Aperto è meglio

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12 Settembre 2018

Qualche giorno fa mi sono infilato in una gustosa polemica fra Brain e lettori de Gli Stati Generali sul tema delle chiusure domenicali.

A originarla un op-ed di una economista, ben studiata e molto gauchista, sulla proposta del Governo di chiudere i negozi la domenica come ennesima, ulteriore prova del fallimento della Terza Via.

Cosa c’entrano Tony Blair e Giggino Di Maio? Secondo la Nostra, la liberalizzazione delle aperture dei negozi e le sue conseguenze sui lavoratori dimostrano ancora una volta le aporie della (impossibile?) sintesi fra socialismo e mercato teorizzata e tentata in Occidente negli anni ’90.

Invece di produrre una nuova strada, sembra argomentare la nostra, i pallidi socialisti si sono subito fermati all’autogrill del turboliberismo a rimpinzarsi di Rustichelle in cattiva compagnia e non si sono accorti che nel frattempo il popolo aveva sempre più fame. E affama oggi e affama domani il popolo si arrabbia davvero, rompe gli argini e la fa pagare alla falsa sinistra, all’Unione Europea, a chi cavolo vuole (tanto è popolo e ha ragione a prescindere).

Per incidente, questo non lo dice la Nostra ma è ormai vulgata gauchista corrente, il popolo non ha più trovato la Sinistra verso cui convogliare il proprio voto perché i riformisti se la sono svenduta alla finanza, alle banche e a ogni congrega di turboliberisti. Ne discende un ineffabile programma in due fasi, con vaghe reminescescenze di doppiezza togliattiana (Migliore, perdonami): attenzione ai 5 Stelle perché oggi rappresentano la Sinistra in assenza dei titolari e successiva riappropriazione da parte della Sinistra del Popolo della Sinistra prima della scadenza dei termini per l’usucapione.
E come ci si riappropria del Popolo della Sinistra? Ma con la Sinistra zucconi! Perché adesso si può e si deve tirare fuori tutto un armamentario di Stato assertivo e quasi etico che nessuno avrebbe più sperato di poter rispolverare, dalle nazionalizzazioni alla critica ai consumi come diritto (argomento eticamente innocente come la casa di zucchero di Hansel e Gretel).

La cosa più tenera della Sinistra-Sinistra e delle sue argomentazioni è che sono da sempre come il Progresso per Marinetti: hanno ragione anche quando hanno torto.
L’avevano detto, l’avevano previsto ed è colpa dei riformisti cattivi che li prendevano in giro se adesso abbiamo al Governo questi qua.

Peccato che l’indignazione per il Popolo della Sinistra che non vota più a Sinistra me la ricordo dal collegio di Mirafiori a Forza Italia nel 1994.
Peccato che da allora nel torbido mercato ultraliberista delle elezioni la Sinistra Sinistra sia andata solo esclusivamente declinando.
Peccato che il Popolo della Sinistra, le mitiche plebi all’opra chine, adesso rimbalzino tra Salvini e Di Maio e che non si registrino manifestazioni spontanee di operai in favore dei profughi della Diciotti magari a Taranto, dove il Popolo quando ha scoperto che i 5 Stelle gli avevano detto una balla sull’ILVA la strada della piazza l’ha trovata.
Peccato che la Sinistra Sinistra è ancora e sempre la cultura politica del “se solo”. Avevamo previsto, avevamo capito, avevamo detto, se solo le condizioni, il tempo, le cavallette…

Se solo fossi sterilmente polemico, come fortunatamente mi guardo bene dall’essere, direi che il riformismo partecipa al gioco, anche male e soprattutto ultimamente malissimo, ma partecipa al gioco mentre la Sinistra Sinistra guarda la partita e sacramenta contro l’allenatore e tutti i giocatori.
Questione di gusti.
Poiché non sono sterilmente polemico, mi limito a rilevare che oggi nel campo dell’opposizione a questi figuri sovranisti e populisti in tutto il mondo, Italia compresa, si stanno confrontando due opzioni filosoficamente molto diverse su come trattare due aspetti nuovi e spaventosi della contemporaneità occidentale: la paura generalizzata verso la contemporaneità e per il futuro e la mancanza di elementi di regolazione e gestione organizzata delle plebi.

Privi di istituzioni (dalla Chiesa al PCI) che storicamente li hanno educati, informati, organizzati e in qualche modo repressi, oggi gli ultimi (o i penultimi, o quelli che nel gioco di specchi si sentono tali) scrivono, postano, distorcono la logica e partecipano al gioco politico non con la felice compostezza delle masse, ma con la volgare canea delle plebi, o della ggente. Alle masse potevi spiegare e vendere che la Rivoluzione era posticipata o che i migranti sono fratelli proletari, con le plebi cari compagni è molto più dura, soprattutto perché nel frattempo sono arrivati degli imprenditori della paura che non hanno alcuni interesse a sciogliere, ma semmai a rinfocolare, la folle paura dell’oggi e del domani che attanaglia tante, troppe persone e soprattutto segna lo spirito del tempo. Qui i riformisti hanno moltissime colpe, dall’eccesso di ottimismo verso il futuro al fastidio con cui hanno guardato il provincialismo guicciardiniano del Paese, dalla voglia di sbiancarsi il colletto e di sedersi ai tavoli del Grandi alla sottovalutazione di quanto bestie e affamapopolo potessero essere alcuni padroni del vapore.

Finite le recriminazioni resta il “che fare” e qui le due anime non si trovano punto.

La Sinistra Sinistra immagina con i 5 Stelle un quieto e ordinato ritorno ad un Paese che non c’è più, a patto che ci sia mai stato, che si ferma le domeniche, che nazionalizza i servizi pubblici, che investe in ricerca e sviluppo ma non in spese belliche (che le tecnologie del telefono cellulare le ha portate la cicogna), che considera finalmente i salari e i contrati variabili indipendenti, tutto ovviamente con la massima apertura delle frontiere.

I riformisti, come i ludopatici nelle sale slot, non vedono alternative a mettere un’altra moneta e scommettere di nuovo su crescita e sviluppo come sola medicina per calmare e risocializzare le plebi in un progetto condiviso e che guarda in avanti, sapendo che lì fuori è tutto un casino. Essere riformisti è una grande rottura di palle, come essere fratelli maggiori o quelli responsabili in un gruppo rock, e bisogna tenere presente sia le esigenze dei lavoratori, sia gli effetti sul fatturato, ché il denaro non è sterco del demonio ma un anche un motore di progresso, che soprattutto in Italia è stato sempre sghembo, eterogeneo nei fini, segnato dall’aspirazione di tanti ad abbandonare la povertà anche negli aspetti esteriori e anche finendo a fare i tamarri.

Io sono troppo snob e incapiente per consumare davvero quanto e come vorrei e evito i centri commerciali la domenica più delle malattie infettive, ciò detto giù le mani dalle aspirazioni di promozione sociale di chi non delinque, non sfrutta e non ruba. Se il meccanico va da Zara la domenica e non vuole leggere un libro sono cazzi suoi, a meno che siate così bravi da convincerlo del contrario, remember Gramsci?

Se a questo punto state pensando “bravo, ma il lavoro?” fate pace col cervello. Forse sono troppo lombardo per non considerare il lavoro innanzitutto una benedizione. Il lavoro si migliora, si difende, si cambia ma non si schifa, come non si spreca il cibo.

Chi legge le mie periodiche concioni sa quanto rompo le scatole con il buon lavoro, che non è il commesso di H&M, che in Italia abbonderebbe se si prestasse attenzione ai produttori. Peccato che per la Sinistra Sinistra l’impresa micro, piccola e media (quella italiana) o è cattiva o non esiste, per i riformisti è esistita poco e in ritardo, per i 5 Stelle è il Diavolo, non sia mai toccasse lavorare.

Poiché non mi rassegno all’idea che in Paese con l’ascensore sociale bloccato la soluzione sia tornare alle lampade a petrolio, nel mio piccolissimo continuerò a buttare la moneta nella slot dello sviluppo (territorializzato, green, carino e coccoloso of course) e se necessario andrò anche il posto che aborro per difendere il diritto di perfetti estranei a sentirsi fighi con la maglietta di Bershka. Voi preparate la cassetta di tutto Bergmann nel videoregistratore.

Vediamo chi vince.

TAG: 5 stelle, Crisi della sinistra, sviluppo economico
CAT: Governo

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