Geopolitica

La Santa Sede pronta a ospitare il dialogo tra Russia e Ucraina?

Il 14 maggio 2025, durante l’Udienza ai Partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali, Papa Leone XIV ha pronunciato un messaggio che, pur celandosi nel linguaggio ecclesiale e spirituale, ha assunto un peso fortemente geopolitico.

14 Maggio 2025

Il 14 maggio 2025, durante l’Udienza ai Partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali, Papa Leone XIV ha pronunciato un messaggio che, pur celandosi nel linguaggio ecclesiale e spirituale, ha assunto un peso fortemente geopolitico.

In un momento in cui il mondo osserva con crescente apprensione l’evoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina e si avvicina il vertice in Turchia che potrebbe rappresentare un punto di svolta diplomatico, le parole del Pontefice sono risuonate come una proposta concreta. “La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace” non è una formula di circostanza, né un generico richiamo alla riconciliazione.

È un messaggio mirato, chiaro, inequivocabile. Il Papa, in questo passaggio, non si sta rivolgendo soltanto ai fedeli delle Chiese orientali, bensì si proietta ben oltre la dimensione ecclesiastica, lanciando un appello ai principali protagonisti dei conflitti globali in corso, e in particolare alle due nazioni che da oltre tre anni sono coinvolte in una guerra devastante: Ucraina e Russia.

La scelta di usare la parola “nemici” e di porre l’accento sulla necessità di guardarsi negli occhi evidenzia una precisa volontà di spingere verso un confronto diretto, personale, umano. L’incontro faccia a faccia, in un tempo in cui la diplomazia avviene troppo spesso attraverso dichiarazioni pubbliche e mediazioni distanti, è indicato come il primo passo necessario per una vera riapertura del dialogo.

La Santa Sede, nel pronunciare questa disponibilità, non offre solo un luogo fisico – sicuro, neutrale, carico di significati simbolici – ma offre soprattutto un contesto morale e spirituale in cui la logica della guerra può essere temporaneamente sospesa per far spazio alla logica della pace. Si tratta, dunque, di una vera candidatura geopolitica: quella del Vaticano come sede per un possibile incontro al vertice tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Un’offerta che arriva nel momento in cui altre mediazioni sembrano arenate, e che sfrutta il capitale di credibilità e imparzialità accumulato dalla diplomazia vaticana nel corso dei decenni. La seconda parte del messaggio papale rafforza ulteriormente questa linea.

Quando Papa Leone XIV afferma: “E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace”, egli apre una finestra sul lavoro meno visibile ma non meno incisivo della diplomazia pontificia. Al di là del riferimento alla preghiera, che serve a mantenere l’equilibrio del discorso nel suo contesto ecclesiale, il vero cuore della frase è l’immagine di chi “cuce trame di pace”. È un’immagine di pazienza, di tessitura lenta, accurata, fatta di piccoli gesti che, messi insieme, costruiscono percorsi nuovi. In questa visione, appare chiaro l’appoggio – discreto ma deciso – alla figura del Cardinale Pietro Parolin, da anni al centro della politica estera vaticana, e riconosciuto come il principale architetto del lavoro diplomatico della Santa Sede. Il Papa, con queste parole, accredita il suo operato e ne valorizza il metodo: un metodo silenzioso, lontano dai riflettori, spesso invisibile ma profondamente incisivo. In questo senso, il messaggio è anche interno alla Chiesa, un riconoscimento a chi porta avanti una strategia di pace attraverso la discrezione e la perseveranza. Ma è soprattutto un messaggio rivolto all’esterno, al mondo della diplomazia globale, per dire che esiste un’alternativa alla logica del conflitto perenne e che essa passa anche per le vie meno battute.

Ciò che rende questo discorso straordinariamente politico è il fatto che venga pronunciato in un contesto religioso. Il Giubileo delle Chiese Orientali è un momento di riflessione teologica, liturgica e pastorale, ma il Papa ne fa un’occasione per rilanciare un messaggio universale e strategico. Le Chiese orientali, infatti, sono le più colpite dai conflitti in corso: basti pensare alle comunità cristiane in Ucraina, in Siria, in Terra Santa. Le parole del Papa assumono, in questo senso, una doppia funzione: quella di conforto ai fedeli colpiti dalla guerra e quella di pressione morale sui decisori politici. La Santa Sede si propone, ancora una volta, come interlocutore credibile, terzo, lontano dalle logiche di blocco e dalla strumentalizzazione politica. Il suo intervento non è neutro nel senso di indifferente, ma è imparziale nel senso più nobile del termine: vuole il bene delle popolazioni, non la vittoria di una parte. Il contesto internazionale rende ancora più rilevante questa proposta. Il conflitto in Ucraina ha raggiunto un punto di stallo militare, ma le conseguenze umanitarie ed economiche continuano a essere drammatiche. La diplomazia ufficiale, tanto quella occidentale quanto quella russa, sembra incapace di produrre un nuovo inizio. La Santa Sede, invece, con la sua rete di contatti, il suo prestigio morale e la sua lunga tradizione di mediazione, può offrire uno spazio alternativo. Uno spazio che non è privo di influenza, ma che esercita un’influenza diversa: quella del Vangelo, della coscienza, della responsabilità. Papa Leone XIV non propone soluzioni tecniche, ma offre un metodo e un luogo. Un metodo basato sull’ascolto, sul rispetto, sulla riscoperta dell’umanità dell’altro.

Un luogo che non è solo fisico – le stanze del Vaticano – ma simbolico: la Chiesa come casa comune, come spazio di riconciliazione. In questa ottica, la frase “ridare la dignità che meritano, la dignità della pace” diventa centrale. La pace non è solo la fine dei combattimenti, ma è il riconoscimento della dignità dei popoli, della loro storia, della loro sofferenza. È il contrario dell’umiliazione, della propaganda, della cancellazione dell’altro. La proposta del Papa, quindi, è insieme spirituale e politica. Spiritualità e geopolitica si fondono in un appello forte, che mira a far breccia non solo nei cuori dei credenti, ma anche nelle menti dei leader. L’Ucraina e la Russia sono chiamate a guardarsi negli occhi non per recriminare, ma per riconoscersi come esseri umani e come nazioni ferite. In conclusione, il discorso di Papa Leone XIV non è affatto casuale, né generico. È una dichiarazione d’intenti, una mossa diplomatica ben calcolata, un’offerta reale e concreta. È la riaffermazione del ruolo della Santa Sede come laboratorio di pace, come attore geopolitico morale, come spazio possibile per un vertice che potrebbe cambiare la traiettoria del conflitto. Il mondo politico saprà cogliere questa opportunità?

Sono sicuro che coloro a cui era destinato il messaggio è giunto chiaro e forte. Per usare una metafora tennistica , il Santo Padre, ha oggi delimitato il campo da gioco (la Santa Sede) e si è seduto come arbitro al centro del campo. Ora, dobbiamo aspettare i giocatori.

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