L’incredibile anno della blockchain
Il 2016 è stato l’anno della blockchain, passata nel giro di pochi mesi da oscuro argomento per tecno-adepti a innovazione sulla bocca di tutti per le sue potenzialità disruptive, nel mondo della finanza e non solo. E pensare che l’anno era iniziato nel peggiore dei modi: a gennaio Mike Hearn, uno degli storici sviluppatori di bitcoin, aveva pubblicato un post su Medium dichiarando la “fine dell’esperimento bitcoin”, causando una gravissima divisione nella comunità che gestisce la criptomoneta e rischiando di mettere in crisi la fiducia nei confronti della tecnologia che ne rende possibile l’esistenza: la blockchain, appunto, il registro distribuito e virtuale che elimina la necessità di un ente di controllo centrale.
Le cose, invece, sono andate molto meglio del previsto: gli investimenti dei venture capitalist nelle start up che lavorano con la blockchain sono tornati su livelli elevatissimi (175 milioni di dollari nel primo trimestre 2016, nettamente in controtendenza rispetto ai 50 milioni dell’ultimo trimestre 2015) e anche i bitcoin (dati per morti con troppa fretta) fanno registrare oggi un valore di circa 600 dollari, dopo aver toccato un picco di 768 dollari nel mese di giugno (+78% rispetto a gennaio, anche grazie al cosiddetto halving).
L’ecosistema che ruota attorno ai bitcoin e alla blockchain, insomma, è tutt’altro che in crisi. Anche per questo, l’Innovation Center del gruppo Intesa Sanpaolo ha deciso di attivare e mantenere un presidio costante sulle criptovalute e sulla blockchain; non solo sperimentando progetti interni, ma anche attivando un Osservatorio Permanente Cryptocurrency e Blockchain che produce analisi specifiche. Nell’ultimo «Blockchain Report» di Intesa Sanpaolo, vengono ampiamente sottolineate le ragioni che hanno evitato la crisi di questa tecnologia: da una parte il fatto che la divisione nel mondo bitcoin si sia risolta rapidamente grazie alle innovazioni di una delle due parti (Core); dall’altra grazie alla nascita di realtà che stanno sperimentando le applicazioni della blockchain anche in campi differenti da quello delle criptovalute, valorizzandone le enormi potenzialità.
Le possibili applicazioni della blockchain sono vastissime, ma hanno sempre un aspetto in comune: la capacità di garantire qualunque scambio (moneta, beni, servizi, musica, arte e quant’altro) senza bisogno di un’autorità centrale (una banca, un notaio, una piattaforma come iTunes), grazie a un registro distribuito e controllato da una miriade di “nodi”, che verificano e confermano la bontà delle varie transazioni ricevendone in cambio un vantaggio (nel caso dei bitcoin, ogni transazione confermata consente di ricevere una criptomoneta).
Tutto ciò ha destato l’attenzione delle autorità europee, che hanno messo sotto la lente d’ingrandimento le possibili applicazioni di una tecnologia che può garantire non solo la sicurezza degli scambi, ma anche il loro anonimato; il che la rende uno strumento appetibile per possibili usi illeciti: dal riciclaggio di denaro al finanziamento di gruppi terroristici. L’espansione della blockchain, insomma, pone nuove sfide in termini di governance anche per le istituzioni europee, che ne riconoscono le potenzialità, ma ne temono alcune possibili applicazioni.
D’altra parte, la blockchain è una realtà difficile da inquadrare. È capace di attrarre sia gruppi di techno-libertari radicali – come quelli che, sfruttando la blockchain di Ethereum, hanno dato vita alla DAO (decentralized autonomous organization), la prima società gestita solo da un software – sia le più importanti banche del mondo, come quelle che si sono riunite in R3: un consorzio con sede a New York che riunisce 40 tra i più importanti istituti bancari al mondo, tra cui Intesa Sanpaolo, con la missione di studiare e investire nelle applicazioni della blockchain nel settore finanziario.
La blockchain viene ancora generalmente associata ai bitcoin e più in generale al mondo fintech, ma anche da questo punto di vista il 2016 ha marcato un’importante novità: per la prima volta i venture capitalist hanno siglato un numero maggiori di accordi con le imprese che ne stanno sperimentando applicazioni differenti. Start up come RootStock, che studia le potenzialità degli smart contracts, contratti che attraverso la blockchain automatizzano l’esecuzione dei termini stipulati tra due parti; o come Ownership.io, che studia come garantire grazie alla blockchain che la proprietà intellettuale venga tutelata anche nel difficile mondo di internet. Altre realtà stanno invece studiando come sfruttare la blockchain per la realizzazione di un catasto pubblico in Ghana o stanno progettando una rete di sensori wireless connessi su scala geografica.
Come sottolineato nel report di Intesa Sanpaolo, la biforcazione tra mondo bitcoin e mondo blockchain si sta sempre più rafforzando, mostrando come una tecnologia che fino a poco fa veniva guardata con sospetto e si considerava legata solo ai bitcoin abbia invece, davvero, le potenzialità per cambiare il mondo.
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