La sottile linea rossa tra giovani e politica

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21 Dicembre 2016

E’ la politica che ha abbandonato i giovani o sono i giovani che hanno abbandonato la politica? Spero che Thomas Stearns Eliot non si offenda se oso approfittare del suo genio per una parafrasi oggi quanto mai scontata e retorica. Non è mia intenzione lanciarmi nell’ennesima analisi socio-statistica sul perché la partecipazione delle nuove generazioni alla società civile sia sempre meno convinta: è sufficiente aprire un qualsiasi periodico nostrano – o più brevemente fare una ricerca su Google – ed ecco che veniamo investiti da una mole spropositata di dati, analisi, retrospettive e chi più ne ha più ne metta.

Le parole del ministro Poletti sugli expat sono tanto infelici e sgradevoli quanto scontate perché non fanno altro che esplicitare un mood culturale già in voga da tempo e che trova il fondamento in un pregiudizio ben radicato nella società odierna (cfr. i “bamboccioni” di Brunetta e i “choosy” di Elsa Fornero). Non solo: casomai ce ne fosse bisogno rappresentano l’ennesima prova provata della distanza siderale tra le istituzioni e i giovani, le prime totalmente concentrate sulla formazione del consenso elettorale e i secondi sempre più assillati dall’ansia di costruirsi un futuro in un contesto ogni giorno più sfavorevole.

La diversità di linguaggio ha contribuito a tracciare una sottile linea rossa tra i protagonisti di questa narrazione, due universi paralleli che non riescono di fatto più a comunicare. Ed ecco che il voto per i giovani non è più espressione democratica di civismo bensì protesta, mentre per i governi via via scoloriscono temi come difesa della famiglia (intesa anche come incentivo alla sua costruzione) e della natalità, inclusione e partecipazione sociale, tutela dei talenti, percorsi salariali certi e premianti il livello di istruzione. Il risultato è l’obliterazione del merito e la rinuncia a premiare la fatica di chi decide di investire le proprie energie nella costruzione del domani. Cosa c’è infatti di più triste e scoraggiante che iniziare un percorso non solo senza conoscere il punto di arrivo, ma senza nemmeno avere chiara la strada da percorrere? Per questo motivo – e per tanti altri, ma questo mi sembra il più ontologicamente rilevante – legioni di giovani decidono di lasciare oggi la terra natìa alla ricerca non solo di uno stipendio migliore ma anche di una dignità che in patria viene loro negata.

Arroccandosi al di là di quella linea rossa – che più di ogni altra differenza geografica o sociale sta spaccando in due lo stivale – Poletti non solo si dimostra totalmente inadatto a ricoprire il ruolo istituzionale che gli è stato affidato, ma dimostra di non aver capito il concetto essenziale: finché giovani e istituzioni non imparano a dialogare nella stessa lingua il futuro del Paese semplicemente non esiste.

Immagine: The Preiser Project, Flickr

TAG: conflitto generazionale, expat, giovani, giuliano poletti
CAT: Governo, Partiti e politici

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