La cucina, la carriera e la bocca dello stomaco

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7 Ottobre 2015

La posta in gioco è alta, altissima anzi: un lavoro sicuro, ben retribuito, con vari benefit, prestigioso. La domanda è però: sareste disposti a scendere a patti con voi stessi per questo? Alzi la mano chi conosce qualcuno in grado di rispondere: no, grazie.

Alzo la mano io: la storia è quella di Mira Pirata, “cuochessa” siciliana (come si definisce lei stessa) oramai brianzola di adozione – Quella di Mira è una vicenda piuttosto rara, visti soprattutto i tempi, che solo a una lettura superficiale può essere bollata come un caso di incoscienza giovanile. È lucida nel ripercorrere le tappe del suo racconto: ha maturato una decisione di cui conosceva il prezzo e la posta in gioco, appunto. Conoscere le conseguenze della perdita di un posto di lavoro era in fondo il suo mestiere, il che mi porta ad escludere categoricamente un colpo di sole estivo. “Oggi – dice – sono realizzata, felice, serena con me stessa”. Mira ha una storia che parla di autoimprenditorialità, di passione per il proprio lavoro, di voglia di organizzare un business secondo regole di sostenibilità sociale.

L’entrata nel mondo del lavoro è scoppiettante, il finale a sorpresa – “Nel 2000 ho partecipato alle selezioni per un corso come Responsabile Amministrativo d’azienda. Ci presentammo in 300 per soli 20 posti, stavo terminando l’università”. La prospettiva interessante è di svolgere un’esperienza, di cominciare ad approcciare il mondo del lavoro. Terminato il corso, Mira entra in una multinazionale italiana che produce pneumatici e ben presto lo stage si trasforma in un contratto di lavoro vero e proprio. “Sono partita come consulente del lavoro, per passare poi al recruiting: l’aspetto che preferivo perché mi permetteva di relazionarmi con le persone. Nel 2001, però, ho un’altra offerta di lavoro per una casa editrice e decido di andare perché il ruolo è molto interessante”. Qui è assistente esecutivo del Direttore delle Risorse Umane e ha modo di sperimentare la funzione a tutto tondo. “Sono cresciuta molto in quel periodo, grazie anche alla relazione costruttiva con il mio capo, e ho sperimentato per la prima volta le relazioni industriali e la dialettica sindacale”. Il momento di ascesa prosegue anche nel 2004 quando, per una nota multinazionale della consulenza, è incaricata di seguire la start-up di una Business Unit. In particolare, si occuperà di selezione del personale e porterà l’organico da 30 a 300 professionisti. Nel mezzo, la nascita del figlio Lorenzo. Nel 2009, ancora, “sono contattata da una nota azienda italiana che produce biancheria per la casa. Il marchio era stato appena acquisito da un fondo d’investimento americano, interessato a ristrutturare e modernizzare l’impresa. Da subito mi sono occupata di relazioni sindacali e, appunto, degli aspetti legati all’organizzazione e alla ristrutturazione. Il mio primo compito è stato di ridurre in maniera importante il personale dei punti vendita”. Siamo nel pieno della crisi economica, con i suoi drammatici effetti. Per la prima volta nella sua carriera, Mira non è stata chiamata semplicemente per costruire. “Un anno dopo ho sostituito il mio capo, che nel frattempo aveva cambiato azienda. Abbiamo trasformato una realtà di famiglia in una multinazionale, ma a che prezzo? Non posso davvero dimenticare la prima volta che ho dovuto consegnare una lettera di licenziamento: ho provato una tremenda sensazione di disagio, quasi di vergogna”.

La macchina, il telefono aziendale, l’assicurazione sulla vita e quella sanitarie le sembrano solo simboli vuoti. Così, a sorpresa, molla tutto per accettare un contratto a tempo determinato di 3 mesi per un’acciaieria. “Volevo solo cambiare aria – confessa”. Ironia della sorte: la sua specialità, la ristrutturazione aziendale, le si ritorce contro e, come è facile immaginare, gestire la complessità di quei momenti è un’attività richiestissima. “Per la prima volta sono entrata in una fabbrica, non avevo ancora auto modo di vedere con i miei occhi uno stabilimento produttivo metalmeccanico. Anche in questo caso il mio compito era di ristrutturare, di ridimensionare gli organici”. Quando si ferma a pensare monta lo stress. “Mobilità e cassa integrazione incidono pesantemente sulla vita delle persone. Gestire di persona queste problematiche è molto diverso che sentire la notizia al telegiornale. Dopo aver portato a termine una vertenza molto delicata, ho realizzato che la mia coscienza non mi permetteva di seguire gli interessi dell’azienda”. Altro salto, quindi, questa volta in un’azienda bancaria. “Anche in questo mi sono trovata nel bel mezzo di una ristrutturazione. Sapevo a cosa andavo incontro, ma continuavo a cambiare lavoro per rimandare, per non affrontare il vero problema”.

Il momento della “liberazione” – come lo chiama lei – ha una data precisa: era il 2 agosto 2012 – “Ero in macchina, in tangenziale, e mi sono resa conto che quello che mi stava intorno non era per me. Ero circondata da persone che avevano obiettivi non solo diversi, ma diametralmente opposti dai miei. Avevo 35 anni e stavo solo perdendo tempo”. Arriva in ufficio, parcheggia l’auto aziendale, bussa alla porta del capo e comunica la sua decisone. “Devo dire che non l’hanno presa molto bene”. Il ritorno, in metropolitana, è un trionfo di emozioni. “Sono stata circa sei mesi a riflettere. Ho sempre pensato di non dovermi lamentare in maniera sterile: quando qualcosa non va devi solo reagire, lottare, piagnucolare non ha proprio senso. Adesso però non vivevo una situazione facile. Pian pianino però mi sono riavvicinata alla cucina, ho ripescato molti ricordi della mia infanzia. Mia madre, che ricordo sempre in cucina, e mio figlio, stranamente affascinato dalle padelle sin da piccolissimo, mi hanno dato una grossa mano a comprendere quale sarebbe stato il mio futuro”.

A marzo del 2013, dopo un periodo d’incubazione, nasce quindi Mira e Mangia – Prima un blog, poi un’attività come chef a domicilio, poi ancora il catering per eventi e manifestazioni. “Quando cucino mi sento realizzata, mi esprimo. E il cibo non è solo cibo, ma ha una stretta connessione con i sentimenti. Tutti i sentimenti passano dalla pancia, dalla bocca dello stomaco, no?”.  Superato il primo anno – “sono stata brava a non scoraggiarmi” – l’attività decolla e gli impegni aumentano giorno dopo giorno. “Lunedì però non si tocca. Faccio i biscotti con i miei ragazzi del laboratorio Diversamente Besciamella della cooperativa sociale per disabili La Vite di Arcore”. Tornerebbe in azienda? “Conosci la risposta. Ma tengo a sottolineare che quello che ho fatto non è stato tempo perso, anzi”. La sua voce, cortese e ferma, fa sembrare ordinaria tutta questa storia. Anche se di ordinario questa vicenda ha veramente ben poco.

TAG: chef, cucina, Imprenditorialità, slow food
CAT: Imprenditori, Startup

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