Co-fondatore nel 1886, assieme a due scienziati russi, Mechnikov e Bordakh, del primo centro antipeste della Russia Zarista a Odessa, città in cui era nato da una nobile famiglia di origine cosacca nel 1859, Nikolay Fyodorovich Gamaleya è considerato uno dei pionieri della microbiologia e della ricerca sui vaccini. A Gamaleya, che più tardi, in epoca sovietica, fu a capo dell’Associazione dei Microbiologi, degli epidemiologi e degli infettivisti, è intitolato l’Istituto di ricerca di epidemiologia e microbiologia di Mosca assurto recentemente alle cronache mondiali per lo sviluppo del vaccino contro la SARS-CoV-2.
Annunciato l’11 agosto dal presidente Putin e dal ministro della salute della Federazione Russa Mikhail Murashko nel corso di una videoconferenza con i membri dell’esecutivo il cui ordine del giorno era la preparazione dell’anno scolastico, il vaccino per il coronavirus ha monopolizzato l’attenzione mediatica internazionale dando vita a un estenuante dibattito che ha assunto contorni politici e geopolitici.
Prima di occuparci dei risvolti di carattere politico e delle questioni legate alla propaganda e alla disinformazione sul vaccino russo è necessario partire da considerazioni di carattere scientifico, pur nella consapevolezza che con lo scoppio della pandemia (e della connessa infodemia) anche le opinioni di virologi e scienziati vengono talvolta accusate di bias politico.
L’annuncio da parte del Cremlino della registrazione, la prima al mondo, del vaccino sul COVID-19, registrazione avvenuta dopo neanche due mesi di sperimentazioni sugli uomini, ha spinto autorevoli esponenti della comunità scientifica a sottolineare come in materia di vaccinazioni la fretta sia cattiva consigliera.
Gli sviluppatori di vaccini, come gli scienziati del Centro Gamaleya, hanno infatti avviato test su esseri umani a tempo di record allo scopo di far emergere gli anticorpi giusti per disarmare la SARS-CoV-2, il virus responsabile dell’attuale pandemia.
Ma il muoversi troppo velocemente – a detta degli scienziati – può portare i sistemi di difesa immunitaria ad esacerbare la malattia piuttosto che a difenderci da essa.
Esther Landhuis, in un articolo apparso su Scientific American il 28 maggio 2020 (articolo poi ripreso dalla rivista italiana Le Scienze), sottolineava che, nonostante nelle prime fasi di realizzazione del vaccino per COVID-19 questa eventualità non fosse emersa, “sulla base di ricerche relative a precedenti epidemie di coronavirus, i produttori di vaccini non considerano l’ostacolo come puramente teorico”.
In altri termini “il solo fatto che un anticorpo possa impedire a un virus di entrare nelle cellule in un preparato da laboratorio non significa necessariamente che si comporterà nello stesso modo nell’organismo”.
Akiko Iwasaki, immunologa della Yale University, in un pezzo su “Nature Reviews Immunology” del 21 aprile 2020, poneva l’accento sul fatto che “se alcuni degli anticorpi prodotti non si legano abbastanza bene al virus – o non sono presenti nella giusta concentrazione – possono aggrapparsi a esso ed esacerbare la malattia tramite un processo noto come potenziamento dipendente da anticorpi (antibody-dependent enhancement, ADE)”.
Il 12 agosto 2020, ossia il giorno dopo l’annuncio, anche il Guardian tornava sull’argomento evidenziando come “il crescente coro di preoccupazione per il vaccino Sputnik V deriva dallo sviluppo opaco e dalla mancanza di test di massa”.
L’articolo del giornale britannico citava le opinioni di Kevin Gilligan, virologo e consulente senior di Biologics Consulting e di Danny Altmann, professore di immunologia all’Imperial College di Londra.
Per entrambi, analogamente a quanto affermato in precedenza da Akiko Iwasaki e da altri scienziati, la vera fonte di preoccupazione è l’ADE.
Altmann spiegava al Guardian che “il lavoro alla base dello sviluppo del vaccino in Russia è stato così opaco che nessuno sa davvero quanto sarà sicuro o addirittura efficace”.
A detta del professore inglese il problema principale è la velocità dei ricercatori russi, con la conseguente sottovalutazione del fattore sicurezza, non la loro incompetenza.
Altmann ricorda per esempio che l’ADE fu uno dei motivi che fece naufragare alcuni sforzi per sviluppare un vaccino Sars, che acutizzava una reazione simile all’asma nei polmoni.
Ma a preoccupare Altmann e altri virologi non sono solo i potenziali problemi come l’ADE ma il tipo di approccio adottato.
“L’approccio ideale sarebbe stato quello di confrontare in modo trasparente 150 o più diversi candidati vaccini, utilizzando gli stessi criteri di test, per garantire che il mondo ottenga il miglior vaccino, non semplicemente il primo”.
L’idea di essere arrivati prima degli altri è peraltro uno dei cavalli di battaglia della comunicazione della Federazione Russa e l’idea di chiamare il vaccino contro il COVID-19, realizzato dal Centro Gamaleya in collaborazione con il 48 ° Istituto Centrale di Ricerca del Ministero della Difesa Russo e l’Istituto Vektor di Koltsovo (Siberia), Sputnik V, in riferimento al satellite dell’Unione Sovietica del 1957, testimonia un chiaro intento propagandistico.
Ma torniamo per un attimo alle criticità, per così dire tecniche, del vaccino e proviamo a rispondere ad alcuni quesiti cruciali.
Il vaccino russo è sicuro?
La risposta è che non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché la Russia non ha rilasciato dati scientifici sui suoi test, ma ha solo affermato che il vaccino è passato attraverso i test di Fase 1 e Fase 2, completati il 1° agosto 2020, e che i volontari di entrambe le fasi si sono sentiti bene dopo aver assunto il vaccino e non hanno mostrato effetti collaterali imprevisti o indesiderati.
Keith Neal, professore emerito di epidemiologia delle malattie infettive dell’Università di Nottingham, intervistato dalla CNN, ha fatto notare che gli effetti collaterali di un vaccino non si possono conoscere senza i test diffusi della Fase 3, che coinvolge decine di migliaia di persone e può richiedere mesi.
È interessante notare che lo stesso tipo di scetticismo è condiviso anche dall’Associazione russa delle organizzazioni di sperimentazione clinica che aveva esortato i funzionari governativi a posticipare l’approvazione del vaccino e a completare le prove avanzate della Fase 3 per non esporre i consumatori del vaccino a inutili pericoli.
Anche da medici e virologi russi era dunque arrivato un richiamo a non accelerare le pratiche per la registrazione del vaccino.
Un secondo quesito riguarda l’efficacia del vaccino.
Anche in questo caso, senza i test diffusi della terza fase, l’efficacia non è dimostrabile. In un’intervista a National Geographic, Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive degli Stati Uniti, ha affermato che “preparare un vaccino non è la stessa cosa che provare che esso sia sicuro ed efficace”.
Perché la Russia è arrivata prima degli altri?
In aprile, la Duma ha promulgato una legge che eliminava la necessità di una sperimentazione vaccinale di Fase 3 prima dell’approvazione. Questo significa che il vaccino contro il coronavirus può essere distribuito anche mentre sono in corso i test di Fase 3. I critici sostengono che la fretta con cui la Federazione ha registrato il vaccino sia dovuta alla pressione politica di un Cremlino desideroso di presentare la Russia come una potenza scientifica globale.
Il terzo quesito ci introduce a un ordine di considerazioni più squisitamente politiche e geopolitiche.
La scelta deliberata della nomenclatura putiniana di chiamare il vaccino Sputnik V – collegando questo presunto successo scientifico con le imprese dell’Unione Sovietica che aprirono l’accesso dell’umanità allo spazio – è coerente con l’attuale politica del Cremlino che ha visto il ritorno in auge dei rituali militari e dell’iconografia sovietici ai fini del consolidamento del consenso interno.
All’inizio del 2020, con il rublo in caduta libera e il prezzo del petrolio ai minimi storici, Putin per legittimare l’ulteriore svolta autoritaria di un regime sempre più autocratico, personalistico e dalle ambizioni imperiali si avvale di una testimonial d’epoca sovietica, Valentina Tereshkova.
Il 10 marzo 2020 la Tereshkova, ex cosmonauta dei tempi di Khrushchev, oggi deputata ottantatreenne del partito Russia Unita, si rivolge infatti alla Duma chiedendo di votare un emendamento alla Costituzione che, azzerando il contatore delle presidenze, permetta a Vladimir Putin di candidarsi di nuovo al Cremlino nel 2024 e di regnare fino al 2036.
Per comprendere le implicazioni geopolitiche dell’annuncio della registrazione del vaccino è importante tornare indietro di qualche mese, all’inizio della pandemia.
Quando il Cremlino si rende conto che il COVID-19 non avrebbe interessato solo la Cina, ma sarebbe diventata una pandemia globale, Putin dichiara con fermezza che la Russia sarebbe stata efficacemente isolata dal virus.
In questa fase, marzo-aprile 2020, il Cremlino attraverso i media ad esso collegati cerca di distogliere l’attenzione su ciò che sta accadendo internamente – il virus è arrivato e di lì a poco metterà in crisi un sistema sanitario fragile e deficitario – e tenta di accreditare la Russia come Paese efficiente e solidale attaccando Unione Europea e Stati Uniti.
L’argomento divisivo più utilizzato dai media vicini e/o legati al Cremlino per attaccare gli stati membri della UE e in particolare l’Italia, che in quei mesi è una delle nazioni più duramente colpite dalla pandemia, è la presunta inefficienza e negligenza dell’Europa.
Ecco alcuni esempi di disinformazione apparsi su media pro-Cremlino che gettano discredito sull’Europa:
Nei mesi successivi quando sarà impossibile negare l’impatto devastante del virus anche in Russia – la pandemia costringerà Putin a interrompere uno dei più importanti eventi di legittimazione per il governo russo, ossia la celebrazione del Giorno della Vittoria e il trionfo sui nazisti – il Cremlino muterà la sua strategia comunicativa focalizzandola sul vaccino.
L’annuncio di Sputnik V – a detta di alcuni Russian watchers – sarebbe funzionale a diversi obiettivi di politica interna: rassicurare la popolazione russa che lo stato sta trovando una soluzione, senza ricorrere ad aiuti esterni; giustificare i sacrifici che i russi hanno fatto negli ultimi anni a seguito delle sanzioni occidentali perché è anche grazie a questi sacrifici che la Russia può mantenere le capacità di una grande potenza, in questo caso, nel settore della sicurezza sanitaria.
In politica estera “lo sfruttamento geopolitico” del vaccino russo avrebbe come scopo la creazione di un terzo polo, alternativo a Washington e a Beijing, che garantirebbe alla Russia e al suo leader Putin ancora un ruolo da potenza globale.
Non è dunque casuale che come annunciato da Kirill Dmitriev, capo del Russian Direct Investment Fund (RDIF), gli studi clinici di fase 3 si terranno in India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Brasile e Filippine e che la produzione del vaccino avverrà con partnership finanziarie e con aziende locali in India, Corea del Sud, Brasile, Arabia Saudita, Turchia e Cuba.
In tale contesto, con i dati sulle sperimentazioni degli studi di Fase 1 e 2 non ancora pubblicati, non sorprende affatto che in luglio alcuni funzionari della sicurezza di Stati Uniti, Regno Unito e Canada abbiano denunciato attacchi hacker da parte di attori informatici russi nei confronti di organizzazioni coinvolte nello sviluppo del vaccino contro il coronavirus.
Nel frattempo la potente macchina disinformativa degli outlet vicini al Cremlino – come denuncia il portale EU vs Disinformation – è impegnata in una massiccia campagna di disinformazione sul tema della pandemia.
Se facciamo una ricerca sul database del sito, utilizzando la parola chiave coronavirus, ci accorgiamo che le narrazioni veicolate dai media russi (Sputnik, RT, Geopolitica.ru, etc) negli ultimi 3-4 mesi sono sostanzialmente volte a minare la credibilità dei vaccini occidentali con messaggi di questo tipo:
L’analisi di questi casi dimostra come la Russia di Putin stia sfruttando la pandemia e il vaccino Sputnik V per scopi di natura politica e geopolitica cercando di accreditarsi presso l’opinione pubblica mondiale come un Paese che sta combattendo in maniera più efficace il coronavirus rispetto alle democrazie occidentali, sfoggiando l’affidabilità del suo vaccino e screditando quella di altri vaccini di fattura occidentale.
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