Geopolitica

L’omelia “Pro Eligendo Romano Pontifice” e il ritratto del prossimo papa

Forse davvero, all’orizzonte, si profila Paolo VII. Un pontefice che non cerca di piacere al mondo, ma di parlare al mondo nel nome del Vangelo.

7 Maggio 2025

L’omelia della messa «Pro Eligendo Romano Pontifice», celebrata la mattina prima dell’ingresso in Conclave, è da sempre un momento liturgico solenne, ma anche un potente segnale per chi sa leggere tra le righe. Nei due precedenti conclavi, proprio queste omelie hanno fornito indicazioni preziose sugli orientamenti prevalenti tra i cardinali elettori e, in filigrana, sul tipo di Papa che ci si aspettava. Anche oggi, nel clima carico di attesa che precede una nuova elezione, le parole pronunciate in questa Messa assumono un peso particolare, e aiutano a delineare un profilo possibile del prossimo Pontefice.

Il testo dell’omelia ha toccato temi chiave che sembrano riflettere le discussioni emerse durante le Congregazioni generali. Tre i punti centrali: la memoria dei Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, la centralità della comunione — tra i fedeli e tra i cardinali — e l’urgenza di una guida capace di risvegliare le energie spirituali della Chiesa in un mondo che tende a dimenticare Dio.

Non è casuale la scelta di evocare due figure così significative come Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il primo è il Papa del Concilio Vaticano II, del dialogo con il mondo moderno, delle riforme ponderate ma profonde. Il secondo è stato il grande comunicatore, il Papa missionario, che ha saputo portare la voce della Chiesa nei cinque continenti e parlare al cuore delle folle. Il richiamo congiunto a questi due Pontefici può essere letto come un segnale preciso: il prossimo Papa dovrà unire lo spessore teologico e la capacità di discernimento di Paolo VI alla forza evangelizzatrice e alla vicinanza al popolo di Giovanni Paolo II.

In particolare, il riferimento a Paolo VI appare tutt’altro che secondario. Non si tratta solo di una citazione storica, ma di un’indicazione di stile e di sostanza: un Papa che abbia la capacità di leggere i segni dei tempi con lucidità, mantenendo saldo il timone della Tradizione. In un momento storico segnato da polarizzazioni interne alla Chiesa e da profonde trasformazioni culturali, questo tipo di equilibrio potrebbe risultare decisivo.

Sarebbe quindi da escludere un Cardinale troppo conservatore e dichiaratamente ostile al cambiamento.

Altro elemento centrale dell’omelia è stato il tema della comunione, declinato in due direzioni: la comunione tra i fedeli e quella tra i cardinali. È difficile non leggere in queste parole un riferimento esplicito alla sinodalità, uno dei pilastri del pontificato di Francesco. Tuttavia, l’accento posto sulla comunione come fondamento dell’unità ecclesiale va oltre la semplice continuità: richiama l’idea di una Chiesa che cammina insieme non solo per metodo, ma per natura.

Si affaccia dunque l’ipotesi di un Papa che sappia proseguire il percorso sinodale non in modo ideologico, ma pastorale. Un pontefice capace di ascoltare, discernere, e soprattutto di tenere unite le diverse sensibilità che oggi convivono (e talvolta si scontrano) all’interno della Chiesa. La comunione tra i cardinali, esplicitamente menzionata, potrebbe anche alludere a una necessaria riconciliazione interna, dopo anni di tensioni e divisioni sulle direzioni da prendere.

Altro passaggio chiave dell’omelia è stato l’invocazione di un Papa “secondo il cuore di Dio”. Un’espressione che rimanda alla figura biblica di Davide, scelto non per le apparenze ma per il cuore. Una formula che fa trasparire la volontà di eleggere non semplicemente un “manager della fede”, ma un pastore autentico, capace di toccare le coscienze e di rigenerare lo spirito.

In un contesto in cui la fede sembra sempre più marginale nella vita pubblica e privata, emerge il bisogno di una guida che sia in grado di risvegliare le coscienze sopite, di riportare Dio al centro del discorso umano e di parlare non solo ai fedeli, ma anche a un mondo che osserva la Chiesa spesso con diffidenza, ma con attenzione.

Questo quadro suggerisce che i cardinali potrebbero orientarsi verso un profilo non divisivo, un Papa di sintesi, forse eletto alla quinta votazione — come spesso accade quando si arriva a un nome capace di raccogliere consensi trasversali. Un pastore che non sia percepito come “troppo Francesco” da parte dell’ala più tradizionalista, ma neppure come un ritorno al passato da chi ha apprezzato le aperture degli ultimi anni.

Da tutto questo emerge una suggestione forte: se davvero il nuovo Pontefice dovesse ispirarsi a Paolo VI, potrebbe decidere di assumere il nome di Paolo VII. Sarebbe un gesto simbolico di grande potenza. Un modo per dire: si prosegue sulla via del Concilio, del dialogo, del discernimento. Ma anche un segnale di equilibrio, dopo due pontificati così diversi come quelli di Benedetto XVI e Francesco.

Il nome scelto da un Papa è sempre una dichiarazione d’intenti. Un Paolo VII richiamerebbe immediatamente l’eredità di una Chiesa che non ha mai smesso di interrogarsi sul suo ruolo nel mondo moderno, ma che vuole farlo con fedeltà, con profondità e con carità pastorale.

La Chiesa si trova oggi in un crocevia storico. Le sfide non mancano: secolarizzazione, guerre, crisi ecologica, frammentazione interna. Ma è in questi momenti che lo Spirito soffia con maggiore forza.

L’omelia “Pro Eligendo Romano Pontifice” ha tracciato una mappa: il prossimo papa dovrà essere pastore, uomo di comunione, guida spirituale capace di interpretare il presente con lo sguardo profondo della fede.

Forse davvero, all’orizzonte, si profila un “Paolo VII”. Un pontefice che non cerca di piacere al mondo, ma di parlare al mondo nel nome del Vangelo.

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