Anthropocene: l’arte che abbiamo creato

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24 Maggio 2019

Il mecenatismo e la capacità di visione di Isabella Seragnoli e del suo staff regalano alla città di Bologna la prima europea di una mostra ed un documentario eccezionale e necessario, dedicato all’Antropocene.

 

L’antropocene è la più recente tra le Ere geologiche, quella in cui la capacità dell’uomo di modificare il proprio ambiente ha superato la capacità di rigenerazione del pianeta. Sebbene il termine “Antropocene” fosse stato utilizzato a partire dagli anni ’60, la sua popolarità risale al 2000, quando il chimico dell’atmosfera e premio Nobel Paul Jozef Crutzen lo utilizza per definire il periodo in cui le attività umane hanno cominciato ad avere ripercussioni significative sulla composizione della atmosfera e sul conseguente cambiamento climatico. L’inizio dell’Antropocene tuttavia non è ancora stato fissato in maniera univoca: alcuni studiosi lo collocano in corrispondenza del Neolitico e della nascita dell’agricoltura, altri al tempo della rivoluzione industriale, altri ancora al primo test nucleare degli anni ’40 dello scorso secolo.

 

Provocatoria la frase che pubblicizza l’evento: “Vieni a vedere l’arte che hai creato”, mentre sarebbe più corretto coniugare alla prima persona plurale “Vieni a vedere l’arte che abbiamo creato”, perché del disastro ambientale verso il quale viaggiamo a velocità sempre più spedita, siamo tutti corresponsabili.

Clearcut , Palm Oil
Plantation, Borneo,
Malaysia 2016

La mostra ed il documentario mostrano alcune delle ferite più evidenti ed eclatanti inferte al pianeta. E non è affatto necessario andare in Amazzonia o nei distretti minerari dell’Africa o dell’America Latina, è sufficiente recarsi nella vicinissima e civilissima Germania, dove si trova una tra le più grandi miniere di lignite a cielo aperto, o presso le ancora più vicine cave di marmo delle Alpi Apuane per trovare lacerazioni visibili anche da satellite.

Coal Mine, North
Rhine, Westphalia,
Germany 2015

Le immagini sono splendide: Edward Burtynsky racconta il suo percorso di fotografo, dal banco ottico analogico, alla Hasseblad digitale montata su un drone. Non sono uno storico della fotografia, ma in questo lavoro ritrovo un po’ di Sebastiao Salgado, un po’ di Yann Arthus-Bertrand, e forse anche Anselm Adams, per la cura maniacale dei particolari.

Questa mostra imperdibile ci fa riflettere, senza avere la presunzione di offrire soluzioni. Propone una sintesi visiva, esteticamente perfetta delle grandi sfide ambientali: dal cambiamento climatico all’alterazione e distruzione degli ecosistemi, dal problema dei rifiuti e dell’inquinamento alla perdita di biodiversità.

Dandora Landfill ,
Plastics Recycling,
Nairobi, Kenya 2016

La mostra ed il documentario sono ospitati presso il MAST di Bologna fino al 22 Settembre  e sono visibili gratuitamente.

TAG:
CAT: enti culturali, Inquinamento

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