Il trionfo di Johnson, il tonfo di Corbyn: a sinistra si può solo perdere?

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13 Dicembre 2019

Ha vinto Johnson. Ha vinto Brexit. Ha vinto l’upper-class dalle capigliature paglierine che sa parlare alla working-class. Déjà vu, all’incirca. L’upgrade o il downgrade di Trump: ai postumi l’ardua sentenza.

Si teme l’effetto contagio, con i sovranismi di tutta Europa a impomatarsi, a farsi belli.

Si teme l’effetto domino, con gli annacquati di sinistra nostrani a trarre preziose lezioni, le solite. Quelle sull’annacquamento come unico rimedio possibile all’avanzata delle destre.

Lo dice Renzi, fedele seguace del blairismo e collezionista, dall’alto del suo 4%, di inestimabili chiavi di lettura della realtà: con il “metodo Corbyn” si perde. Mentre con il “metodo vocazione maggioritaria” sappiamo benissimo com’è andata…

Lo dice Romano (PD): “Le elezioni britanniche sono un monito anche per la sinistra italiana. Perché la catastrofica sconfitta di Jeremy Corbyn descrive tutta l’insufficienza di un programma fondato sulla cosiddetta ‘radicalizzazione dell’agenda politica’, sulla critica velleitaria al capitalismo, sul ritorno a ricette del passato che possono gratificare chi punta all’eroismo della sconfitta ma che sono del tutto incapaci a governare società complesse”. Peccato che, da sinistra, nessuno si sia accorto di questa svolta a sinistra della sinistra italica.

In fine, lo dice la stampa, la nostra stampa, che ha sempre una gran voglia di de profundis quando si parla di rosso, di allarmismo quando si parla di nero e di ineluttabilità quando si parla di ingegneri edili laureati con lode che fanno i netturbini, di un futuro ceto intellettuale che deve scegliere tra proletarizzazione e diaspora, specialmente al Sud.

Si fa eresia, in queste ore, nel sostenere che stiamo andando verso la controrivoluzione sovranista in virtù di una sinistra mancata. Che anche quando prova a ritrovarsi, vedi Corbyn, non ha più la credibilità o lo spessore per imporsi sul piano elettorale.

L’andazzo analitico post-disfatta-corbyniana preferisce suggerire la bellezza del partito ZTL, del populism chic, dell’orologio ideologico fermo agli novanta, dell’ossessione per il centrismo e dell’approccio acritico alla globalizzazione. Mentalità vincente.

“L’eroismo della sconfitta” è roba da massimalisti cascanti. La critica al capitalismo è “velleitaria”: si sa, il capitalismo appartiene alla metafisica, è imperituro. “Le ricette del passato possono gratificare” ma non sono spendibili nel “governare società complesse”: il Novecento e le sue celeberrime società semplici…

Insomma, parole che lasciano ben sperare. Non si sa chi, ma lasciano ben sperare. Di sicuro, non l’uomo dimenticato. Lui, sì, maggioritario. Stanco di praticare il dovere all’oblio e di farsi piacere a forza la retorica delle start-up.

Costui, dall’immaginario politico ormai arido, sente che il paradigma della figaggine del mercato onnipotente gli sta strozzando qualsiasi prospettiva esistenziale augurabile, dunque, cerca risposte, cerca alternative. E la destra queste risposte gliele dà. Sbagliate, furbe, semplicistiche, ma gliele dà. La sinistra, invece?

TAG: Brexit, Corbyn, Johnson, renzi, sinistra
CAT: Euro e BCE, Geopolitica

3 Commenti

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  1. dionysos41 4 anni fa

    Quale sinistra? Anche quella sedicente o maldetta “radicale”, guarda ai fantasmi, dunque non è sinistra. ogni sinistra seria nasca dall’analisi del reale, dal confronto con il reale. Questa si confronta con i propri fantasmi, o di apparato o ideologici. Mi direte che anche la destra guarda ai fantasmi. Sì, ma guarda caso sono gli stessi che vedono i più, nel “popolo”. I potenti di destra glieli sbandierano come loro vogliono vederli. Ecco perché convincono. Come quasi sempre accade, chi vince vince per lo più per l’insipienza di chi perde.

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  2. lina-arena 4 anni fa

    avere un programma; avere idee; saper comunicare sono le tre regole per una competizione elettorale. I laburisti non le hanno avute ed hanno perso. BoJo sa il fatto suo ed ha girato il regno unito con il suo cagnolino per fare capire gli obbiettivi da perseguire.E’ riuscito a comunicare. Non sappiamo cosa può realizzare. Comunque è deliziosa l’accoppiata con la regina.

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  3. massimo-crispi 4 anni fa

    Io credo che siano molti i problemi e tutti insieme. E credo anche che focalizzarne solo uno, come si usa fare in questo periodo, possa essere fuorviante perché la complessità dei tempi esige un colpo d’occhio assai più preciso e, soprattutto, reale.
    La comunicazione è senza dubbio uno dei tanti problemi ma lo è anche il destinatario della comunicazione. Quando il destinatario della comunicazione ha una comprensione limitata perché gli sfuggono le connessioni sintattiche e quindi anche se sembra parlare correttamente, e usa magari la giusta ortografia ma poi gli manca la comprensione dei concetti, in toto o in parte, la comunicazione resta comunque monca. Da ciò che si vede né a destra né a sinistra né al centro, l’elettorato, nella sua stragrande maggioranza, è in grado di capire alcunché. Un concetto che sia uno, espresso anche con una principale e, al massimo, un grado di subordinazione. È già troppo difficile. Lo slogan è infinitamente più semplice. Se la destra comunica con slogan che non spiegano niente ma la gente capisce ciò che vuol capire è chiaro che se lo slogan di tre o quattro parole arriva. Quando la Meloni urla “Non passa lo straniero” rifacendosi alla canzone del Piave si porta dietro tutta una serie di significati secondari, dicendo tutto e non dicendo niente. E soprattutto non realizzando niente, perché il sistema di accoglienza degli “stranieri” è regolato da una serie di leggi che lei sa benissimo che ci sono ma la gente comune no. Però è efficace perché individua un nemico e la gente, ignorante, analfabeta, idealista, fascista, o quello che si vuole, si riconosce in almeno un nemico da combattere. Quelle persone che vi si riconoscono non hanno altra chance che questo, appunto, riconoscersi nella stupidità di una frase del genere che però suona aulica, anche perché fa parte di una canzone patriottica (qui usata a sproposito) patrimonio storico dell’Italia. Oppure Dio patria e famiglia. Ha sempre successo perché è una triade identitaria. Ma declinata alla fascista è una triade distruttrice, ovviamente, una di quelle gabbie da cui è difficile uscire una volta chiusa a chiave.
    La sinistra che slogan dovrebbe usare? Gli stessi per accaparrarsi quel pubblico? La società, che si voglia o no, è cambiata ed è estremamente variegata, e nessuno in realtà capisce quanto e come sia cambiata né che cosa realmente desideri. A quanto pare riconoscersi in valori che noi chiamiamo democratici non incontra un grande successo, oggi. A questo punto bisogna chiedersi il perché, non credo sia solo un problema di comunicazione ma di analisi accurata della società e di tutto ciò che questa società fa, cosa guarda, cosa ascolta, cosa legge, cosa capisce e, soprattutto cosa fa per sopravvivere e come si muove. Questi movimenti di massa, siano 5 stelle, sardelle, ruspe, e via col vento, indicano solo che cercano una direzione perché quelle che ci sono sono ormai logore. Logore non perché siano logori i valori, ma perché quei valori non sono stati rispettati dagli uomini che li dovrebbero rappresentare. Gli ideali delle destre, al contrario, che sappiamo benissimo quali sono, ripugnanti per quanto possano essere, attraggono più persone di quanto si possa immaginare. È questo il nocciolo del problema, il perché, ci si rifiuta di indagare e capirlo. Se non si comprende questo non si potrà mai proporre qualcosa di alternativo e, secondo me, non dipende solo dalla comunicazione ma dalla scala di valori diversa che si è costruita in questi ultimi decenni attraverso la persuasione dei media e colla manipolazione di massa. Se non si riesce a intervenire lì non ci sono speranze. E questa è la prima base. Se poi si volesse andare avanti si dovrebbero presentare dei programmi che la gente percepisse come attuabili e, soprattutto, auspicabili. Se il capitano ne individua quattro o cinque che non sono fondamentali né utili ma sono chiari e sono di facile applicazione senza studi o rinunce, come il decreto sicurezza, dove basta semplicemente vietare alcune cose, è immediata l’adesione di chi crede che quelli siano fondamentali, perché la parte opposta non sa che cosa esprimere, è solamente anti qualcosa. Ed è vista dai più come azione anche se è la negazione dell’azione, è solo una sconfitta e una rinuncia. Ma se non si intercettano i bisogni reali (non quelli consumistici) delle persone e non si dà loro una risposta realizzabile, l’unica soluzione possibile per quelle masse è l’allontanamento dalla politica e l’ingrossarsi delle destre dai facili slogan. Oltre alla comunicazione (fallimentare, soprattutto per la pochezza di concetti) c’è anche l’incapacità di capire che paese è diventato il nostro o, forse, che paese è sempre stato. Per esempio se nessuno mai decide di fare coriandoli del concordato e quindi della Chiesa nel nostro paese, con tutti i privilegi economici e di gestione dei servizi che comporta, oltre agli scandali bancari, sessuali, di corruzione e connivenza con mafie e poteri invisibili che la contraddistingue, un governo non sarà mai credibile a una buona fetta di elettorato di sinistra e pure di destra, che di questo strapotere superfluo e obsoleto non ne può più. Il nostro è un paese essenzialmente ipocrita. Gli slogan della destra sono ipocriti. Ecco perché hanno successo.

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