UE

Cronaca semiseria di un anno senza la Grecia?

1 Luglio 2015

6 luglio 2016: ad Atene è una giornata afosa, fa caldo da morire. La Grecia è fuori dall’euro e dall’Unione Europea da poco meno di un anno. Tutto scorre lento e all’apparenza placido nella capitale, come in una qualsiasi giornata di mezza estate. Piazza Syntagma è quasi deserta a quell’ora del giorno, solo pochi hanno deciso di sfidare il caldo per restare appollaiati sulle panchine ad oziare. Per aria svolazza una foto, saltella sul lastricato. Ritrae i protagonisti delle concitate giornate di un anno prima in cui è stata sancita la fine politica dell’Unione europea.

In prima fila Alexis Tsipras, Jean Claude Juncker, Christine Lagarde e Mario Draghi. Vicino a loro Angela Merkel e Francois Hollande. Tutti si sforzano di dare in pasto ai flash sorrisi tirati, dissimulano tranquillità. La foto è un po’ rovinata e non si riescono a distinguere chiaramente gli altri personaggi, anche se si possono percepire le loro sagome. Sono tutti così vicini – nemmeno a un passo – e allo stesso tempo così lontani. Tutti europei, ma ciascuno con la propria idea di Europa. Sembrano tesi, ma confidano in un lieto fino, qualsiasi cosa ciò significhi. Ognuno aveva i propri motivi in quella vicenda, diranno in seguito i libri di storia. A parziale consolazione.

La Grecia usciva dall’euro insomma. E la cosa ebbe un forte impatto sull’economia locale e globale. In un venerdì di fine giugno a un certo punto il negoziato si era bruscamente interrotto. Per pochi dettagli tecnici di bilancio dissero i giornali. Essenzialmente per una questione di pochi, decisivi, punti percentuali. I negoziatori si ostinavano a dire che la soluzione era vicina, che un accordo era possibile, visto che la divergenza tra le parti non era di quelle incolmabili. Mostrarono grafici, presentarono opinioni roboanti, si susseguirono per giorni ricostruzioni. Ci fu anche chi spiegò la situazione con l’aiuto di un plastico che ricostruiva lo studio di Tsipras, la stanza in cui si prendevano quelle cruciali decisione.

I patti però sono patti e occorre onorarli per istaurare un rapporto di fiducia. Eppure, autorevoli osservatori avevano sottolineato la buona volontà di Atene nel portare avanti le richieste dei creditori. I punti percentuali, comunque, erano solo un simbolo, un cavillo, nascondevano delle grosse sfide politiche da affrontare. Funzionerà questa Europa nei momenti decisivi? Fino a che punto la famigerata trojca potrà imporre le proprie decisioni sostituendosi alla sovranità di uno Stato? Un creditore ha diritto a chieder conto al debitore dei propri denari, ma può determinare anche le modalità per ripianare? La risposta, a un anno di distanza, è sotto gli occhi di tutti. Ed è facile parlare a cose fatte.

Alla Grecia è seguito l’abbandono di altri Paesi. Come la Gran Bretagna: la defezione più rilevante, quella più cocente, intervenuta quasi all’indomani del Grexit. L’Unione è ancora formalmente in vita, ma somiglia più che altro alla sagoma sbiadita di se stessa. Quello spazio di pace e di sviluppo perpetuo, quel senso di appartenenza solidale e di fratellanza che caratterizzava la retorica europeista si era sgretolato sotto la spinta delle opinioni pubbliche dei vari paesi aderenti. Non c’era granché coerenza fra i messaggi e la realtà, così le cancellerie continentali – a microfoni spenti – si chiesero se valesse ancora la pena di esser dentro a una comunità zoppa, sorda, a tratti ottusa. Ciascun leader decise di rispondere al proprio elettorato, alla pancia del proprio popolo, e continuò imperterrito a coltivare il proprio orticello. Il risultato di quelle concitate giornate, insomma, fu un enorme vuoto di potere. E sì che alcuni segnali del dissesto si erano già palesati. Proprio in quel periodo, ad esempio, si era fatto un gran parlare delle politiche di gestione dei migranti. Ma ogni Paese, alla fine, aveva sostanzialmente tenuto la propria posizione. Oppure, questione più datata, l’Unione non era riuscita a incidere più di tanto sull’armonizzazione dei sistemi fiscali, per cui si era creata una vera e propria concorrenza fra Stati all’interno della stessa area economica. Il muro della sovranità nazionale veniva eretto la sera, per essere demolito il giorno appresso.

Quei concitati giorni, comunque, avevano ridisegnato la geografia politica del continente. I pesi e gli equilibri delle alleanze diplomatiche erano radicalmente mutati. Era chiaro a tutti che a fallire non era stato solamente un paese di 11milioni di abitanti.

Ma non ha più importanza perché quei giorni sono passati. I protagonisti di quella vicenda si sono riappacificati e sembra non serbino più rancore reciproco per quei drammatici momenti. Hanno deciso di vedersi spesso, anzi, come vecchi amici: “Let’s stay in touch”, si erano detti. Proprio fra qualche giorno s’incontreranno, coincidenza. Siederanno a un tavolo, berranno un goccetto, giocheranno ancora a poker, parleranno del più e del meno. E ci sarà imbarazzo al momento di pagare il conto. Forse sanno di averla fatta grossa e hanno qualche rimpianto. Si chiederanno se quella non era l’occasione per cambiare l’Europa, e come mai non hanno avuto il coraggio di guidare quel salto di qualità. Rideranno della cartina della nuova Unione perché un’Europa senza Grecia è come un quaderno senza carta. Ne parleranno, c’è da scommetterci. Anche se sarà solo un esercizio d’immaginazione, visto che oramai quel che è fatto è fatto.

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