L’opposizione in Bielorussia non è tutta dalla stessa parte

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7 Settembre 2020

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Volodymyr Ishchenko, sociologo le cui ricerche si concentrano su proteste e movimenti sociali, rivoluzioni, politica di destra e sinistra, nazionalismo e società civile. L’articolo, pubblicato originariamente su LeftEast, è stato tradotto da Fabio Cescon.

Gli scioperi in Bielorussia della settimana scorsa hanno dimostrato che le proteste contro Lukashenko non sono una semplice “rivoluzione hipster”. Ma mentre i cittadini si uniscono alle proteste per vari motivi differenti, ci sono delle forze neo-liberali ben organizzate che si trovano in posizioni strategiche per imporre il proprio controllo.

Probabilmente non sapremo mai come come hanno votato i Bielorussi il 9 agosto. Nessuno dubita che i risultati siano stati falsificati, ma nessuno ha provato che Aleksandr Lukashenko le abbia perse. Dei tentativi di estrapolazione dei voti basati su dei campioni non casuali di collegi elettorali hanno prodotto stime che vanno da 30% a 60% circa per Svetlana Tikhanovskaya. Di conseguenza i risultati disponibili non ci permettono di stabilire chi abbia vinto.

Tuttavia Lukashenko non vuole procedere a un nuovo contaggio dei voti o a nuove elezioni, poiché queste azioni innescherebbero delle defezioni del regime. Concedere una cosa del genere significherebbe concedere la propria sconfitta, come nel caso di Viktor Yanukovich dopo la Rivoluzione Arancione in Ucraina nel 2004.

Fino ad oggi la posizione di Lukashenko è stata categorica: lascia intravedere una lontana possibilità di nuove elezioni solamente dopo delle modifiche alla Costituzione, che indebolirebbero i poteri del prossimo presidente. Tutto ciò gli concederebbe del tempo e gli permetterebbe di ottenere alcune garanzie. Tuttavia i manifestanti sono uniti attorno alla richiesta di dimissioni immediate di Lukashenko. La radicalizzazione violenta ha preso fine la settimana scorsa – ma l’intransigenza aumenta le possibilità di un nuovo ciclo.

Proteste non-violente

Come avevo predetto, la violenza decentralizzata e poco coordinata dei giovani, la prima notte dopo le elezioni, non si è evoluta in qualcosa di comparabile al sollevamento armato in Ucraina nel 2014. Perché questo sia possibile è necessario che ci siano non solamente delle persone indignate ma anche delle organizzazioni più forti, con delle competenze in materia di violenza e strategia violenta.

In Bielorussia, l’utilizzo di bombe Molotov o di qualsiasi altro “strumento di violenza” è stato molto raro, i tentativi di barricate sono stati molto esitanti e non si è vista la nascita di nessuna organizzazione paramilitare. La polizia anti-sommossa era ben preparata, e nei casi in cui si trovava in inferiorità numerica, sembra che sia stata rinforzata da unità dell’esercito. Nell’ordine di grandezza, il numero di poliziotti feriti è inferiore a quello dell’operazione Maidan in Ucraina – e il numero di manifestati arrestati è superiore. I manifestanti non sono riusciti ad occupare e barricarsi in nessuno spazio specifico, rendendo impossibile la creazione di zone autonome che potessero perturbare l’ordine statale e che avrebbero potuto servire da punto di controllo per le attività di mobilizzazione.

Gli scontri sembravano già in declino a partire dalla terza notte. Poi, a metà settimana, le attività di protesta sono passate ad un repertorio non violento, con donne in vestiti bianchi incatenate con dei fiori e chiedendo di mettere fine alla violenza. Le marce di protesta e i raduni erano risolutamente non istigatori, non disturbando generalmente neanche il traffico, neanche in caso di forte affluenza, incontrando quindi poca repressione. I raduni non violenti hanno raggiunto il picco la domenica del 16 agosto, il più importante nella storia della Bielorussia post-sovietica.

Le interviste rapportate dai partecipanti mostrano che le elezioni rubate, la violenza poliziesca, gli arresti di massa e la tortura sono le principali motivazioni che spingono le persone a partecipare alle manifestazioni. Sembra che le eccessive violenze poliziesche della prima notte di protesta si siano rivoltate contro il potere – fenomeno che si è prodotto anche in varie altre manifestazioni – e abbiano alimentato la mobilitazione degli oppositori di Lukashenko. Tuttavia, sembra che i manifestanti non siano riusciti a colmare il divario e ad attirare nel loro campo un numero importante di sostenitori di Lukashenko o di cittadini esitanti.

Scioperi perturbatori?

Le agitazioni operaie in varie fabbriche bielorusse è uno sviluppo centrale. È senza precedenti, infatti, nel contesto delle proteste e delle rivoluzioni anti-governamentali post-sovietiche, nelle quali gli scioperi dei lavoratori atomizzati della regione non hanno giocato un ruolo significativo.

Nel caso del vasto settore pubblico bielorusso, degli scioperi supportati dalle principali aziende statali potrebbero sferrare un duro colpo al governo. [Gli scioperi] sono già diventati un’innovazione nel repertorio delle proteste politiche inn questa regione. Contrariamente alla violenza, gli scioperi sono un problema che il governo non è preparato ad affrontare – e questo ha probabilmente contribuito al passaggio alla riduzione della repressione della scorsa settimana.

Tuttavia, questi disordini operai sono ancora lontani da uno “sciopero generale”. Francamente, la maggior parte di queste attività non può neanche essere qualificata come sciopero in senso stretto. Si tratta principalmente di petizioni, di riunioni con la direzione e di raduni nei cortili fuori dai luoghi di lavoro e ai loro ingressi. A volte, dei gruppi importanti di lavoratori si sono uniti alle manifestazioni dell’opposizione in maniera organizzata. Esistono solamente dei rapporti contraddittori secondo i quali la produzione si sarebbe realmente fermata, anche se parzialmente, e, nel caso in cui lo fossero, solamente in poche fabbriche.

È possibile che questi scioperi crescano di scala. Tuttavia, non è ancora chiaro quanto saranno durevoli e portatori di cambiamento, se saranno coordinati solamente da dei comitati di sciopero spontanei e da un’opposizione formata da classe media e élites ugualmente inesperta, distante dalla vita dei lavoratori.

Come previsto, i sindacati ufficiali sono filo-governativi ed hanno perfino mobilizzato persone per dei raduni pro-Lukashenko. In linea di principio ci sono molti modi per dividere i lavoratori e spezzare gli scioperi. I soldi degli uomini d’affari e della diaspora, il crowd-funding organizzato attraverso i canali Telegram legati all’opposizione e il comitato di solidarietà, non riusciranno a sostenere migliaia di lavoratori durante uno sciopero sufficientemente lungo – e non può che discreditare gli scioperi, se sono percepiti come corrotti.

Un altro tema che solleva preoccupazione è l’assenza di qualsiasi rivendicazione socio-economica nella maggior parte delle petizioni di sciopero, la maggior parte delle quali è centrata sulle richieste politiche generali dell’opposizione. In questo caso è poco probabile che la grande quantità di lavoratori che non hanno votato per Tikhanovskaya si vergognino di non unirsi agli scioperi. I lavoratori entrano in politica non come una classe cosciente dei propri interessi distinti, ma come cittadini anti-Lukashenko che si trovano “per caso” nelle posizioni strategiche della produzione economica.

Questo pone la domanda di sapere perché anche una mobilitazione operaia così limitata non si sia prodotta in altre rivoluzioni post-sovietiche, in particolare durante il caso Maidan in Ucraina. In quel caso, l’opposizione ha indetto scioperi dal “giorno zero”. Tuttavia, quello che si è realmente materializzato durante i tre mesi della campagna, sono stati i raduni non-sovversivi organizzati dalle autorità locali pro-opposizione delle regioni occidentali o da alcune amministrazioni universitarie.

Una spiegazione può essere che, contrariamente ad altri dirigenti post-sovietici, Lukashenko ha preservato in maniera maggiore l’industria “sovietica” e le sue specifiche caratteristiche. Concentrati nelle città mono-industriali o nei quartieri industriali, i lavorati portano sul loro luogo di lavoro i problemi della collettività riguardo alla violenza poliziesca e scoprono spontaneamente il potere che vincola la direzione ad aprire un dialogo con loro. Dovremmo anche ricordarci degli importanti e sovversivi scioperi operai sovietici della fine degli anni ’80, all’epoca della Perestroika, che non si sono ripetuti immediatamente dopo il crollo industriale.

L’inizio decentralizzato e senza leader delle proteste bielorusse può fornire una seconda parte di spiegazione. In Ucraina, i dirigenti dei partiti dell’opposizione – i milionari rappresentanti dei miliardari – così come i militanti delle ONG della classe media e pro-occidentale non erano esattamente le persone capaci di ispirare delle rivolte operaie, soprattutto perché le grandi industrie sovietiche restanti erano concentrate nelle regioni del sud-est, maggiormente pro-russe.

Infine e soprattutto – e questo può spiegare anche perché neanche i lavoratori ucraini delle regioni occidentali non si sono uniti alle proteste in maniera organizzata – l’opposizione ucraina sembra che avesse scommesso piuttosto presto sulla crescente pressione su Yanukovich esercitata dall’Occidente e su una presa di potere violenta, cosa che potrebbe non essere un’opzione per l’opposizione bielorussa.

Leadership informale

La contestazione, inizialmente decentralizzata, si sta strutturando. Appaiono diverse iniziative mediatiche, mediche, di solidarità e di comitati di sciopero. Tuttavia se qualcuno può pretendere alla direzione del movimento in questo momento è senza dubbio Tikhanovskaya (rifugiata a Vilnius) e la sua squadra elettorale.

Questa constatazione solleva una domanda riguardo quanto siano adequati di fronte all’evoluzione delle proteste e chi prenderà il potere dopo Lukashenko, e quali sono i loro interessi e le loro idee. Le aspirazioni dei manifestanti della base sono un cattivo indicatore delle conseguenze della protesta. Ciò che è più importante è sapere chi sarà realmente in grado di presentarsi alle potenziali nuove elezioni e chi sarà in grado di fare pressione in favore di questi “veri cambiamenti” dopo il cambio di potere.

In questo contesto è inquietante che il “Consiglio di coordinazione per il passaggio di potere” di Tikhanovskaya sia formato principalmente dall’intelligentsiya nazional-democratica, da uomini d’affari e da militanti di partiti marginali dell’opposizione e di ONG con selvaggi programmi neo-liberali e nazionalisti, che sembrano un copia/incolla dello sviluppo in Ucraina dopo il 2014.

Oggi, l’opposizione tenta di prendere le distanze con il “pacchetto di riforme per la Bielorussia” che è stato sostenuto da varie ONG e alcuni partiti del Consiglio di coordinazione. Ogni rivoluzione constituisce una rivendicazione per un cambiamento realmente “rivoluzionario”. È importante sapere chi avrà abbastanza autorità e risorse per riempire questo vuoto, e con quali idee.

Divisioni nello Stato

Malgrado qualche defezione di basso rango e di bassa scala tra gli agenti di polizia, i giornalisti dei media filo-governativi e qualche funzionario, non c’è nessun segno di defezione di alto rango tra l’ élite, la polizia o l’esercito. Durante dei periodi di rivoluzioni, abbiamo spesso ottenuto prova delle crepe che si stavano formando dietro le quinte solamente settimane o anche mesi dopo, grazie a reports di giornalisti investigativi. Tuttavia, lo stile meno conflittuale e più focalizzato sul dialogo di alcune autorità locali e amministratori potrebbe riflettere non un cambiamento della loro lealtà ma una generale strategia di de-escalation – delle parole che fanno guadagnare tempo a Lukashenko.

È inoltre degno di nota che in tutto il paese si stanno organizzando delle manifestazioni altrettanto grandi in favore di Lukashenko.  I partecipanti delle manifestazioni pro-Lukashenko sembrano di media più vecchi e più poveri dei partecipanti dell’opposizione. Perfino secondo alcuni giornalisti dell’opposizione, la manifestazione pro-governativa a Minsk ha riunito circa trentamila persone. Era più piccola di quella organizzata dall’opposizione lo stesso giorno, e il trasporto verso Minsk o altre città era stato organizzato da strutture filo-governative. Tuttavia, i partecipanti sembravano genuini e entusiasti nel loro supporto per Lukashenko e esprimevano delle paure razionali di perdita di lavori, industria, e stabilità, e paure riguardo la violenza.

Questo è in netto contrasto con le manifestazioni pro-Yanukovich in Ucraina, che sembravano solamente rinforzare l’illusione dei manifestanti di Maidan, ovvero che qualsiasi cittadino cosciente sostiene Maidan e quelli che non la sopportano sono dei venduti, marginali e/o traditori. Lukashenko sta sfruttando intensamente la retorica patriottica de “la madrepatria in pericolo”, mentre l’opposizione ha ancora bisogno di trovare un modo di parlare dell’identità Bielorussa e non ripetere idee e retoriche nazional-democratiche impopolari.

Spettri russi

Le due previsioni opposte – ovvero (1) un’invasione russa della Bielorussia per salvare Lukashenko o (2) l’accettazione russa di qualsiasi risultato della rivoluzione, poiché la sua economia è così dipendente dalla Russia – sono basate su due confronti fuorvianti con l’Ucraina e l’Armenia.

La Russia si è in effetti astenuta da ogni invasione su grande scala del sud-est dell’Ucraina. Il costo dell’annessione della Crimea – una penisola con una popolazione simpatizzante, con un timore nel violento cambiamento politico nella capitale – è incomparabilmente inferiore a quello che emergerebbe dall’occupazione della Bielorussia – un paese molto più grande con vaste manifestazioni dell’opposizione già in corso.

Per quanto riguarda l’Armenia, si tratta di un piccolo stato schiacciato tra due stati più potenti e ostili (l’Azerbaigian e la Turchia) che bloccano la maggior parte dei suoi confini. Ciò che ha determinato la tolleranza di Putin nei confronti della rivoluzione armena due anni fa, fu molto più della dipendenza dell’economia armena dalla Russia.

D’altro canto, la debolezza di qualsiasi divisione nazional-identitaria in Bielorussia, contrariamente all’Ucraina, rende più difficile legittimare il sostegno in favore della repressione. Se in Ucraina, Putin poteva pretendere la legittimazione di “salvare” “la nostra” “popolazione russofona” da “Banderisti” [riferimento al nazionalista ucraino Stepan Bandera che collaborò in diverse occasioni con le forze naziste] alloctoni provenienti dalle regioni occidentali, in Bellorussia tutta la popolazione è “nostra” e non solamente una parte.

Nella stessa maniera non è “legittimo” agli occhi della popolazione Russa sostenere il governo che picchia il “nostro” popolo. Questo significa che il supporto russo potrebbe essere limitato e segreto. Nel caso in cui Lukashenko finirà per perdere il controllo, la Russia si imposerà probabilmmente come mediatore per garantire i propri interessi in un compromesso negoziato. Un cambio di potere in Bielorussia dovrebbe essere “guidato” dalla Russia, per non essere percepito come una perdita per Putin. A tal fine, qualunque candidato serio per prendere il posto di Lukashenko dovrebbe fare di più per la Russia che semplicemente nascondere le proprie preferenze geopolitiche, come fa attualmente l’opposizione.

Minsk Maidan?

Un ultimo punto, riguardo ai riferimenti all’Ucraina nelle attuali discussioni sulla Bielorussia. Innanzitutto, delle affermazioni come “è come Maidan” o “non è affatto come Maidan” espresse dal governo o dai sostenitori dell’opposizione sono della stessa natura delle affermazioni di legittimazione/delegittimazione piuttosto tipiche come “questo è un pogrom, non è una rivoluzione”, “siamo partigiani, non terroristi”, “noi non siamo dei fascisti, solo dei patrioti”. Se il nostro obbiettivo non è quello di giocare a questi giochi ma di capire e illuminare quello che sta succedendo in Bielorussia, bisogna intraprendere un confronto minuzioso, piuttosto che accontentarsi di porre delle etichette.

Un confronto con l’Ucraina può non solamente aiutare a comprendere la Bielorussia, ma anche il contrario. Ora possiamo vedere meglio a cosa corrisponde una manifestazione veramente “spontanea”, “interamente nazionale”, “senza leader”, e che sembra molto differente dalla Maidan ucraina. L’impressione negativa lasciata dal presunto successo della rivolta ucraina del 2014 conduce a negare qualsiasi somiglianza.

Inoltre, la tendenza a parlare dell’Ucraina solamente nel contesto di nazionalisti radicali, scissioni regionali e di rivalità geopolitiche – e dunque a concludere che “niente di tutto ciò avviene in Bielorussia” – comincia a dare l’impressione che la persona che differenzia in tale maniera le due situazioni sia arrivato ad apprezzare i reportage estremamente negativi, tipici di Russia Today.

C’erano molti altri problemi seri con Maidan – il carattere vago delle sue esigenze, l’incapacità a costruire delle istituzioni, la polarizzazione delle classi subalterne e l’esclusività del suo nazionalismo civico – che sono molto pertinenti per il caso bielorusso. Si potrebbe dire che l’entusiasmo roseo riguardo alla Bielorussia poiché “ci sono dei lavoratori coinvolti” è della stessa natura che lo scetticismo cinico riguardo all’Ucraina perché “c’erano dei fascisti, laggiù”.

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TAG: Bielorussia, Lukashenko
CAT: Geopolitica

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