Il caso Morisi e le ipocrisie dei “moderati” della Lega

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1 Ottobre 2021

Del caso Morisi se ne occuperà la magistratura. Tuttavia mi stupisce l’atteggiamento ipocrita di molti “pezzi grossi” della Lega, che ora si affrettano a prendere le distanze non soltanto da Morisi e dalla ripugnante Bestia, ma da Salvini stesso. Si sa, in politica non esiste gratitudine, né fedeltà. Ma se la Lega oggi è il primo (o il secondo, dipende dai sondaggi) partito d’Italia, gli eletti leghisti lo devono in primis a Salvini, e alla Bestia di Morisi. E gli elettori, quando votano Lega, votano Salvini; per anni – sui treni regionali, in taxi, nei bar e nei supermercati del Nordest – mi sono confrontato anche aspramente con elettori (ed elettrici) della Lega, e molti, molte, mi ripetevano più o meno la stessa solfa: voto Salvini perché è “sincero”, “perché dice le cose come stanno”, “è brutale ma ha ragione”, “non è amico della finanza globale” e così via.

Se i “moderati” della Lega (uno dei miti più coriacei dello storytelling politico nostrano) fossero sinceri, se la loro conversione sulla Via di Damasco fosse dettata da un’illuminazione tanto miracolosa quanto autentica, allora costoro non dovrebbero prendere le distanze soltanto dal “capitano” (che negli ultimi anni hanno inneggiato e celebrato) e dalla Bestia, ma anche da lunghi, tristi decenni di demagogia intollerabile contro i migranti, l’Europa, la comunità LGBT, gli avversari di centrosinistra ecc. E non dovrebbero, soprattutto, invocare un ritorno alle origini bossiane, quando la Lega (Nord) era il partito che malediceva l’Unità nazionale, offendeva in modo inaccettabile i nostri concittadini del sud e la magistratura, tuonava contro gli eurocrati e contro gli stranieri, definendo l’immigrazione clandestina tra i «reati più gravi al mondo». Chi è che parlava di «300mila martiri» pronti a prendere le armi contro lo Stato? Chi diceva di aver ordinato un camion di «carta igienica tricolorata»?

In un paese normale, il partito di Bossi non sarebbe stato blandito da media e politici di destra (e di sinistra), ma sommerso dalle critiche e dagli sberleffi, e condannato a una meritatissima damnatio memoriae. Oggi i “moderati” della Lega lo rievocano con accenti quasi lirici, come se fosse il PCI di Berlinguer o la DC di Moro, e sognano di tornare alla Lega bossiana, che è stata – nella più generosa delle ipotesi – un freno all’evoluzione culturale e morale del paese, un partito che ha seminato zizzania e acuito la frammentazione nazionale, approfondendo il solco tra i territori del nord e quelli del sud, e che sostanzialmente ha contribuito a indebolire l’Italia: sia all’interno (con la fola del federalismo regionalista, in un paese già centripeto di suo) sia all’esterno, dato che a non poche potenze straniere piacerebbe molto l’idea di un’Italia balcanizzata, vulnerabile alle scorribande finanziarie e ai saccheggi industriali, impantanata in mille piccoli e grandi campanilismi.

Nell’anno del Signore 2021, in un mondo dove grandi e medie potenze come la Cina, la Russia, la Turchia hanno posture sempre più aggressive (nel Pacifico, nell’Artico, nel Mediterraneo), e cercano di interferire con la politica interna di stati sovrani come gli Stati Uniti, la Spagna o il Giappone, sognare la retropia delle piccole patrie è pericolosissimo, una favola masochistica che rischia di rendere l’Italia, e l’Europa, ancora più vulnerabili. Già negli anni Novanta, quando gli Stati Uniti avevano un’effettiva egemonia globale, la Russia era nel caos, la Cina era impegnata nelle sue riforme e l’Europa centrorientale pendeva dalle labbra di Washington, Berlino e Bruxelles, le piccole patrie erano modernariato politico, strumenti di propaganda per demagoghi come Bossi, Pujol e Haider.

Ma se negli anni Novanta – fuori dall’Italia – il mito delle piccole patrie era innocuo grazie alla congiuntura eccezionalmente favorevole a un Occidente straripante di benessere, libertà e sicurezza, oggi non è più così. Un’Italia resa ancora più regionalizzata dalla cd autonomia differenziata, trasformata in una specie di confederazione di piccole patrie e staterelli inefficienti, sarebbe altamente vulnerabile a pressioni geopolitiche di ogni tipo. E se è vero che nessuno dimentica il caso Savoini, è anche vero ad esempio che è stato uno dei leghisti “moderati”, presidente del consiglio regionale di una regione del nord, nel 2016, a recarsi in Crimea, territorio sottratto alla sovranità ucraina con la forza, in flagrante violazione del diritto internazionale, e simbolo del revisionismo imperialista russo.

Quando nella Lega c’è chi dice di voler imitare la CSU bavarese, e creare la CSU dell’Italia del nord, non rende un servizio al paese. Non solo perché sta mischiando, come si suol dire, mele e pere, dando prova di ignorare la complessa storia del processo di unificazione tedesco e le specificità della Baviera e della cultura politica tedesca, ma perché la CSU è appunto un partito bavarese, non include anche il Baden-Württemberg, la Saarland, il Rheinland-Pfalz: un super-partito del nord Italia potrebbe acuire le tensioni nazionali oltre i livelli di guardia, in un mondo molto più duro, caotico e instabile di quello dei “dorati” anni Novanta, quando Bossi in camicia verde poteva dedicarsi alle sue pagliacciate con l’ampolla di acqua del Po, inveendo contro l’Italia e gli italiani. Con un’America sempre più focalizzata sull’area del Pacifico, una Russia influentissima nel Mediterraneo e in Africa subsahariana, un’Europa che ancora non ha alcuna reale autonomia strategica, serve un’Italia senz’altro europeista, ma forte e unita, per proteggere la sicurezza e gli interessi degli italiani. A Varese come a Parma, a Napoli come a Cittadella.

 

Attribuzione: Presidenza della Repubblica

TAG: italia, lega, Morisi, salvini
CAT: Geopolitica, Partiti e politici

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