Uscire dall’euro è uscire di testa

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30 Maggio 2018

La cosa bizzarra del dibattito politico e mediatico degli ultimi giorni è che, anche se nessuno spiega quale guadagno avrebbero gli Italiani dall’uscita dall’euro, questa viene spacciata come una scelta taumaturgica che si potrebbe fare, se solo non ci fosse impedita dai “mercati” e dai kattivi Tedeschi delle Sturmtruppen. Dunque nemmeno si può capire perché il Quirinale abbia posto il veto su un anziano economista che gioca con la bomba atomica economica come il dottor Stranamore.

Fuori dell’euro saremmo “padroni a casa nostra”? Certo, saremmo padroni di decidere di NON ripagare il debito pubblico, cosa che uno Stato sovrano può effettivamente fare, se i creditori non gli mandano le cannoniere a sparare per fargli cambiare idea, come poteva accadere qualche secolo fa e dimenticando il non trascurabile dettaglio che il debito pubblico è lo specchio dei risparmi degli Italiani.

Si cancella il debito? Si cancellano in gran parte anche i loro risparmi.

Se invece si decide di non ripudiare il debito, qualunque Governo di qualunque colore in qualunque parte del mondo in qualunque momento della storia ha interesse, perdonate il gioco di parole, a minimizzare la spesa per interessi sul debito che il Paese ha, proprio come qualsiasi azienda che ha un fido o qualsiasi famiglia che ha il mutuo. Date le entrate dello Stato (dell’azienda, della famiglia), meno interessi si pagano e più soldi restano da spendere, per finanziare la sanità, la scuola, le forze armate, per panem et circenses, per il reddito di cittadinanza, per ridurre le imposte con la flat tax o per qualsiasi altra cosa piaccia.

Questo vale tanto più quanto lo Stato è indebitato e, tra i Paesi cosiddetti ricchi, nessuno è più indebitato della Repubblica Italiana. Qui forse entra in gioco il cortocircuito per cui l’Italiano, spesso, crede che lo Stato gli debba dare soldi, erogare servizi, pagare la pensione, ma quando c’è da pagare pensa che tocchi ad altri, il che è in parte è vero per gli evasori, ma alla fine nessuno sfugge all’IVA su quello che compra al supermercato o alle accise quando fa il pieno all’auto.

Quindi, carissimi concittadini e pure carissimi immigrati, che siete nella nostra stessa barca, ma non votate, meno interessi costa il debito pubblico e meglio è per tutti voi e soprattutto se una parte di quegli interessi viene pagata ai ricconi che vivono all’estero.

La cosa più bizzarra è che questo vale ancor di più per il politico che vuole governare: meno soldi dovrà spendere per interessi e più ne avrà da spendere in misure che gli garantiscono il consenso, che siano gli 80 euro, la flat tax o il reddito di cittadinanza. Se salirà la spesa per interessi ci sarà solo il mugugno.

Chiunque abbia anche pochi anni sulle spalle o apra un libro di storia si rende conto che tassi d’interesse così bassi come gli attuali non si sono mai visti e che qualcosa di simile, ma in misura minore, era accaduto solo negli anni ’60 del boom economico.

In questi anni di crisi abbiamo tassi d’interesse favorevoli come solo negli anni del boom, anzi di più. Potete comprare una casa spendendo non moltissimo più dell’affitto, ma questo proprio non succedeva quando sui mutui si pagava il 10, il 12% o più. Se saliranno i tassi d’interesse, potrete dire addio al vostro progetto di comprare casa, se avete un mutuo a tasso variabile la rata mensile salirà mangiando il vostro reddito. Quindi siete voi, non i famosi “mercati”, quelli che pagherebbero il conto di un forte rialzo dei tassi, che solo l’euro impedisce. Beh, direte voi, ma se i debitori perdono, allora i creditori guadagnano. No, perché il rialzo dei tassi d’interesse porterebbe a 90, 80 o meno il valore di un BTP decennale comprato a 100, da voi o dalla banca o dall’assicurazione o dalle Poste con i soldi che avete loro affidato.

Dunque chi guadagnerebbe da un rialzo dei tassi? NESSUNO. Non si tratta di un “gioco a somma zero” in cui io guadagno quello che il mio avversario perde, ma un gioco a somma negativa, tra chi perde di più e chi perde di meno, ma sempre perde.

Ora è incontrovertibile che l’adozione dell’euro abbia portato i tassi d’interesse in Italia ad un minimo storico, che ha permesso di risparmiare sulla spesa per interessi, dunque aiutando i conti dello Stato, delle aziende, delle famiglie e mitigando la durezza della crisi.

L’euro è solo rose e fiori? A parte alcune obiezioni tecniche da lite fra economisti, è innegabile che l’adozione dell’euro in Italia abbia portato nei primi anni ad una riduzione della competitività, perché si continuava a ragionare con la vecchia abitudine dell’inflazione e si continuava ad alzare i prezzi, ma questa nel 2018 è una storia vecchia: la crisi ha tolto a chiunque, dieci anni fa, la possibilità di alzarli, l’inflazione oggi è trascurabile.

Tutti sanno che le svalutazioni degli anni ’70 e ’80 portavano un beneficio di competitività temporaneo, che veniva velocemente eroso dall’inflazione, che è come una droga che dà assuefazione e va presa a dosi sempre crescenti. L’Italia esporta più di quello che importa, sì, facciamo anche noi proprio quello che rimproveriamo alla Germania. Le nostre industrie che esportano non hanno bisogno di una svalutazione, che al massimo per qualche tempo renderebbe ancora più ricchi i padroni di Ferrari, Armani o Prada, ma da subito ridurrebbe il valore degli stipendi di tutti, tramite l’aumento dei prezzi dei beni importati, primi fra tutti petrolio e gas, a cui non possiamo rinunciare.  È piuttosto la parte di economia che non esporta a mostrare la corda e soprattutto al sud, perché risente della diminuzione dell’altra vecchia droga italiana, la quantità di soldi che lo Stato travasa dal nord al sud, un argomento che una volta stava particolarmente a cuore ad un partito che si chiamava Lega Nord, diminuzione che è imposta dalla dimensione che ha raggiunto il debito, non dall’euro.

Uscire dall’euro non aiuterebbe in nessun modo, anzi la mancanza di una valuta forte è l’handicap di tutti i Paesi  meno sviluppati, che pagano interessi più alti e sono continuamente esposti a crisi valutarie, proprio come capitava all’Italia prima dell’euro.

Perché i “mercati” si agitano quando sentono parlare di uscita dell’Italia dall’ euro (UscITA suona bene, no?), perché gli altri Paesi europei si agitano? Per lo stesso motivo per cui tutti ci agiteremmo se un vicino aprisse il tubo del gas e minacciasse di far saltare in aria il suo appartamento, coinvolgendo naturalmente anche il nostro.

Chi propone di uscire dall’euro e non ha mai amministrato neanche una salumeria, non sa fare di conto e andrebbe ricoverato nelle strutture abolite dalla legge Basaglia. In un vero Paese sovranista verrebbe saggiamente spedito in Siberia.

TAG: euro
CAT: Euro e BCE

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