Truffa ammessa dalle Popolari Venete, che ora tentano di non fallire
Truffa ammessa dalle Popolari Venete, che ora tentano di non fallire. Partono i rimborsi
Sono gravi i danni economici subiti dai cittadini italiani, soprattutto del nord est, per le azioni “carta straccia” negoziate dalla Banca Popolare di Vicenza, trascinata nel crack della gestione di Gianni Zonin.
La Banca Popolare di Vicenza esiste da 150 anni. Non è quotata, ma è la decima banca d’Italia e in Veneto, è la prima popolare, che vuol dire: al servizio del territorio e dei cittadini. La banca ha venduto, come investimento “sicurissimo”, alla gente comune, operai, professionisti, piccoli imprenditori, casalinghe e pensionati, le azioni divenute oggi “prive di valore”.
Il prodotto fu tranquillamente acquistato dai piccoli risparmiatori, proprio perché si sentivano parte di una sorta di cooperativa e non di un istituto bancario, in quanto non quotato in borsa e non inficiato dalle speculazioni dei mercati finanziari. “Ci dicevano, compra le azioni della nostra banca, che è solida, è una banca del territorio”, così asseriscono oggi i risparmiatori ingannati, che hanno perso i guadagni di una vita.
Le Procure di Roma, Vicenza, Messina quindi, si stanno occupando, di uno dei più rilevanti scandali finanziari nazionali degli ultimi due anni. A dare il via agli accertamenti, le denunce e gli esposti di correntisti traditi, ai quali era stato proposto un investimento di migliaia di euro con un rendimento del 25% netto, prospettandolo come assolutamente blindato e non sottoposto ad oscillazioni.
Un azionista, Davide Lunardon, -, nell’aprile del 2016 alla trasmissione televisiva “REPORT” intervistato dalla giornalista Giovanna Boursier, ha così dichiarato: “Ci hanno raccontato una marea di frottole. Ti mostro anche dei documenti che ci mandava la banca! Questo è un documento datato 14 luglio 2014. Certifica il valore dell’azione di 62 euro e 50, documento firmato da Samuele Sorato, Direttore Generale della Banca Popolare di Vicenza. Sei mesi dopo il titolo perdeva il 23% e si rendeva un titolo illiquido, cioè noi non abbiamo la possibilità di prendere i nostri risparmi!”.
Questo è uno dei tanti casi.
Come quello della famiglia di imprenditori che assisto quale loro legale di fiducia, che a fronte della richiesta di vendita dei titoli posseduti, si è sentita rispondere dall’impiegato della filiale di BPV, che “l’operazione in questione avrebbe avuto ripercussioni sui fidi” presenti presso il medesimo istituto di credito, costringendo così, i miei assistiti a non cedere le azioni quando ancora potevano esser trasferite.
Difatti nel 2014, inizia la parabola discendente: prima la BCE impone una drastica pulizia dei conti, poi all’inizio 2015, con la trasformazione in Spa, dettata dal decreto Renzi sulle popolari, la BPV ha perso un ulteriore 23% del valore delle azioni.
La corsa a rivendere le azioni è stata generale. E’ a questo punto che gli azionisti hanno avuto l’amara sorpresa: i titoli non erano liquidabili, avrebbe potuto riacquistarlo solo la banca che, in pieno disastro finanziario e non avendo alcun obbligo, non lo ha fatto.
Ma la cosa più sconfortante è che non solo, l’istituto ha decurtato di quasi il 90% il valore nominale delle azioni, ma soprattutto ha impedito agli acquirenti di esercitare il diritto di recesso. Sovvertendo le regole dell’autonomia privata e violando i diritti costituzionali.
Nel caso dei risparmiatori di Vicenza, quasi tutti legati alla BPV, di fronte ad un investimento medio che va dai 50 mila ai 100 mila euro, oggi si ritrovano con un pugno di mosche.
Tutti gli azionisti, che non si sono ancora attivati possono però rivolgersi ad avvocati specializzati in diritto bancario per far valere il loro buon diritto e far partire la denuncia.
Va anche detto, che in questa vicenda hanno inciso, oltre ai comportamenti di Zonin, anche i vertici degli istituti di credito, che in alcuni casi, – oggetto di indagine della Guardia di Finanza – avrebbero sottoscritto operazioni finanziarie senza il preventivo consenso dei correntisti.
Invero sono molti i lati oscuri del caso delle Popolari Venete. A cominciare dal fatto che lungi dall’essere un investimento sicuro, le azioni BPV erano a rischio già quando sono state negoziate, tanto è vero che la Consob adotta i propri provvedimenti nel secondo semestre dello stesso anno e le sofferenze inoltre erano già note.
La proposta di “Fusione, vendita o una “seconda vita”è la ricetta di Popolare Vicenza per cercare la salvezza. Il nuovo vertice dell’Istituto di credito, adesso nelle mani di Fondo Atlante si presenta alla stampa e lancia segnali: “I correntisti stiano tranquilli, restiamo radicati sul territorio ma da oggi nessun condizionamento” . Insomma, una rottura netta con la gestione di Gianni Zonin
Tuttavia I soci della Banca Popolare di Vicenza hanno dato il via libera all’azione di responsabilità verso gli ex vertici e chiesto la restituzione dei loro i soldi investiti.
Per il rimborsi.
“Agiremo presto con l’obiettivo di essere efficaci”. Lo assicura – dopo il via libera all’azione di responsabilità da parte dell’assemblea – il neo amministratore delegato di Banca Popolare di Vicenza, Fabrizio Viola. “Agiremo con ponderazione, ma questo non vuol dire inattività o eccessiva prudenza”. Nella sua precedente esperienza in Mps, “è stato possibile recuperare 650 milioni di euro” con azioni di responsabilità mirate. A proposito della prevista fusione con Veneto Banca, Viola spiega: “Serve capire se le due banche messe insieme diventeranno più forti dei due istituti distinti: a prima vista direi di sì, ma è una prima vista che va approfondita molto. Ci sto guardando dentro, le strutture della banca hanno già lavorato in questa direzione. Mi allineerò perché la mia entrata in banca non rallenti i processi in moto. Bisogna mettere al primo posto il progetto industriale”.
E’ ormai ufficiale, in queste ultime ore,l’offerta di transazione ai soci che hanno visto l’azzeramento del valore delle azioni. Con questa mossa dei vertici delle popolari venete, si è difatti ammesso il comportamento truffaldino o comunque in danno ai loro azionisti e correntisti.
La BPV riconoscerà 9 euro per azione acquistata. Veneto Banca pagherà invece il 15% del valore dell’azione al momento dell’acquisto. Entrambi gli istituti prenderanno in esame l’arco temporale che intercorre dal 1°gennaio 2007 al 31 dicembre 2016, ovvero dieci anni. Le lettere ai risparmiatori che si sono visti sfumare il valore delle loro azioni – 94mila per quanto riguarda la Popolare di Vicenza e 75mila per Veneto Banca, per un totale di 169mila soci (l’82% del totale complessivo dei 207mila azionisti) – sono già partite. A disposizione ci sono circa 500 milioni di euro e l’offerta di transazione sarà valida a partire dal 10 gennaio fino al 15 marzo 2017. Dopodiché ci vorrà solo qualche settimana (tra aprile e maggio) per intascare l’effettivo rimborso. Che sarà esentasse, perché si tratta di un indennizzo forfettario.
Le due ex popolari (PBV e Veneto Banca), in un percorso comune che le condurrà alla fusione (entrambe sono sotto l’ombrello del fondo Atlante che ne detiene la quasi completa proprietà), hanno presentato l’Offerta di Transazione che, nelle intenzioni dei management, ha il chiaro intento di ridurre il rischio contenziosi, recuperare clienti e far in modo che la banca ridiventi nuovamente credibile sul mercato. In modo da recuperare capitale e poter essere appetibile per nuovi investitori.
Un percorso doloroso indispensabile per la fusione. Ci sarà non solo: un plafond a parte, in più rispetto ai 500 milioni a disposizione, di circa 60 milioni – 30 per la Popolare di Vicenza e 30 per Veneto Banca – sarà destinato a risolvere situazioni particolarmente drammatiche, cioè riguardanti chi ha perso tutto e si trova in condizioni economiche estremamente disagiate. Per questi risparmiatori potranno essere concordati con gli avvocati che li rappresentano e con le associazioni dei consumatori criteri e modalità particolari. «È un’operazione mai fatta prima», ha detto l’amministratore delegato di Popolare di Vicenza Fabrizio Viola. «Un’offerta molto generosa e molto impegnativa», ha aggiunto il presidente della Vicenza Gianni Mion. «Vogliamo ricostruire la banca e per questo abbiamo bisogno della fiducia dei clienti e degli investitori», così il presidente di Veneto Banca Massimo Lanza. «L’intento non è quello di recuperare raccolta. Con questa azione vogliamo recuperare i nostri clienti», chiosa Cristiano Carrus, ad di Veneto Banca.
Azzeramento delle azioni.
Gli azionisti che avevano fatto investimenti nelle due maggiori banche del nord-est italiano sono stati “polverizzati” , con i due aumenti di capitale al termine dei quali il fondo Atlante è diventato di gran lunga il primo socio in ognuno dei due gruppi, con quasi il 100% del capitale. Una cosa simile, per certi versi, accaduta ai soci delle quattro banche Etruria, Marche, Carichieti e Cariferrara che, poco più di un anno fa, hanno subito l’azzeramento dei propri titoli (insieme alle obbligazioni subordinate) nell’ambito del salvataggio col burden sharing (la suddivisione degli oneri). Gli azionisti del Monte dei Paschi di Siena, invece, solo nel 2016, hanno subito un decurtamento del valore dei propri titoli, in questo caso quotati in Borsa fino allo scorso 23 dicembre, nell’ordine dell’80%, a causa delle travagliate vicende dell’istituto senese, nel cui capitale ora si appresta a entrare lo Stato nell’ambito di un salvataggio pubblico.
CHE FARE?
Come spiega Alessandro Graziani sul Sole 24 ore, “ora i clienti-soci hanno due alternative. O fare causa alle due banche per ottenere i rimborsi del 100% del valore originario delle azioni, con i tempi della giustizia civile e sempre ammesso che i due istituti nel frattempo non siano falliti, o accettare la transazione proposta dal nuovo vertice delle due banche e dal fondo Atlante. Difficile dire oggi come andrà a finire. Le valutazioni ragionevoli dell’opportunità finanziaria attuale e futura della transazione troveranno un legittimo e comprensibile bilanciamento mentale nella rabbia di chi deciderà di far causa per riavere il 100%, pur sapendo di di poter recuperare zero in caso di default avvenuto nel frattempo”.
Poiché il rimborso viene proposto indistintamente a tutti gli azionisti, Graziani si domanda: “Possibile che su 200.000 soci, oltre 170.000 fossero all’oscuro dei rischi che avrebbe comportato un investimento azionario? Nel ricco Nordest nessuno si era accorto che, anche a crisi finanziaria iniziata, le due banche continuavano a concedere dividendi mentre i maggiori gruppi bancari quotati già arrancavano e chiudevano i bilanci in perdita?”.
(vedi)http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-fee77fbf-69b0-4b4c-84a6-456b18c5a109.html
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