Il sistema Italia all’estero? Costruiamolo noi imprenditori

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6 Maggio 2015

Se c’è una cosa che questa crisi ha reso evidente a tutti è che internazionalizzazione ed export sono ormai strade obbligate e non semplici opportunità. Le imprese che operano sui mercati internazionali (e per internazionali intendo extra-europei) hanno retto meglio alla crisi perché più solide in partenza e maggiormente in grado di riorientare la produzione verso economie in crescita. Lo hanno capito le banche, che iniziano a considerare la propensione all’export come indicatore del merito creditizio e anche le istituzioni che negli ultimi mesi, complice il clima pre-Expo, sembrano aver finalmente messo al centro dell’agenda la promozione del made in Italy nel mondo. Meglio tardi che mai..

In un’immaginaria competizione internazionale, l’imprenditore italiano corre con almeno 30 chili in più sulle spalle rispetto ai suoi omologhi stranieri. Stretto fra burocrazia eccessiva, diritto incerto, giustizia lenta, tassazione elevata e una competizione globale sempre più serrata, non ha scelta: l’estero è una strada ignota ma necessaria, anche se non esente da errori e passi falsi. Il “Sistema Paese” dovrebbe servire proprio ad evitare questi passi falsi, ma chiedere aiuto alle istituzioni finora, ha significato troppe volte rimanere fermo sotto un cartello che indica la direzione “export” convinto di essere arrivato a destinazione.

Credo tuttavia che bisogna essere onesti e riconoscere che questo è stato anche un grande alibi per l’immobilismo di chi aspettava che fossero le istituzioni a fare qualcosa per prime, anziché trovare la rabbia e la forza per prendere di petto la situazione. Qui si apre un tema a me caro, quella della collaborazione fra imprenditori all’estero, e della forza della rete di imprese. Sarebbe bello avere un sistema istituzionale che ti sostiene via via che espandi la tua attività all’estero, ma se dopo anni di annunci e retorica da parte di governo e associazioni di categoria, siamo al punto in cui siamo, credo sia meglio prendere serenamente atto della situazione e agire di conseguenza. Il Sistema Italia, almeno a livello istituzionale, non funziona e sta a noi imprenditori organizzarci con quello che abbiamo, senza pretendere dalle nostre istituzioni quello che non possono darci. E cosa abbiamo più di tutto? Fiducia ed empatia verso chi vive la nostra stessa condizione.

Chi ha già internazionalizzato sa che le opportunità sono tanto maggiori quanto più ci si sposta dal mero export verso formule più incisive di penetrazione dei mercati esteri (investimenti diretti, joint venture con partner locali, localizzazioni produttive) e quanto più si ha il coraggio di percorrere strade meno battute. Asia centrale e Africa occidentale, per fare due esempi, non sono certo mercati semplici, ma stanno crescendo a ritmi intensi e offrono diverse occasioni alle nostre imprese.

Certo, più ci si allontana dai mercati tradizionali, tanto più aumentano le complessità e le possibilità di sbagliare. Anche a me è capitato di commettere degli errori (partner sbagliati, controparti inadeguate), ma credo sia fisiologico, è così che si cresce. Oggi il nostro gruppo, attivo nella logistica con tre aziende capofila (Tuvia, Saga e STL), conta 30 uffici e circa 300 collaboratori nel mondo. Quando siamo partiti con lo sviluppo estero, nel 2007, gli uffici erano solo 7 e il fatturato si attestava intorno ai 25 milioni. Nel 2013 il giro d’affari ha raggiunto i 53 milioni e, grazie al presidio diretto di alcuni mercati, siamo stati anche in grado di allargare il nostro business a segmenti di mercato integrati alle spedizioni. Penso all’investimento fatto in Thailandia con la costituzione di una società dedicata al packaging; un’opportunità che si è presentata proprio perché eravamo fisicamente presenti in quel mercato da tempo.

Che cosa ho imparato dall’esperienza internazionale? Che la forza più grande che possono avere gli imprenditori all’estero è quella di fare squadra, muovendosi in una logica di network. Fare rete è fondamentale e per farlo occorre che ognuno si senta un ambasciatore dell’Italia, pronto a dare una mano ai propri colleghi. Come? Sulla base di un mero principio di “sharing”, come si dice oggi: condividendo know how sul mercato, contatti o anche semplici informazioni. Quello che oggi “prendo” da un collega su un dato mercato, lo “restituirò” domani a qualcun altro su un altro mercato. Posso testimoniare che per questa via si possono creare collaborazioni proficue anche tra competitors!

Mettere a disposizione di altri imprenditori le proprie esperienze, soprattutto quelle negative, è qualcosa di molto distante dal nostro modo tradizionale di fare impresa, ma è un cambio di passo necessario in un mercato globale. Un cambio che può giovare a tutti, incluso chi in un mercato è arrivato per primo. Perché se il Sistema Italia si rafforza nel mondo, le possibilità crescono per tutti. Insomma, cari colleghi imprenditori, forse più che chiederci che cosa l’Ambasciata può fare per noi, dovremmo essere noi a chiederci come possiamo essere buoni ambasciatori per il nostro Paese.

TAG: export, Grandi imprese, Internazionalizzazione, pmi
CAT: Imprenditori

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