andare in pensione mi ha raccontato che la mia “chiamata” era stata in realtà molto combattuta, e che alla fine i miei oppositori era stati convinti dal motto: “tanto Cherubini è solo si passaggio”. “Wishful thinker” anche loro perché sono ancora qui, proprio perché “wishful thinker” io stesso. Che ci sia materiale per una nuova nozione di “wishful thinking equilibrium”?

Ma finché il “wishful thinking” è confinato alla vita privata è un comportamento naturale. Finché è limitato alle relazioni personali, alla fine è accettabile e accettato. E’ perfino benvenuto se applicato al campionato della Fiorentina dell’anno prossimo. Almeno ci lascia spazio per i sogni. Ma il problema della nostra epoca è che questo stesso comportamento sta invadendo il mondo della scienza, dell’economia e della politica. Nel mondo della scienza abbiamo di fronte ogni giorno storie di persone con malattie estreme che si fanno persuadere di rimedi non estremi, o addirittura “naturali”. Oppure storie in cui le credenze in scienze alternative rendono estremi anche problemi di salute che la scienza medica affronta con protocolli comuni e consolidati. Questo “wishful thinking” non è per niente naturale. Qui il “wishful thinking” non agisce sulla vita di una persona sana, sulla sua autostima e i sui sogni. Qui il “wishful thinking” agisce su persone deboli: persone indebolite dalla malattia e dalla disperazione. E questa debolezza è accentuata dall’ignoranza: l’incapacità di distinguere ciò che è scientifico da ciò che non lo è. Ovviamente, nessuno si senta offeso: ognuno è ignorante in quasi tutti i campi, e un bravo ricercatore ammette di essere ignorante anche nel suo.

Anche il “wishful thinking” in campi scientifici che hanno meno effetto diretto sulla carne della gente, come l’economia, non ha niente di naturale. Oggi l’“Espresso” spreca due pagine per una recensione di un libro di economia, scritta da uno psicologo, con un titolo che risponde al “wishful thinking” di ogni studente di economia: “I numeri al veleno dell’economia: esperti e tecnici che si dedicano solo a contare e ottimizzare sono pericolosi”.  L’esempio di apertura allontana immediatamente chi conosce qualcosa di matematica, o anche chi solo ha sentito parlare della stretta connessione tra la matematica e la musica. “Se affidassimo loro [i numeristi, n.d.r.] l’amministrazione delle orchestre, eliminerebbero le pause dalle sinfonie di Beethoven. Perché pagare i musicisti quando non lavorano?” Come se tutto nella musica, compreso le pause, non venisse determinato da precisi equilibri matematici. Poi, scopriamo che l’importante è la psicologia, con un esempio del travaglio psicologico di un evasore e del rappresentante dello stato, perché anche lui “pagherà costi psicologici seri”. Per quanto riguarda la profondità dei contenuti, può essere il caso di finirla qui, ma è importante cercare di capire l’impatto che può avere sui giovani che si avvicinano alla ricerca, in questo caso in campo economico, e sulla collettività.

Il contributo presentato su “L’Espresso” vuole essere una recensione di un libro, “l’economia del bene e del male”, pubblicato da un certo Thomas Sedlacek. Su “wikipedia”, dove viene celebrata la carriera di questo giovane economista, si riporta che questo libro è tratto dalla sua tesi all’Università Karlova di Praga, rifiutata perché “di dubbio valore scientifico”. Per il resto è un libro che “descrive l’economia come un fenomeno culturale e un prodotto della nostra civilizzazione fortemente legato alla filosofia, il mito, la religione, l’antropologia, e le arti”. Praticamente quella che noi in Italia chiamiamo una “supercazzola”. Poi “wikipedia”  ci dice che il ragazzo è stato consigliere economico di Havel e di un ministro dell’economia (speriamo non sia stato l’unico), e che ora lavora in banca (ma come capo-economista).

Ora, ci sono due domande. La prima è per i giovani, ma anche per il direttore de “L’Espresso”: che valore scientifico ha questo libro di cui si propone una recensione-commento? Basta andare su scholar.google.com  per scoprire che questo libro viene citato, nella sua versione inglese, 148 volte. Nella versione ceca, che “wikipedia” lo definisce un best-seller, le citazioni sono 14. Per dare un’idea, il sottoscritto, ricercatore normodotato senza alcuna pagina su “wikipedia”, per il suo libro di punta ha più di 2000 citazioni scientifiche. La seconda è per l’editore Garzanti, ma anche per il direttore de “L’espresso”: perché pubblicare un libro che secondo l’accademia “non ha fondamenti scientifici”? La risposta qui è semplice: perché vende. Questa è la regola principe. Un libro deve vendere. Poi, alcuni editori esercitano anche un controllo dei contenuti, ma soprattutto per i costi di reputazione che possono creare sulle vendite future. Insomma, per usare l’orribile termine usato da Luigi Zoia su “L’Espresso”, gli editori sono profondamente “numeristi”.

Una cosa che invece dovrebbe sapere in primo luogo il direttore de “L’espresso” è che tutte queste profonde verità pubblicate senza le banali verifiche che abbiamo appena riportato poi tracimano nella politica. E qui il “wishful thinking” consente di vincere le elezioni, salvo poi creare disastri. Per rimanere lontani dall’attualità, basti ricordare la “reaganomics” e la “supply side economics” degli inizi degli anni 80 (purtroppo ancora attuale). E’ il concetto della curva di Laffer, l’effetto, in cui tutti vogliamo credere, che se tagliamo le tasse aumenta il gettito fiscale. Il risultato vero dell’applicazione di questa teoria sono stati i “debiti gemelli”: un’esplosione del debito interno ed estero. Niente di nuovo sotto il sole.

In conclusione, il messaggio, almeno per i giovani (ma anche per il direttore de “L’espresso” e l’editore Garzanti), è di fare attenzione ai messaggi che ricevono (e che mandano). Tutti, giovani e giornalisti, devono considerare che la scienza in questa lotta contro il “wishful thinking” non può essere difesa, e in più ha una debolezza di fondo. La scienza è basata sul dubbio. Ogni vero scienziato non vi dirà mai che la sua è verità, e se gli opporrete tesi raccolte da libri o siti vi dirà sempre: verifichiamo. Un ricercatore vive in un ambiente in cui in ogni momento si può verificare una rivoluzione del paradigma scientifico. Lui soffre del “wishful thinking” di vivere questa rivoluzione, e magari di contribuirci in prima fila. Per essere chiaro, quando dopo il terremoto dell’Aquila tutta l’informazione si schierò contro un ricercatore che rivendicava la prevedibilità di quel tipo di sisma, io sono andato a cercare la diffusione di quelle teorie sulle riviste scientifiche (pur non avendo niente a che fare con quel campo). Sul fronte dei vaccini, non mi sono schierato immediatamente da una parte o l’altra, ma mi sono fatto convincere a schierarmi dalla parte dei vaccini dopo un confronto “franco” con mia moglie che è medico.

E infine. Volete qualcuno che dica male della matematica? Chiedete a un matematico, non a uno psicologo. Volete conoscere i limiti delle applicazioni della matematica a economia e finanza? Io li conosco bene, e sono limiti seri. E li conosco, perché conosco e insegno la matematica. E i limiti che vi indicherò io saranno veri e sinceri, perché informati e contro il mio interesse. Volete dire male della psicologia? Chiedete a uno psicologo, non a me. Io potrei proporvi soltanto luoghi comuni, magari facendo ridere gli psicologi proprio come lui ha fatto ridere me.

TAG: Economia della decrescita, Giornalismo economico, ricerca
CAT: Editoria, Scienze sociali

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