La più estesa catena di ristoranti italiani al mondo? È tedesca e va alla grande

6 Febbraio 2015

Come guadagnare un mucchio di soldi? Facile, con la cucina italiana. Detto, fatto: nell’ottobre 2002 ad Amburgo, in Germania, apre il primo ristorante Vapiano. Lo slogan scelto («Chi va piano va sano e va lontano»), si rivela azzeccato: la catena di fast food all’italiana tredici anni più tardi lontano ci è andata davvero. Oggi conta 150 ristoranti in 29 diversi paesi del mondo, sparsi su cinque continenti. E quindi risulta il distributore di cibo pressapoco italiano più globalizzato del mondo, anche se non il più grande: al primo posto si ritrova l’americana Olive Garden, fondata nel 1982, con oltre ottocento ristoranti, solo cinque dei quali però stanno al di fuori di Stati Uniti e Canada.

I fondatori di Vapiano, al tempo quarantenni, non erano né gourmet né appassionati italofili, erano gente pratica che voleva guadagnare bene e possibilmente in fretta. Due degli attuali soci, Kent Hahne e Klaus Rader, venivano dalla Mc’Donald’s, il terzo, Mark Korzilius, era erede di una famiglia di industriali della piastrella con fabbrica a Limburg, dalle parti di Colonia, dal 1846. L’idea avuta, quindi, è stata quella di utilizzare la cucina più popolare, quella che tutti vogliono assaggiare, ma anche una delle più sane e semplici da preparare, ovvero la cucina italiana. A dare forma a Vapiano viene chiamato l’architetto che più di ogni altro conosce sia il mondo italiano, sia quello tedesco, vivendo a cavallo di entrambi: Matteo Thun, bolzanino con studio a Milano, che nel 2011 aggiorna il format originario. Bisogna che ogni ristorante dia l’idea di essere un pezzetto d’Italia: ecco gli ulivi centenari, ecco gli orticelli di piante aromatiche, basilico, rosmarino, salvia e quant’altro (lo chiamano «Muro verde»).

La pasta è fresca, fatta a mano, cotta al momento davanti al cliente (cosa che riscuote un successo enorme) e quindi condita con sughi a scelta. La pizza è bassa, a qualche italiano in trasferta piace, ad altri meno (almeno a leggere i giudizi su Tripadvisor), ma non sono certo loro i clienti tipo: agli stranieri va benissimo così, e infatti furoreggia. Più che andar piano, Vapiano conquista una posizione dopo l’altra, con la sicurezza di una Panzer-Division: nel 2006 il primo ristorante fuori dalla Germania, a Vienna; nel 2008 il primo ristorante in un paese arabo, in Arabia Saudita; nel 2009 il primo locale in Australia e l’anno dopo il primo a New York. Vapiano ormai è una potenza: nella sola Germania ha 60 ristoranti che occupano 3400 dipendenti (ma preferiscono chiamarli «Vapianisti»), con 102 apprendisti e 22 stagisti, il fatturato 2013 è stato di oltre 160 milioni di euro. E questi sono, lo ripetiamo, soltanto i numeri tedeschi.

Naturalmente Vapiano non c’è in Italia. L’avverbio è riferito al fatto che le grandi catene internazionali di cibo italiano, in Italia non si fanno vedere: Pizza Hut e Starbucks tengono le loro pizze e i loro cappuccini ben lontani dalla penisola. E anche i tedeschi di Vapiano appaiono poco intenzionati a venirci: «Ci espandiamo globalmente e ogni anno apriamo parecchi nuovi locali. Anche l’Italia ci appare interessante, al momento stiamo sì pensando all’Europa, ma ad altri paesi», rispondono diplomaticamente dal quartier generale, che si trova a Bonn (dove c’è anche il ristorante più grande di tutti).

Visto che la catena non è italiana, che neanche il personale lo è («Abbiamo occasionalmente chef italiani», precisano da Bonn), rimane da vedere se almeno i prodotti siano originali o se si tratti dei soliti «italian sounding», tipo parmesan o cambozola. Qualcosa di italiano per la verità c’è: lo strombazzato Grana padano dop, per esempio, o parecchie etichette di vino. In ogni caso dall’Italia devono aver imparato l’arte di rispondere senza affermare, tanto cara alla diplomazia vaticana, poiché alla domanda su cosa ci sia di effettivamente italiano replicano: «Tra molti altri prodotti, ne prendiamo qualcuno essenziale dall’Italia, come pomodori, prosciutto sia cotto sia crudo, mozzarella e naturalmente il vino prosecco» (e meno male, visto che in Germania ci sono dei simpaticoni che producono «prisecco» e «rosecco»). Il menù prevede: pasta, pizza, tagliata con la rucola, tiramisù, insalate fai-da-te che possono diventare insalatone e quindi piatti unici. Insalate che, tra l’altro, sono una gioia per i ristoratori, perché costano poco e consentono ampi margini di guadagno.

«La maggior componente di italianità si trova al bar, dove mi pare ci sia anche l’unico personale formato davvero bene: l’espresso è più che dignitoso, fatto con una macchina Cimbali, e ci sono alcuni liquori che all’estero non si trovano con facilità (o si vedono soltanto in ristoranti italiani veri, di fascia alta), come Montenegro, Averna, Sambuca Molinari. Si trovano anche vini italiani noti come il chianti, o il montepulciano», afferma Gianni Burzi, italiano che vive e lavora a Zurigo, direttore commerciale in un’azienda di e-publishing.

Pure le ricette sono italiane solo in parte, tra il 30 e il 40 per cento, affermano a Bonn. Le altre – nuova contorsione diplomatica – «variano leggermente sotto l’influsso di altri paesi, anche se la base è italiana». Ovvero: fanno quel che vogliono. «Tutti i nostri Vapianisti», continuano, «lavorano sulla base di procedure strettamente definite, in modo da garantire sempre il livello perfetto di freschezza degli alimenti. Lavoriamo allo sviluppo di nuovi piatti con esperti italiani e professionisti che conoscono bene la cucina italiana». Continua Gianni Burzi: «La pasta è al grado di cottura tedesco, quasi tutte le salse hanno la panna a fare da legante. La pizza che ho assaggiato era decente. Comunque Vapiano è un fast food che corrisponde abbastanza bene allo stereotipo che hanno della cucina italiana quegli stranieri che la frequentano poco».

Al di la delle valutazioni sulla qualità dei cibi, i punti fermi rimangono che le eccellenze della cucina italiana sono portate in giro per il mondo da un gruppo di tedeschi (in altri casi di americani) e che gli stranieri individuano sempre di più nella gastronomia italiana, sia essa mangiare o bere, un modo per affermarsi prepotentemente sul mercato. E quindi di rimpinguarsi ben bene il conto in banca. Invece gli italiani, che tali eccellenze le hanno in casa, preferiscono lasciarne l’uso agli altri. Perché la più diffusa catena di ristoranti italiani nel mondo non può essere italiana?

 

(Foto di Copertina, Ristorante Vapiano Postdammer Platz, Berlino, tratta da Flickr, Primus inter pares, Creative Commons)

 

 


(Apertura di Vapiano in Kuwait)

TAG: grande distribuzione, made in Italy, ristorazione, vapiano
CAT: Imprenditori, Turismo

Un commento

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  1. lorenzo.grande 9 anni fa

    Lo stesso discorso vale per il piatto turco piú famoso e diffusissimo in Germania, ossia il Döner Kebab, che in Turchia non esiste!

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