La nuova primavera imprenditoriale del Friuli Venezia Giulia

19 Dicembre 2017

TRIESTE – In Piazza Unità d’Italia capita, a volte, di sentire giovani passanti scambiarsi opinioni sul bitcoin. O di riconoscere, seduto a un tavolino di uno dei vicini caffè, questo o quel ricercatore di fama. Ai primi del Novecento, ai tempi dell’Austria-Ungheria, Trieste era la “terza città dell’Impero” (dopo Vienna e Praga), e uno dei maggiori porti del mondo. Oggi il porto sta vivendo una seconda giovinezza, ma soprattutto la città è diventata una delle capitali dello sviluppo tecnologico italiano, al pari di altri centri come Genova, Trento, Pisa o Modena.

Certo, Milano rimane ai vertici dell’innovazione italiana, con Roma e Torino; ma la parabola della città sull’Adriatico è la dimostrazione che la ricerca e l’high-tech non sono monopolio delle metropoli. In realtà è tutto il Friuli-Venezia Giulia (FVG) a puntare sulla cosiddetta “economia della conoscenza”. Non a caso l’1,64% del PIL friulano-giuliano è dedicato alla ricerca e sviluppo, contro l’1,38% del PIL nazionale (dato 2014). Grazie, in primis, a un ecosistema dell’innovazione vitale. A Trieste, ad esempio, ci sono l’Università, la SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), il Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam (ICTP) con la TWAS, l’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) ecc… Anche Udine può contare su un ateneo di rilievo, e tutto il territorio (e non solo i grandi poli urbani) è disseminato di parchi tecnologici e centri di trasferimento di conoscenza.

«A supporto della capacità di innovazione del FVG vi sono due elementi principali. Il primo è una dotazione di università e strutture di ricerca particolarmente nutrita, specie se confrontata con il resto del paese, e pertanto la disponibilità di un elevato numero di ricercatori in rapporto alla popolazione, attivi nei più svariati campi del sapere – spiega Giuseppe Borruso, professore associato di geografia economico-politica all’Università di Trieste –. Il secondo elemento ha natura economica. Il FVG ha ospitato, storicamente, diversi distretti industriali: da quelli storici (mobile, legno, coltello…), a quelli “nuovi”, come il caffè e la meccatronica. L’innovazione, intesa come saper fare proiettato verso nuovi prodotti, è probabilmente parte del tessuto sociale e commerciale della regione».

Per Borruso, il FVG è stato condannato a innovare, «avendo vissuto prima di altre regioni la crisi della grande industria e dei distretti industriali, trasformando le attività industriali tradizionali in produzioni o modalità produttive più innovative. Questo vale sia a livello di attività tradizionali, che di startup, spin-off e così via».

Periferica, povera di materie prime, lontana dai grandi flussi turistici, questa regione punta in maniera significativa anche sulla nuova impresa ad alta intensità di innovazione. «Le startup innovative in FVG alla data del 6 novembre 2017 ammontano a 188: 12 in provincia di Gorizia, 49 in quella di Pordenone, 62 nel triestino e 65 nell’udinese – dichiara Lydia Alessio-Vernì, direttore centrale delle attività produttive della regione –. In base al Regional Innovation Scoreboard 2017, il Friuli-Venezia Giulia si colloca al primo posto tra le regioni italiane. Punti di forza del territorio sono gli investimenti in innovazione da parte delle PMI, il numero di pubblicazioni scientifiche congiunte internazionali, il numero di domande di brevetto, il valore dell’export di prodotti di media e alta tecnologia: si tratta di indici in cui il FVG presenta valori ben superiori alla media delle regioni europee».

Un esempio concreto dell’innovazione in salsa friulano-giuliana è l’AREA Science Park di Trieste, parco scientifico-tecnologico con 84 realtà insediate, per un totale di oltre 2600 addetti. In quasi 40 anni il parco si è trasformato da sede di grandi istituti di ricerca, come il Sincrotrone e il già citato ICGEB, in hub specializzato nel trasferimento tecnologico e nell’innovazione. Fabrizio Rovatti è il direttore dell’Innovation factory, incubatore certificato del parco, fondato nel 2006: «La creazione e lo sviluppo di nuove startup innovative è sempre stata una delle principali linee di attività del parco, perché pensiamo che sia uno dei modi migliori per trasformare la ricerca in innovazione. In fondo noi aiutiamo i ricercatori (o le persone con un’idea di business innovativa e con possibilità di successo) a creare un’azienda ed entrare nel mercato».

Fra le startup incubate spiccano M2test, uno spin-off dell’Università di Trieste che ha messo a punto un innovativo test per l’esame della fragilità ossea, e modeFinance, azienda nata nel 2009 per applicare i Big Data al settore delle valutazioni finanziarie, e prima fintech registrata come agenzia di rating in Europa. Sia il parco che l’Innovation factory collaborano con i giovani paesi dell’ex Jugoslavia (regione che il FVG in generale, e Trieste in particolare, guardano da sempre con grande attenzione, e basta sfogliare Il Piccolo per rendersene conto). «Negli ultimi due anni – dice Rovatti – il Ministero degli Esteri ci ha chiesto di supportare la zona balcanica nella maturazione dei suoi processi di innovazione, e sono in corso dei nuovi progetti con alcuni di questi paesi proprio per mettere a punto degli ecosistemi innovativi. Ciò ci consente di entrare in contatto con degli ottimi ricercatori, ma anche col tessuto imprenditoriale che è alla ricerca di un sostegno per essere più competitivo».

Tra le aziende che hanno il loro laboratorio presso l’AREA Science Park c’è AEP Polymers. Andrea Minigher, responsabile business development dell’azienda, spiega a Gli Stati Generali: «Abbiamo fondato AEP Polymers nel 2013, per mettere a frutto le competenze del team di lavoro in un settore molto promettente come quello dei polimeri ottenuti da fonti bio-rinnovabili. Nel nostro laboratorio sviluppiamo nuovi polimeri da olii vegetali (preferibilmente non commestibili), per applicazioni nel settore dei materiali compositi fibrorinforzati, degli adesivi, dei coatings e delle schiume isolanti. Collaboriamo anche con diverse aziende per la valorizzazione di scarti industriali, come per esempio la lignina e i suoi derivati».

Il dialogo che l’AEP Polymers sviluppa con interlocutori industriali è la spia di una crescente osmosi tra il secondario friulano-giuliano e i giovani protagonisti dell’innovazione regionale. Secondo Laura Chies, professore associato di politica economica dell’Università di Trieste «in FVG il trasferimento di conoscenza ha avuto luogo anche grazie alla presenza di grandi gruppi industriali che hanno fatto da volano a spin-off e startup, spesso inglobate in imprese di dimensioni più grandi. Al contempo, le imprese del territorio hanno una vocazione chiaramente rivolta al mercato mondiale, che può essere un indicatore di forza ma anche di debolezza. In effetti molte delle imprese locali sono state acquisite da competitor internazionali che, proprio grazie alla capacità di innovazione trovata in loco, spesso hanno lasciato sul territorio i loro laboratori di ricerca, continuando la produzione. Si tratta di una posizione di vantaggio lungo la catena del valore del prodotto che fa ben sperare per il futuro».

Se le imprese ad alta intensità di innovazione sono riuscite a superare la lunga fase della crisi, è anche vero che «proprio in seguito al riassetto produttivo», spiega Chies, il FVG ha patito più di altri territori del Nordest, specie in termini occupazionali. Luigi (che chiede di essere indicato con un nome di fantasia) è un piccolo imprenditore della provincia di Pordenone; per anni ha lavorato nel settore dell’edilizia, «come aveva fatto mio padre prima di me. La crisi però è stata una strage, abbiamo perso un sacco di lavoro, e alla fine ho passato la mano».

Luigi ammette di aver compiuto degli errori nella gestione della sua azienda, ma ci tiene a precisare: «La politica ci ha lasciati soli, a noi piccoletti senza santi in paradiso. Destra, sinistra, centro, tutti uguali quelli». In effetti la crisi ha colpito duro in FVG. Fra il 2008 e il 2015 sono andati in fumo quasi 50mila posti di lavoro. Nel pordenonese, osserva con amarezza Luigi, «è stato peggio di una guerra, non solo per me ma per tanti». Ma proprio a Pordenone, distante anni-luce da quel “Friuli povero, scarsamente attrezzato alla concorrenza moderna” descritto da Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia”, negli ultimi anni sono nate aziende come Next Sight, fondata nel 2013 al Polo tecnologico Galvani. La mission dell’azienda, come si legge nel suo sito, è “migliorare la vita e le condizioni di salute delle persone attraverso l’utilizzo di dispositivi innovativi e attraverso soluzioni tecnologiche avanzate”.

A Gli Stati Generali Paola Griggio, CEO di Next Sight, spiega: «produciamo un dispositivo, il Nexy, che realizza una foto della retina. Altri strumenti lo fanno già, ma la differenza principale è che Nexy acquisisce ottime immagini in maniera automatica spedendo poi le immagini sul cloud. In questo modo è possibile acquisire molte immagini in ambienti remoti dove l’oculista non è fisicamente presente, per poi inviare le immagini stesse all’oculista via internet».

Parlando con Griggio emerge il ruolo della regione. Che è stata «un attore fondamentale nella nascita e crescita dell’azienda. Nel 2013 abbiamo ricevuto infatti dal FVG un contributo a fondo perduto per la R&D di Nexy. Ora stiamo cercando di restituire ciò che abbiamo ricevuto, in termini di innovazione e di creazione di nuove opportunità lavorative messe a disposizione del territorio».

In effetti l’innovazione, in Italia, tende spesso a decollare nei territori (a statuto speciale o ordinario) noti per la buona amministrazione: il Trentino, il FVG, Milano, l’Emilia-Romagna, Torino… E del resto friulani e giuliani son gente tenace, ostinata, che da decenni punta con serietà sull’“economia della conoscenza”: basti pensare che sia l’ateneo di Udine che l’AREA Science Park sono nati nel 1978, a due anni dal “risveglio dell’Orcolat”, il devastante Terremoto del Friuli che costò la vita a quasi mille persone, e causò danni immensi. L’Università degli Studi di Udine, in particolare, nacque per volontà popolare: dopo il sisma la popolazione e le istituzioni del territorio si mobilitarono per raccogliere le firme necessarie (almeno 50mila); “le firme furono ben 125mila, molte delle quali raccolte nelle tendopoli post terremoto”, si legge sul sito dell’università.

Proprio a Udine, ad esempio, ha sede Friuli Innovazione, centro di ricerca e trasferimento tecnologico all’interno del Distretto delle tecnologie digitali, di cui è pure uno dei soci fondatori. Fabio Feruglio, direttore Friuli Innovazione, racconta: «Quando ho cominciato a lavorare qui, poco più di dieci anni fa, chi arrivava trovava cinque auto parcheggiate e un sacco di spazi vuoti. Oggi abbiamo una quarantina di aziende, per lo più attive nelle ICT, ma anche nel biotech. Ad esempio abbiamo un centro di sequenziamento del genoma di rilievo internazionale, l’Istituto di Genomica Applicata, che ha creato uno spin-off, IGATech, per portare il suo know-how sul mercato». Oggi IGATech è anche coordinatore di un progetto di ricerca per sviluppare un nuovo modello di utilizzo del sequenziamento dell’intero genoma umano applicato alla pratica clinica, specie nell’ambito del cancro al seno, dei disturbi cognitivi e dei difetti dello sviluppo dell’occhio.

E nel montagnoso Alto Friuli, a una quarantina di chilometri da Udine e dal suo elegante centro storico, c’è il Carnia Industrial Park. Il parco ha sede nella “capitale” di questo aspro territorio: Tolmezzo, un comune di 10mila abitanti sovrastato dal monte Amariana. Come spiega il direttore, Danilo Farinelli, il parco è nato nel 1964 come consorzio per promuovere lo sviluppo socio-economico dell’Alto Friuli. «Dal 2016 il nuovo Consorzio “Carnia Industrial Park” ha assunto le funzioni di agenzia di sviluppo locale per valorizzare la vocazione manifatturiera dell’intero comprensorio montano della Carnia. Oggi, il Carnia Industrial Park è un’area nella quale operano oltre 200 aziende e più di 3.500 persone. L’area geografica di riferimento ha una superficie di 247,50 ettari urbanizzati, dotati di innovative reti tecnologiche e informatiche, sistemi di viabilità e moderni impianti industriali realizzati nel pieno rispetto degli standard di sostenibilità ambientale e risparmio energetico».

In barba agli stereotipi che vedono nella montagna un baluardo di conservatorismo, qui si immagina, dice Farinelli, «uno sviluppo fondato sulle peculiarità proprie di questo territorio: la valorizzazione delle risorse naturali (come le fonti idriche per la produzione di energia, e i boschi per una filiera del legno in grado di consentire un utilizzo intensivo ma rispettoso dell’ambiente); la valorizzazione di una cultura dell’intraprendenza e del lavoro; la collocazione geografica lungo l’asse che collega il Nordest italiano e il Nord Europa».

Insomma: il FVG innovativo funziona. Merito anche del background storico. Per Giovanni Millo, professore del dipartimento di scienze economiche dell’Università di Trieste, «le radici asburgiche e la convivenza di tante importanti etnie e confessioni religiose, hanno fatto di Trieste una delle città più cosmopolite. Per questo la scienza, che è internazionale per necessità, non può che trovare terreno fertile a Trieste».

Naturalmente c’è ancora moltissimo da fare, specie per quanto riguarda la coesione di un sistema dell’innovazione troppo frammentato. A parere di Feruglio, «se noi chiediamo alle imprese del FVG quanto hanno beneficiato della ricerca che si fa in FVG (e se ne fa tanta), normalmente risponderanno: molto poco. E se chiediamo ai centri di ricerca la ragione di questo, loro risponderanno che le aziende, perlopiù, non sono ancora in grado di apprezzare appieno i risultati delle ricerche, o di recepirli. La verità però sta nel mezzo, nel senso che il FVG è una regione che si è industrializzata nel secondo dopoguerra, e che per un lungo periodo ha avuto a est un confine problematico».

Qui (come nel resto d’Italia d’altronde) latita una cultura dell’imprenditorialità visionaria, capace di trasformare l’impalpabilità della ricerca in innovazione concreta. Secondo Farinelli, a fronte della concentrazione in FVG di importanti centri di ricerca e innovazione, c’è la «necessità di un maggiore coordinamento, e di una maggiore diffusione del potenziale di ricerca e innovazione nel sistema produttivo del territorio. Magari proprio attraverso il coinvolgimento dei parchi industriali».

Insomma, il FVG non è ancora un territorio hi-tech come altre regioni multietniche quali la Scania in Svezia, la Carinzia in Austria o i Paesi Baschi in Spagna. Quanto fatto sinora, però, è ammirevole, e positivo per tutto il paese. Ai primi del Novecento Trieste (per la ferma opposizione delle autorità austriache) non aveva neanche l’università; nel 2020 sarà Capitale Europea della Scienza, al pari di altri poli dell’innovazione come Copenaghen (2014), Manchester (2016), Tolosa (2018). C’è di che essere orgogliosi.

 

 

In copertina: Trieste, Pixabay

TAG: distretti industriali, economia, economia della conoscenza, Friuli-Venezia Giulia, hightech, innovazione, pordenone, ricerca, startup, trieste, Udine, Università
CAT: Innovazione, Trieste

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