La volontà di essere padre

20 Febbraio 2022

Come sta cambiando il concetto di paternità: cronaca, scienza, letteratura e filosofia per capire cosa significa essere padre. 

 

Sono tutti padri.

Sono storie di uomini accomunate da questo unico elemento: una paternità arricchita da una nota più alta, da un accento, da una caratteristica portata all’estremo: il perdono, il rifiuto, l’abnegazione e il supporto.

Richard Mason, “un tizio che era lì mentre i figli crescevano”, dopo 20 anni e tre figli scopre di essere sterile.

Francesco De Nardo ha perdonato sua figlia Erika, che nel 2001 ha ucciso madre e fratello.

Dick Hoyt ha gareggiato insieme al figlio con paralisi cerebrale per oltre mille competizioni tra maratone e triathlon, spingendo la carrozzina, trascinandolo su un gommone.

Brandon Boulware, avvocato, ha preso le parti della figlia transgender durante un discorso alla Camera dei rappresentanti del Missouri in cui si discuteva di una legge che, se approvata, impedirebbe a sua figlia di giocare nella squadra femminile di pallavolo.

E poi Geppetto, Victor Frankenstein – che hanno creato rispettivamente un burattino e un mostro – Ettore che toglie l’armatura alla vista delle lacrime del figlio, l’uomo che nella Bibbia uccide il vitello grasso per il figlio perduto e ritrovato: tutti loro hanno una cosa che li accomuna.

Sono tutti padri.

Richard Mason, imprenditore milionario di 55 anni, dopo aver visto nascere e crescere i suoi figli, averli accuditi e avergli dato il suo cognome, ha scoperto per caso, grazie a una visita medica, di avere una forma lieve di fibrosi cistica che lo ha reso sterile dalla nascita. I figli – uno di 23 anni e due gemelli di 19 – non sono biologicamente suoi. La ex moglie, dalla quale aveva divorziato nel 2008, ha confermato di aver avuto una relazione extra coniugale durante quegli anni. Mason – che ha dichiarato di essersi sentito raggirato – ha denunciato la donna per frode, ottenendo un risarcimento di 300 mila euro, corrispondenti a una parte del mantenimento versato per i figli. L’uomo ha definito sé stesso come “un tizio che era lì mentre i figli crescevano”. Nelle dichiarazioni rilasciate a quotidiani e tabloid, l’imprenditore afferma di essersi sentito privato di una parte fondamentale della sua identità. “Chi sono? Sono il padre di.” Scoprire di non esserlo più – anzi, di non esserlo mai stato – lo ha completamente stravolto: ha addirittura parlato di lutto. Dalle sue dichiarazioni traspare un’esigenza biologica più forte della consapevolezza di averli comunque cresciuti. Dal punto di vista genetico, il test di paternità è stato eseguito su di lui e su due dei suoi tre presunti figli (uno si è rifiutato). Secondo Luigi Zoja, psicoanalista e sociologo che si è dedicato anche a studi sulla paternità, scoprire di non essere il padre biologico non dovrebbe minare i sentimenti maturati negli anni. “Mason sta rinnegando tutti gli anni in cui ha provato sentimenti per i suoi figli. Erano sentimenti falsi? Il padre biologico è davvero più importante?”, si chiede Zoja.

Cos’è il padre biologico?

In biologia, il padre è definito dall’atto sessuale e dal concepimento. Il padre dà così al figlio una parte del suo patrimonio genetico.

In commercio esistono prodotti per l’analisi della paternità validati. Quello più utilizzato consente di analizzare sedici punti del genoma (presenti sui cromosomi detti autosomici, quindi non quelli che determinano il sesso dell’individuo) chiamati marcatori. “Questi sedici punti – ci spiega Barbara Pasini, direttrice della struttura complessa Genetica Medica Umana presso l’AOU Città della salute e della scienza di Torino nonché docente di genetica medica – sono chiamati polimorfici: significa che nella popolazione ci sono molteplici varianti. Questa variabilità rende più probabile che ciascun individuo abbia un assetto unico. Se due individui non sono padre e figlio, i marcatori condivisi saranno pochi o nessuno.”

Sebbene siano disponibili in vendita kit fai da te, è bene ricordare che esistono protocolli specifici a livello legale. “Il test avviene su sangue o su prelievo delle cellule della mucosa della bocca. Per il prelievo del campione viene commissionato l’incarico a un esperto da parte del Tribunale e sia campionamento sia esecuzione del test sono verbalizzati e avvengono in presenza di un perito di parte e di un testimone.”

Carlo Robino, Professore Associato di Medicina Legale presso il Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino, ci spiega nei dettagli come funziona l’iter. “Esistono tre strade a livello giudiziale. La prima è il disconoscimento della paternità, prevista dal nostro diritto di famiglia. Per esempio, il presunto padre di un figlio nato all’interno del matrimonio può ottenere (entro 5 anni dalla nascita) riconoscimento del fatto di non essere il padre biologico: strada perseguibile anche dal figlio nei confronti del padre, in questo caso senza limiti di tempo. Il secondo caso prevede la possibilità di avviare un’azione legale affinché il giudice riconosca la paternità e può richiederla il figlio presunto di un soggetto che non lo ha riconosciuto. Anche in questo caso non vi sono limiti di tempo per il figlio, che deve però prima ottenere il disconoscimento di paternità (se nato nel matrimonio) o impugnare il riconoscimento se nato fuori dal matrimonio e riconosciuto da altro soggetto.  L’impugnazione per difetto di veridicità, mediante la quale è possibile contestare un precedente riconoscimento, può essere proposta anche da chi ha effettuato il riconoscimento o da un soggetto esterno che ritiene di essere il padre di un individuo da altri riconosciuto. Anche in questo caso vi è un termine di cinque anni dal riconoscimento”.

I risultati dei test vengono espressi come probabilità. Per ciascuno dei quindici o più marcatori altamente variabili nella popolazione si conosce la frequenza con cui compaiono le varianti. Più la variante è rara e, più è probabile che la sua presenza in entrambi i campioni sia a favore della paternità. Data la frequenza delle varianti, si calcola la probabilità di osservare le loro combinazioni in tutti i marcatori per ciascuna delle ipotesi contrapposte, che sono solitamente l’ipotesi della paternità contro quella di non paternità. “Non devono coincidere tutti e quindici – aggiunge Robino – poiché esistono le cosiddette mutazioni, cioè errori naturali nella replicazione delle varianti genetiche al momento della trasmissione da genitore a figlio”.

La paternità è quindi – per la biologia e la giurisprudenza –l’esito di un esame su qualcosa che non vediamo a occhio nudo. “La genetica è una prova astratta, un dato che leggi su un tabulato. Non è un’esperienza fisica: non ci sono sensazioni che questo derivi da un rapporto avuto nove mesi prima. Per questo la paternità fisiologica non esiste. Ogni paternità è in sostanza un’adozione, una volontà.”, commenta Luigi Zoja.

In letteratura esistono padri che plasmano le proprie creature in una situazione ibrida in cui più che la biologia conta la volontà: Geppetto, per non restare solo, crea un burattino con cui inizialmente pensava di fare soldi, ma al quale si lega al punto tale da patire il freddo, rinunciando per lui alla giacca per comprare un abbecedario, in una spirale di abnegazione e sacrificio che porta entrambi a crescere.

Di contro rispetto a Geppetto, Victor Frankenstein crea un mostro dalla combinazione di cadaveri, dandogli vita e al contempo innescando una spirale di odio e paura. Il creatore stesso fugge terrorizzato e pentito davanti alla sua opera scaturita da un’ossessione e dal lutto per la morte della madre. Il padre crea e abbandona il figlio, lo lascia nel mondo senza educazione. Il figlio diventa così un mostro: per la mancanza di amore paterno e per i sentimenti di odio e repulsione che genera negli altri, nella comunità. Il mostro è un outsider, un “non voluto”, un figlio desiderato prima e rinnegato dopo. Per sete di vendetta, il mostro ucciderà il fratello di Victor e infine anche un suo amico e la futura moglie e – come conseguenza indiretta – moriranno anche il padre di Victor e la governante accusata di omicidio. In Frankenstein ci sono dolore e pentimento, ma manca il perdono del figlio nei confronti del padre che lo ha abbandonato e del padre che vede morire gli affetti più cari per mano del figlio.

Ed è invece proprio il perdono a caratterizzare un altro padre della cronaca: Francesco De Nardo.

Il 21 febbraio 2001, De Nardo perde moglie e figlio di undici anni, uccisi dalla figlia più grande, Erika, all’epoca sedicenne, e dal suo fidanzato Omar Favaro. Il delitto di Novi Ligure è stato trattato dai media in modo approfondito, costante e quasi viscerale. L’efferatezza dei colpi inferti con un coltello, l’uccisione di un bambino, di una madre, la premeditazione e l’uso di droghe: ogni elemento apriva una porta. Eppure, Francesco De Nardo non ha mai smesso di seguire Erika. Di andare a trovarla, di parlarle, di starle accanto: ha scelto da subito quella via, pur sapendo di essere stato sulla lista nera di Erika e del fidanzato. In una parola: usa un perdono simile a quello del padre nella parabola del Figliol Prodigo, rinominata “La parabola del figlio perso e ritrovato”, proprio per porre l’accento sul perdersi di un figlio e sul perdono che un padre è capace di dare a prescindere dal pentimento e da ciò che è stato commesso. “Egli, dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò.” (Luca 15, 11-32).

 

Luigi Zoja, nel saggio “Il gesto di Ettore (edito per Bollati Boringhieri) traccia un excursus storico sulla paternità e sulle sue molteplici sfaccettature. “Il padre – dice Zoja – è un derivato, un fatto culturale, la cui natura e struttura si è modificata nel corso del tempo.” La paternità, quindi, manca di quella parte fisica, di contatto e di gestazione che è propria della maternità. Per questo per Zoja è un’assunzione di responsabilità.

 

“Oggi stiamo assistendo a un ritorno di un ruolo accudente paterno anche in Italia, seppur lontani dai livelli scandinavi, dove comunque i padri dedicano al figlio meno tempo delle madri, evento non imputabile al maschilismo ma a un semplice fatto biologico.” Si vedono sempre più padri portare i figli nel marsupio, spingere passeggini, consolarli, accudirli con una maggior consapevolezza dei propri obblighi. “È ancora una rivalutazione della paternità parziale e statisticamente minoritaria, che rende l’idea del fatto che l’assenza post-moderna del padre sia in realtà più psicologica che fisica – prosegue Zoja – ossia non dovuta all’aumento di divorzi. Per citare una mia paziente: il padre della civiltà tradizionale contadina era un tiranno ma era un padre. Il padre di oggi è un cretino seduto davanti alla televisione.”

 

Zoja suggerisce tre figure del padre: quella del tiranno (autoritaria o, nei casi migliori, autorevole), quella del padre assente e infine quella del padre accudente, ancora minoritaria e insufficiente dal punto di vista piscologico: “si tratta di un raddoppio della madre, ossia dell’educatore primario, ma manca il ruolo di educatore secondario, fondamentale nel periodo dell’adolescenza, che è quello di chi inquadra e detta le regole”. I genitori single devono unire in sé entrambi i ruoli. Nel caso dei figli maschi, l’assenza del ruolo educativo secondario si acuisce, proprio perché manca il modello paterno di riferimento del proprio genere.

“La paternità – conclude Zoja – è una relazione che si costruisce a livello psicologico e culturale. Sentirsi padre è un ruolo interiore, un ruolo che si assume e si porta avanti nel tempo.”

Un ruolo culturale, come dice Zoja, e spesso anche politico e sociale, soprattutto in caso di figli con disabilità o che rientrano nel novero delle minoranze. Per questo, per l’attivismo e la compassione in senso etimologico, commuove il discorso dell’avvocato Brandon Boulware alla Camera dei rappresentanti del Missouri per difendere il diritto di sua figlia transgender di giocare nella squadra femminile di pallavolo.

Brandon Boulware e sua moglie hanno costretto per anni il figlio a indossare abiti, usare giochi e praticare sport comunemente definiti “da maschio”, secondo gli stereotipi. Un pomeriggio, ci racconta nel suo discorso – che si è tenuto proprio nel giorno del compleanno della bambina – tornando a casa ha visto sua figlia nel vialetto, con un abito da femmina, che voleva giocare con altri bambini. “Lei mi chiese se, cambiandosi e mettendo i vestiti da maschio, avrebbe potuto andare a giocare. In quel momento mi sono reso conto che mia figlia stava equiparando l’essere brava con l’essere qualcun altro: le stavo insegnando a negare sé stessa”. Boulware riconosce nel figlio, costretto a vestire i panni di un maschio, emozioni di tristezza profonda. Dopo l’accettazione famigliare e dopo aver dato alla figlia la possibilità di esprimersi, il padre vede in modo concreto la differenza: l’estrema sicurezza di sua figlia, la sua felicità. Ora, addirittura, si espone per permetterle di giocare nella squadra femminile, parlando contro una legge che, se approvata, potrebbe impedirglielo.

Dick Hoyt è morto all’età di ottant’anni dopo aver permesso a suo figlio Rick, disabile – con paralisi cerebrale provocata da ipossia durante il parto – di realizzarsi nello sport e dopo aver dato ad altri padri e ad altri figli la stessa possibilità, attraverso la sua associazione. “Quando corro, io non mi sento disabile”. Sono bastate queste parole, pronunciate dal figlio Rick dopo la prima corsa sulla sua carrozzina spinta dal padre, per far sì che Dick Hoyt decidesse di non smettere, di continuare a correre per e con il figlio, completando più di mille competizioni tra maratone impegnative e triathlon fisicamente intensi.

Massimiliano Verga – scrittore, ricercatore e docente di sociologia dei diritti fondamentali presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano Bicocca, padre di Moreno – sottolinea che la lotta per i diritti prescinde dalla disabilità o dall’appartenenza a una minoranza. Tutti i genitori sono portati a chiedere per i propri figli prospettive di vita migliori. “Nel caso della disabilità, questa lotta è più marcata poiché è necessario vedere riconosciute certe tutele: un conto è affermarle su carta e un conto è vederle realizzate.”

“Esiste un cliché culturale che vede le madri come più accudenti – spiega Massimiliano Verga – ed esistono moltissime situazioni di famiglie monogenitoriali in cui è la figura della madre a essere prevalente con il figlio disabile. Alcune donne vengono abbandonate dal compagno dopo la nascita di un figlio con disabilità. Le figure paterne che accudiscono figli con disabilità da soli o con le madri sono figure che adottano strategie di mescolanza di ruoli”.

I genitori si occupano dei figli per una certa parte della loro vita. Quando c’è un figlio con disabilità questa dinamica si protrae per tutta la vita. “Io dovrò decidere per lui per sempre: che cosa mangia, a che ora si va a dormire, quali persone frequenta. Lo devo lavare, vestire e nutrire sempre. E sono io a lottare per i suoi diritti.”  Sono quindi padri e madri a farsi carico delle rivendicazioni di figli che non hanno gli strumenti per far valere i loro diritti. Massimiliano Verga, esattamente come Dick Hoyt, ha dato voce a suo figlio, “io sono il suo racconto, racconto io al posto suo.” Lo ha fatto attraverso i suoi libri (Zigulì e Un gettone di libertà), il teatro, i film. Perché “se rimanessimo in casa, nessuno saprebbe della nostra esistenza”. A partire dal racconto, fatto anche in nome di genitori che per tempo o strumenti non sono in grado di essere portavoce dei figli, la società è chiamata ad ascoltare. Il racconto è in partenza autoanalisi, catarsi – Zigulì è nato come diario – e poi si trasforma in strumento politico. Dick Hoyt ha trovato il suo linguaggio, il suo mezzo: le maratone, le gare, lo sport ma l’intento è lo stesso: esistere, raccontare il figlio e raccontarsi insieme al figlio. Serve per l’accettazione? “L’accettazione è molto soggettiva – continua Verga – può essere declinata come rassegnazione, resilienza, rabbia. Mi dicono che io sono arrabbiato con il mondo: non significa che non abbia accettato la disabilità di mio figlio, anzi: significa che ci sono, che mi interessa, che lotto per il diritto negato. I giorni senza rabbia sono i giorni in cui non sono stato sufficientemente presente.”

 

Ritorna la dicotomia tra abbandono e accudimento. La paternità è quindi presenza. Esserci per i figli, nella relazione con i figli. Esserci in modo educativo e costruttivo.

C’è un passaggio dell’Iliade in cui si svela la paternità di Ettore, nella sua essenza. “… e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa e lo posò scintillante per terra, e poi baciò il caro figlio”. (Iliade, Libro VI).

Quindi, cos’è un padre?

Come dice Luigi Zoja, la paternità è un fatto culturale e di volontà. “In Ettore possiamo vedere un padre completo. Non solo il guerriero, ma anche un padre amorevole, caratterizzato dalla tenerezza e dalla capacità di portare il figlio più in alto rispetto a sé, di elevarlo e di preparare il terreno affinché sia migliore di lui.”

 

 

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CAT: Famiglia

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