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Geopolitica

American repulsion

di Oscar Nicodemo

Il governo americano più inabile della storia segna il declino etico e politico di una nazione di cui nessun’altra dovrebbe essere serva.

23 Giugno 2025

L’America, con il suo sogno promozionale infranto del tutto dalla politica della Casa Bianca, esce dall’incanto del cosiddetto immaginario collettivo e determina, come altre volte già, ma mai in maniera tanto inequivocabile, la paura della realtà: quella dei fatti, delle testimonianze inconfutabili, delle prove schiaccianti che danno conto degli eccidi perpetrati per il mondo, contando sul tacito accordo degli alleati, che stavolta sono passati dal silenzio pavido a una collaborazione tanto tangibile quanto esecrabile, apertamente dichiarata senza alcun imbarazzo. L’America ha perso il rispetto del mondo e ha lasciato regredire la sua stessa democrazia, che resta ambigua, qualcosa che va somigliando a un sistema di controllo differenziato all’interno di un regime di sfrenato libertarismo. Insomma, una sorta di neo-autoritarismo a cui tanta parte della popolazione americana, con una significativa presenza di intellettuali e artisti, non si uniforma affatto, allestendo cortei di protesta in diverse grandi città. Da tempo, ormai, l’apparato di informazione occidentale, allineato su posizioni guerrafondaie, riesce a giustificare e a imporre l’idea della guerra caricando di accezioni negative il termine “pacifismo”, quasi fosse una brutta parola. E con facilità sconcertante, da rasentare l’ottusità, coloro che non approvano il conflitto bellico vengono tacciati di antiamericanismo, antisemitismo, antieuropeismo e chissà quant’altro. A chi desidera la pace piove addosso qualsiasi aggettivo composto dal prefisso “anti”, seguito da infiniti “ismi”. In realtà, coloro che nutrono un viscerale rifiuto per la guerra sono solo persone che seguono per indole un impulso di anticoglionismo, contrarie, cioè, a ogni violenza esercitata dall’uomo sui suoi simili. E qui aggiungo che anche la critica tendente a essere meno irenista e più mordace ha sempre guardato alla degenerazione del potere nella sua attuazione autoritaria, arrogante, violenta, risoluta, decisionista, e mai l’ha stimata in termini di coglioneria, balordaggine, minchioneria, stupidaggine, sciatteria. Hannah Arendt, straordinaria filosofa e politologa, nata in una famiglia ebraica tedesca, definì, come tutti sapranno, il male con l’aggettivo “banale”, in quanto essendo una raffinata studiosa e, soprattutto, una signora, non poteva certo trarre le sue conclusioni dall’aggettivo più figurato che ci sia, quello, appunto, di “coglione”. Non sarebbe stato elegante intitolare il suo capolavoro “La coglioneria del male”.

Ora, senza per forza dover considerare la classica opera di Ernest Hemingway, “A Farewell to Arms” (Addio alle Armi), vorrei fare riferimento a Norman Mailer, autore del celebre “The Naked and the Dead” (Il Nudo e il Morto). Se non posso certo considerarmi un profondo conoscitore della letteratura russa, pur avendone letto e in parte riletto quasi tutti i classici, figuriamoci della letteratura americana, di cui conosco autori e autrici in numero troppo esiguo per presentarmi anche solo come modesto cultore del filone. Ma, posso affermare con certezza che Mailer è stato uno degli scrittori più discussi negli Stati Uniti. Con il romanzo prima citato, edito nel 1948 (pubblicato in Italia da Einaudi, 2010), sorprese tutti con il suo stile di scrittura hemingweyano con influssi joyciani, dove elaborò una ferma condanna della guerra. Vi è da sottolineare che quando lo scrittore ideò il libro aveva già una forte inclinazione politica, ma è solo quando, nel 1968, pubblicò quello che è considerato il suo capolavoro, ‘The Armies of the Night’ (Le Armate della Notte), che il suo indiscusso antimilitarismo venne ad assumere una forte e intensa espressione. L’opera, infatti, che racconta la marcia sul Pentagono contro la guerra in Vietnam dell’ottobre 1967, può essere considerata uno dei primissimi esempi di romanzo-reportage, dove giornalismo, narrativa e autobiografia si mescolano costituendo un modello che presto farà scuola.

L’ultimo esempio di letteratura americana antimilitarista di cui ho la possibilità di riferire è quello di “Catch 22” (Comma 22), scritto da Joseph Heller, di cui segnalo l’edizione italiana curata da Bompiani, nel 2016. Un romanzo che fa riferimento alle esperienze dello stesso autore, aviatore nell’USAF, e da cui emerge una satira crudele della vita militare e della tragedia della guerra. Un imperdibile humour nero che avvolge la narrazione della vita e delle operazioni di una squadra di bombardieri americani in Italia durante la Seconda guerra Mondiale, dove la gerarchia militaresca viene presentata come la quintessenza dell’assurdità. “Comma 22” è un’espressione che nel libro indica un’ingiunzione collegata in modo contraddittorio a un’altra che la precede, e precisamente: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalla missione; ma chi ha la capacità di chiedere di essere esentato dalla missione non può essere pazzo”. La prorompente originalità di questa invenzione è stata tale che enciclopedie e vocabolari hanno registrato Comma 22 come neologismo, dandone questa definizione: “Dilemma assurdo nel quale ogni scelta contiene l’impossibilità di risolvere il problema”. L’urto che l’opera ha con il lettore deriva dalla satira fatto che Heller estrae dal cuore stesso della morte e della brutalità, suscitando il riso e al contempo l’orrore, in una versione peculiare di commedia nera, il cui protagonista, il capitano armeno Yossarian, diventa nella considerazione dei suoi compagni un eroe solo quando riesce a sottrarsi al combattimento.
Ecco, sottrarsi al combattimento, oggi, senza per questo diventare degli eroi, per tutte le persone che non sono militari vuol dire avere la capacità di sottrarsi a un’informazione menzognera e accomodante, dove la bugia, spesso, viene propagandata non come verità, ma scagliata a mò di arsenale dinamitardo per ridimensionare ogni elemento veritiero che possa fare da contrappeso a un’ondata di congetture nauseanti, razziste e prevaricanti. Una simile metodologia di comunicazione finisce per esprimere l’essenza medesima del servilismo culturale dei tempi. E ad applicarla non sono solo i soliti noti, ma anche chi, in maniera molto più ricercata, e quindi maggiormente subdola, riesce a servire senza apparire esplicitamente un servitore. In questo frangente storico, dei personaggi comparabili psichicamente a quelli di un film come “Arancia meccanica”, di Stanley Kubrick, tratto dal romanzo omonimo di Antony Burgess, oggi governano gli Stati Uniti d’America e Israele. Al posto di raccapriccianti tute, i capi di governo di questi due paesi, che riescono a dirsi uomini di pace, indossano rispettivamente sgargianti e rassicuranti cravatte.

america
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