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Geopolitica

Trump, l’Iran e la forza risolutrice della fiction

di Igor Cherstich

Come in molte opere teatrali, tutti i personaggi mentono. Ma nel contesto geopolitico in cui viviamo, certe menzogne sono più pericolose di altre

27 Giugno 2025

La guerra è anche teatro. Si finge per confondere il nemico. Si mente per creare il consenso. Si attacca, ma si fa anche finta di attaccare. In questo senso, la ‘guerra dei dodici giorni’ non costituisce un’eccezione. Quello tra l’Iran e l’asse Israele-Stati Uniti è stato uno scontro reale. Si è bombardato e ucciso. Ma si è anche fatto finta. Ora, questo elemento di performance è la chiave per capire i fatti, e occorre analizzarlo facendo una distinzione che è per lo più assente nei media italiani. Aldilà delle critiche che si possono formulare nei confronti di certi aspetti della Repubblica Islamica, bisogna ribadire con chiarezza che le mosse teatrali di Trump e Netanyahu ci hanno portato sull’orlo di una guerra mondiale. Quelle di Khamenei lo hanno impedito.

Atto primo: Israele fa finta che il diritto internazionale non esista, e attacca. Atto secondo: l’Iran risponde e Trump interviene. Epilogo: l’Iran bombarda le basi americane in Qatar. In ognuno di questi segmenti emerge la finzione. Nel primo, Israele afferma che l’Iran sia vicino all’ottenimento di armi nucleari: informazione smentita persino dall’intelligence americana. Trump – protagonista del secondo atto – esordisce con una battuta da operetta : “possiamo uccidere Khamenei in qualsiasi momento”. Poi attacca. Tronfio, come da copione, dichiara di aver impartito un danno enorme. L’Iran smentisce: il danno c’è, ma è di entità inferiore rispetto a quanto dichiarato dalla Casa Bianca. Gli esperti confermano. Infine, la conclusione: Khamenei bombarda il Qatar, ma prima di farlo allerta le autorità locali. Fornisce dettagli precisi. Un attacco finto. Sipario.

Che succede? Come in molte opere teatrali, tutti i personaggi mentono o omettono di dire la verità. Ma nel contesto geopolitico in cui viviamo, certe menzogne sono più pericolose di altre. Sebbene gli accordi tra Iran e Russia non prevedano un mutuo soccorso, in questo frangente, alla luce della corsa al riarmo europeo, il rischio di un coinvolgimento russo al fianco dell’Iran era reale. Putin è un attore consumato. Ma non fingeva quando, incalzato dai giornalisti, si rifiutava di discutere la possibilità che gli americani assassinassero Khamenei. Il suo ‘no comment’ era una battuta di scena. Il sottotesto era: ‘a quel punto ci toccherà intervenire’. La menzogna di Trump quindi, ha rischiato di diventare realtà. Il ‘danno enorme’ da finto stava per trasformarsi in vero. E da locale in globale.

Alla luce di questi dati, ci si accorge che l’atteggiamento di Khamenei è stato diametralmente opposto. Non una fiction che rischiava di impattare la realtà, come con Trump, ma un gesto coscientemente teatrale. Una performance pura. Un finto attacco al Qatar che rappresenta il desiderio chiaro di evitare un conflitto globale. Una mossa che ha fatto contenta la popolazione iraniana ribadendo la posizione di Khamenei come leader in tensione con America e Israele. Ma senza grossi danni. Né locali né mondiali. All’apparenza una continuazione dello scontro, nei fatti il contrario. Un terzo atto in classico stile aristotelico: la risoluzione del conflitto che secondo il filosofo doveva caratterizzare ogni rappresentazione teatrale.

Difficile prevedere come si evolveranno gli eventi. Come è noto, Khamenei ha prodotto una fatwa contro l’uso del nucleare per scopi militari. Ma già a marzo il governo iraniano aveva comunicato che, se minacciato, avrebbe riconsiderato le proprie posizioni. Il futuro è incerto. Quello che è certo, però, è che la scelta dell’Iran di chiudere con un atto di fiction ha evitato, per ora, l’escalation. Si è nominato Trump per il Nobel per la Pace. Una follia che, se perpetrata, contribuirebbe a confermare la pessima reputazione che l’Occidente si sta costruendo in questi mesi bui. Ma se date il Nobel a Trump, dovete dare un Tony Award a Khamenei. Anche un Oscar. Per ora la sua scelta recitativa ha impedito che lo spettacolo della guerra si trasformasse in una gigantesca opera interattiva che coinvolge tutto il mondo. Una di quelle in cui non ci sono più spettatori perché tutti sono diventati, pericolosamente, attori.

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