I fondali oceanici, nuova frontiera dell’autodistruttività umana

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18 Marzo 2021

Coautori: Gelena Katkova e Simone Coccia

In un suo romanzo di grande successo, “The Swarm”, uscito nel 2004, lo scrittore tedesco Frank Schätzing racconta di come il freaking dei fondali marini modifica in modo irreparabile non solo la flora e la fauna degli abissi, ma anche l’equilibrio tettonico della crosta del pianeta. Le piattaforme continentali, infatti, resistono alla pressione delle terre emerse e degli oceani grazie ad un delicato bilanciamento geologico, intaccando il quale – come racconta il romanzo – i continenti franano, si dissolvono, vengono risucchiati dal mare.

Nel best-seller di Schätzing, in modo apocalittico, viene raccontato, ma anche dimostrato scientificamente, ciò che accadrebbe se qualcuno, o qualcosa, si mettesse a giocare con i fondali marini: la costa della Norvegia scompare tra i flutti, trascinando strade, città, persone, ed interi fiordi, nel breve volgere di qualche minuto. Quel libro, insomma, mette in guardia l’umanità dal giocare con quella che sembra essere l’ultima frontiera della nostra follia: l’idea di sfruttare il fondo del mare per l’estrazione del petrolio o di minerali[1].

Nel frattempo, quell’incubo è divenuto realtà. Attualmente sono in opera progetti mastodontici di prospezione mineraria nel fondo dell’Oceano Indiano, in acque extra-territoriali, da parte di industrie ed istituti geologici di diverse nazioni. Questi progetti sono organizzati sotto l’ombrello di un’azienda giamaicana, la International Seabed Authority (ISA), nata nel 1994 come possibile agenzia delle Nazioni Unite, e trasformatasi poi in una società indipendente, cui viene però riconosciuta l’autorità di concedere licenze di sfruttamento minerario in aree extra-territoriali, e che si è dotata di una struttura che riproduce (apparentemente) quella assembleare delle agenzie dell’ONU, ma che invece funziona come una vera e propria società di consulenza industriale e di intermediazione politica – basandosi su una struttura apparentemente trasparente, ma che nasconde tutte le informazioni sensibili dietro la cortina del segreto diplomatico[2].

I limiti dello sfruttamento della crosta terrestre

La produzione mondiale di litio nel 2019[3]

Con l’espansione del mercato dei prodotti elettronici, l’approvvigionamento del litio e delle altre materie prime necessarie subisce da anni accelerazioni esponenziali. C’è un comparto poi, di cui si prevede una forte crescita nell’immediato futuro e che peserà in modo sostanziale sulla richiesta dei materiali di base, che è quello dell’auto elettrica e che ben presto raggiungerà su scala mondiale numeri mai visti prima.  Da qui al 2030, questa catena di fornitura emergente dovrebbe produrre oltre 340 milioni di veicoli elettrici (dalle autovetture ai camion e agli autobus)[4].

Per la realizzazione degli accumulatori ci sarà bisogno di un aumento enorme della produzione di materie prime rare, il che costringerà i fornitori a rivedere le strategie. Andiamo incontro a seri problemi nell’adeguamento delle tecnologie estrattive: a causa dei vincoli ambientali, della scarsa disponibilità di figure specializzate nella riconversione delle tecnologie estrattive, la maggior parte dei giacimenti rischia di perdere la partita, o perché troppo costosi, o perché inquinanti[5][6].

Produzione mondiale del cobalto nel 2018[7]

Come spiegato nel recente rapporto dell’ UNCDAT (la Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo[8]), quasi il 50% delle fonti mondiali di cobalto, ad esempio, si trova nella Repubblica Democratica del Congo, il 58% del litio impiegato dal mercato mondiale proviene dal Cile, l’80% delle riserve di grafite naturale si trovano in Cina, Brasile e Turchia, mentre il 75% delle riserve di manganese appartengono ad Australia, Brasile, Sudafrica e Ucraina – e provengono da miniere in crisi economica o osteggiate a livello legislativo, oppure alla fine del loro periodo produttivo[9].

Per la realizzazione degli accumulatori per auto si avrà bisogno a breve di quantità mai viste prima di nichel, manganese e cobalto. Il fatto che altissime concentrazioni di attività estrattive di pochi elementi, come ad esempio gli ioni di litio, siano ad appannaggio di un solo paese (Australia, Cina, Cile e Argentina[10]) determina gravi frizioni politiche e militari di interi continenti[11] e rappresenta un forte rischio per gli equilibri geopolitici[12].

Ma non è soltanto il mercato delle auto e dei dispositivi elettronici a trainare l’interesse estrattivo dei metalli rari. Nel 2018, lo US Geological Survey ha identificato 35 minerali fondamentali per l’economia e la sicurezza nazionale e, quindi, per le produzioni di interesse militare[13]: droni, missili, sensori di puntamento, radar, tecnologia stealth, laser, armi a microonde (ADS[14]), tecnologia di disturbo e molto altro[15]. E qui si entra evidentemente in un universo estremamente denso di interessi che vanno ben oltre quelli del mercato tradizionale, tant’è vero che a puntare sul freaking del fondo dell’oceano non sono soltanto società minerarie, ma anche fabbriche d’armi come la Lockheed-Martin[16].

Percentuali di produzione mondiale di manganese nel 2020[17]

Purtroppo, già nell’immediato futuro le risorse potrebbero non esser sufficienti a far fronte alle richieste dell’industria. Stime approssimative valutano che le riserve naturali basteranno non più di 20 anni. Questo non significa necessariamente l’esaurimento reale degli elementi, ma un progressivo aumento delle difficoltà nelle tecniche di estrazione e dei costi per l’estrazione e lo stoccaggio[18].

Storia dello sfruttamento minerario dei fondali marini

La corvetta HMS Challenger, dipinta da William Frederick Mitchell nel 1872[19]

La storia di questo progetto dissennato è più vecchia di quanto si possa pensare. Già nel 1870, la HMS Challenger, una corvetta a vapore della Royal Navy, svolge la prima analisi mineraria dei fondali marini[20]. È stata progettata come nave da guerra e poi trasformata per l’occasione. La spedizione solca i mari per mille giorni, coprendo più di 68.000 miglia nautiche e raccogliendo un numero enorme di informazioni sull’ambiente marino. Vengono catalogati numerosi organismi biologici, molti dei quali sconosciuti, vengono raccolti dati su temperature, correnti, chimica dell’acqua e depositi del fondo oceanico. I risultati scientifici del viaggio saranno poi pubblicati in un rapporto di 50 volumi e 29.500 pagine, per compilare il quale ci vorranno 23 anni di lavoro[21].

Nella relazione finale si parla di una raccolta di sedimenti interessanti: formazioni chiamate “noduli”, adagiate sul fondo marino, con alto contenuto di metalli diversi come zinco, ferro, argento e oro[22]. Ma si scrive anche che la raccolta di quei metalli, con i mezzi a disposizione, sia impossibile. Il primo studio approfondito sui noduli e sui modi di portarli in superficie è quello del 1965 di John L. Mero[23], che analizza la ricchezza e la varietà dei minerali disponibile, la loro diffusione e disposizione sul fondale marino, ed infine la geografia dei giacimenti[24]. Il libro è tuttora considerato una pietra miliare: è la prima volta che viene immaginato in modo dettagliato lo sfruttamento commerciale di tali depositi[25].

Da allora in poi, gli studi e le esplorazioni si susseguono. Si scopre che, oltre ai noduli, anche le sorgenti idrotermali presenti nelle zone sottomarine vulcaniche costituiscono una grande opportunità: molte delle sostanze che vengono espulse dagli sfiati provenienti dalle viscere della Terra sono composte da rame, zinco, oro e argento. Soprattutto questi due ultimi metalli preziosi sembrano abbondare al di là di ogni valutazione precedente[26].

Quindi si inizia a studiare e a costruire meccanismi estrattivi adattabili alle estreme condizioni del fondale oceanico. Si tratta di profondità di diverse miglia marine dove le pressioni sono elevatissime e l’area è impenetrabile alla luce. Servono navi che stazionerebbero per mesi in mare aperto, soggette a repentini cambi delle correnti superficiali ed esposte a variabili condizioni metereologiche ostili.

Ma una volta superato lo scoglio della profondità, la loro estrazione è relativamente semplice: la maggior parte di questi minerali è adagiata sul fondale ed ha l’aspetto di piccole pietre tondeggianti del diametro massimo di 40mm – i noduli polimetallici[27]. Anche il prelievo dei depositi in prossimità degli sfiati idrotermali, come le croste di manganese formatesi sulle superfici delle montagne marine, è tecnicamente semplice: basta “raschiarle” per pochi centimetri con appositi erpici sottomarini[28].

Un disegno della American Society of Mechanical Engineers rappresentante la Hughes Glomer Explorer[29]

All’inizio, la ricerca dei minerali sul fondo dell’oceano è una questione puramente militare: dopo alcuni tentativi falliti da parte della marina militare russa, il governo degli Stati Uniti ha convinto un miliardario, Howard Hughes, a finanziare un’analisi del fondo del mare, assegnandoli, come direttore del progetto, un ufficiale della CIA, David Sharp[30].

Con una spesa di oltre mezzo miliardo di dollari e diversi anni di lavori compiuti in gran segreto, nel 1974 il Hughes Glomar Explorer (HGE) – un mostro meccanico tratto dalle immagini dei film di James Bond – entra nella fase pratica della sperimentazione, tra mille problemi allora irrisolvibili: HGE funziona solo se il mare è calmo, solo se le temperature sono estive e, trattandosi di sperimentazioni in acque extra-territoriali, ogni gesto di HGE viene seguito da sei navi da guerra sovietiche, pronte a carpirne i segreti e ad evitarne l’eventuale pericolosità militare[31]. A ragione, perché l’unica vera attività mai svolta da HGE è stata quella di identificare, recuperare e studiare sommergibili nucleari sovietici affondati[32].

Nei primi anni ’70, una dozzina di compagnie si coalizzano per fare sul serio. In un articolo del New York Times del 17 luglio 1977, si legge: “Le società coinvolte nell’estrazione mineraria in mare profondo sono americane, britanniche, francesi, belghe, tedesche, olandesi, australiane e giapponesi”[33]. Seguono i nomi di tutte le grandi multinazionali militari e del petrolio dell’epoca, nessuna esclusa. “Il più semplice dei sistemi in fase di sviluppo è la benna a linea continua di John L. Mero, una serie di tramogge da una tonnellata su 16.000 iarde di fune spessa quattro pollici. La linea, che è sospesa tra due navi, viene rimorchiata lentamente, in modo che ogni secchio trascini lungo il fondo e raccolga i noduli”[34].

Produzione mondiale di minerali rari per l’industria dell’energia rinnovabile, della meccanica e militare nel 2018[35]

Mero si preoccupa anche di stabilire delle regole universali per l’autorizzazione allo sfruttamento dei fondali marini – specie quelli in acque extra-territoriali – e nel 1970 pubblica il suo saggio “A Legal Regime for Deep Sea Mining”, edito dall’Università di San Diego, che sarà da ora in poi la base per il dibattito tra Stati nazionali ed industrie minerarie[36]. Le sue tesi sono chiare: lo sfruttamento dell’oceano deve aprire a tutti la possibilità di estrarre minerali strategici come cobalto, manganese, nickel e rame, e la priorità nella concessione delle licenze deve essere data a Paesi in via di sviluppo[37].

Lo sfruttamento deve essere concesso solo nel momento in cui le tecniche non siano distruttive (come era negli anni in cui Mero scriveva) e la loro raccolta sia economicamente conveniente, e non solo una mera questione strategica (militare o di oligopolio di mercato); la base per lo sfruttamento deve essere uno sviluppo ed un perfezionamento del Trattato (firmato nel 1958 a Ginevra da 40 nazioni) chiamato Convenzione sulla Piattaforma Continentale, secondo cui la titolarità della licenza di sfruttamento in acque internazionali va preferibilmente ad un consorzio formato dai Paesi confinanti con quell’area oceanica[38]. Per fare in modo che queste regole vengano osservate, John L. Mero propone la creazione di un’agenzia delle Nazioni Unite che funzioni come una concessionaria di leasing: l’Oceano è di tutti, il suo sfruttamento deve essere concesso solo per periodi di tempi limitati[39].

La nascita della International Seabed Authority

17 agosto 1967: Arvid Pardo parla all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite[40]

Le cose si fanno realistiche: prima che inizi una folle “corsa all’oro”, nell’estate del 1967 l’Ambasciatore di Malta Arvid Pardo[41] tiene un discorso durante il Primo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui chiede che le risorse dei fondali marini siano designate come “patrimonio comune dell’umanità”, sollecitando la creazione di un sistema di regolamentazione internazionale per impedire a Paesi tecnologicamente avanzati di colonizzare i fondali e monopolizzare queste risorse a scapito degli Stati in via di sviluppo[42].

Pardo spinge l’ONU ad elaborare un piano di governance degli oceani. Nel 1970, l’Assemblea Generale, con la risoluzione 2749(XXV)[43] adotta la Dichiarazione dei Principi che governano il fondale marino. L’Assemblea sancisce che le risorse minerarie dei fondali marini dovranno essere considerate “patrimonio comune dell’umanità”, da sviluppare a beneficio della collettività attraverso meccanismi internazionali da istituire[44]. Dopo una serie di risoluzioni successive che aggiornano il testo iniziale, nel 1994, in seno alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS[45]) entrata in vigore dal 16 novembre 1982, nasce l’ISA, International Seabed Authority[46], un’organizzazione indipendente avente sede a Kingston, capitale della Giamaica, la cui Assemblea è composta da tutti i paesi che hanno aderito all’UNCLOS (alla fine del 1° maggio 2009 arriverà a contare 158 membri[47]) e si dà una struttura atta a garantire il corretto svolgimento della sua missione[48].

Questi i principali obiettivi ufficiali dell’ISA: a) amministrare le risorse minerarie dell’Area Internazionale dei Fondali Marini, patrimonio comune dell’umanità; b) adottare regole, regolamenti e procedure per lo svolgimento delle attività nell’Area; c) promuovere ed incoraggiare la ricerca scientifica marina nell’Area; d) proteggere e conservare le risorse naturali dell’Area e prevenire danni alla flora e alla fauna marina[49]. Ben presto diviene evidente il fatto che il vero scopo di ISA è gestire la contrattualizzazione delle licenze di sfruttamento minerario in acque extra-territoriali. Dopo uno stop durato quasi un ventennio, nel quale la domanda delle materie prime ha subito un calo a livello mondiale, si osserva oggi una ripresa del mercato e il conseguente rifiorire dell’interesse attorno all’estrazione marina, che può avere conseguenze fatali per la sopravvivenza della vita sul pianeta.

Le aree di intervento

Le zone di estrazione CCZ Clarion-Clipperton Zone (bianche), e quelle protette (a righe)[50]

ISA controlla le licenze nelle acque extraterritoriali, ma, negli ultimi anni del secolo scorso, nascono anche progetti che, essendo all’interno delle acque territoriali nazionali, sono controllate dal Paese di riferimento[51]. Tranne una, tutte le aree di esplorazione controllate da ISA si trovano nella zona Clarion-Clipperton (CCZ), una pianura abissale che si estende per 4,5 milioni di chilometri quadrati (1,7 milioni di miglia quadrate) tra le Hawaii e il Messico nell’Oceano Pacifico orientale[52]. L’altra area la sta esplorando l’India nel Bacino Centrale dell’Oceano Indiano[53]. L’estrazione commerciale deve ancora iniziare, ISA deve ancora decidere sulle regole estrattive[54]. Per ora ha stipulato una serie di contratti di esplorazione di 15 anni: 30 appaltatori, che sono spesso consorzi formati da governi nazionali[55]. Le aziende che desiderano estrarre nella CCZ devono anche essere sponsorizzate da almeno una nazione per ottenere un permesso[56]. Quando il codice minerario sarà approvato, le 30 aziende accelereranno le loro esplorazioni nella CCZ verso l’estrazione su scala industriale[57].

ISA ha designato nove aree come Aree di Particolare Interesse Ambientale (API), che sono attualmente protette dalle attività minerarie. Queste aree coprono ciascuna 160.000 chilometri quadrati (61.775 miglia quadrate) e si trovano intorno alle aree di licenza di esplorazione. Gli API sono stati posizionati attraverso la CCZ per proteggere e rappresentare l’intera gamma di biodiversità e habitat nella regione, comprese le variazioni nell’abbondanza dei noduli, nella disponibilità di cibo e nella topografia del fondo marino (inclusa la presenza di montagne sottomarine)[58].

Il fondale marino della CCZ si trova per lo più tra i 4.000 e 6.000 metri di profondità. Il fondale è caratterizzato da un numero di montagne sottomarine, alcune delle quali raggiungono profondità inferiori a 3.000 metri[59]. Per questo motivo, non tutto il metallo che giace sul fondo è estraibile in modo che convenga economicamente. Anche per decenni a venire, verrà estratta solo una piccolissima parte di quella quantità di noduli[60].

Le conseguenze dello sfruttamento dei fondali marini

La classificazione delle profondità marine[61]

A quelle profondità, tutto diventa opinabile: ci sono molte specie conosciute e molte  ancora sconosciute che vivono a profondità fino a circa 5.500 metri nella zona abissale, che è prevalentemente al buio. Non è possibile sapere come reagiranno alla estrazione commerciale. E l’estrazione di metalli e minerali come nichel, cobalto, manganese e rame, che si trovano in noduli sul fondale marino, sono l’habitat in cui queste creature marine vivono: un habitat che verrò completamente distrutto[62]. Uno studio, durato nove anni, condotto da Dmitry M. Miljutin[63], ha suggerito che ” ogni giorno verrà estratto circa 1 chilometro quadrato di fondale marino, quindi circa 6.000 chilometri quadrati nell’arco di 20 anni”[64]. Uno studio pubblicato da James Hein, Andrea Koschinsky e Thomas Kuhn suggerisce che i raccoglitori di noduli “schiacceranno gli organismi che non sono in grado di uscire dai nascondigli e compatteranno il sedimento, riducendone l’abitabilità per la fauna”[65].

Non finisce qua. Poiché i noduli polimetallici sono un tipo speciale di deposito di ossido che non possiede un analogo terrestre, la loro metallurgia va inventata da zero[66]. Poiché i noduli sono costituiti da ossidi di manganese e complesse strutture di ossidrossidi di ferro, non è possibile trattarli con metodi convenzionali, come flottazione, separazione di densità o separazione magnetica. La matrice del nodulo deve essere completamente distrutta per rilasciare i metalli – con la pirometallurgia, che prevede la fusione dei noduli a 1.400–1.500°C; o con la idrometallurgia, ovvero la dissoluzione chimica di noduli in acido solforico o cloridrico o in delle soluzioni di solfato di ammonio e carbonato estremamente velenose; a questo va aggiunto un trattamento microbiologico per la dissoluzione da parte di microrganismi[67].

Il Subsea Mining Vehicle Patania II di GSR Global Sea Resources[68]

Avete capito bene: se la vita degli abissi sopravvive all’estrazione mineraria, verrà comunque distrutta. La CCZ ha sezioni che si trovano alla profondità dell’abisso (Hadal depth). Nel 2014, Timothy Shank (direttore del Woods Hole Oceanographic Institution, nel Massachusetts[69]) ha guidato una missione internazionale per completare il primo studio sistematico dell’ecosistema dell’Hadal, ma nemmeno Shank sa come l’estrazione mineraria influenzerà l’abisso, perché non sappiamo cosa contenga[70].

Una cosa è certa: la CCZ è piena di vita. “È una delle aree più ricche di biodiversità che abbiamo mai campionato nelle pianure abissali”, sostiene Jeff Drazen, un oceanografo dell’Università delle Hawaii. La maggior parte di quegli esseri viventi, spiega Drazen, vive sugli stessi noduli che i minatori intendono estrarre. “Quando li sollevi dal fondo del mare, rimuovi un habitat che ha impiegato 10 milioni di anni per crescere”. Ed aggiunge: “Molti degli organismi meno mobili potrebbero non essere presenti da nessun’altra parte del pianeta”[71]. Grazie a Drazen sappiamo che “una squadra belga, nella CCZ, sta facendo dei test e guida un veicolo sul fondo del mare che vomita un mucchio di fango. Stiamo per compiere una delle più grandi trasformazioni che gli esseri umani abbiano mai fatto sulla superficie del pianeta. Annienteremo un enorme habitat e, una volta che sarà sparito, non tornerà più”[72].

L’inefficiente mostro meccanico sviluppato dalla Nautilus Minerals[73]

Infatti. Nel maggio del 2019 la società belga GSR Global Sea Mineral Resources, controllata dalla società di dragaggio olandese DEME, ha iniziato a raccogliere questi depositi, utilizzando un prototipo chiamato Patania II. Nell’arco di otto giorni ha risucchiato i noduli da un’area di circa 1 km2 e, grazie ai risultati, pianifica di avviare lo sfruttamento minerario su larga scala entro il 2026[74].

Gli scienziati sono terrorizzati: l’attività mineraria crea nuvole di sabbia di decine o addirittura centinaia di metri sopra il fondo del mare. “Le acque di fondo della CCZ sono le più limpide di qualsiasi parte dell’oceano”, afferma Craig Smith, oceanografo presso l’Università delle Hawaii: secondo lui, finché l’oceano resterà torbido (quindi per almeno 30 anni) “non capiremo veramente la portata effettiva dell’impatto delle scavatrici”[75]. L’urgenza è enorme. Catherine Coumans, coordinatrice del programma Asia-Pacifico per MiningWatch Canada, avverte: “L’estrazione mineraria potrebbe iniziare entro i prossimi due anni”[76] e distruggerà per sempre l’habitat degli abissi[77].

L’incidente della Papua Nuova Guinea

La trivella di DeepGreen in azione nei fondali marini delle acque extra-territoriali di Nauru[78]

Nel 2007, un sommergibile con una trivella è sceso a 1600 metri di profondità nel mare al largo della costa della Papua Nuova Guinea, raggiungendo a una rete di bocche idrotermali che ospitano una vita marina unica al mondo. Gli operatori della compagnia mineraria canadese Nautilus Minerals, Inc., hanno iniziato a perforare il fondo marino alla ricerca di rame, oro, zinco e argento[79]. In questo momento le trivelle sono ferme: nel 2019, Nautilus è fallita prima di estrarre qualsiasi minerale e il governo della Papua Nuova Guinea, che aveva investito nel progetto, è rimasto con 140 milioni di dollari di debiti[80]. Una società di proprietà del governo, Eda Kopa, sta cercando di recuperare parte dei soldi in tribunale[81].

All’ambiente marino non è andata meglio. Jonathan Mesulam, dell’associazione Alliance of Solwara Warriors, che si batte da anni contro la Nautilus Minerals, è furioso: “Eravamo preoccupati perché l’estrazione mineraria è sperimentale, non ci sono esempi in nessuna parte del mondo e la Papua Nuova Guinea non ha un quadro normativo”. In quel sito c’è un vulcano sottomarino, che potrebbe causare uno tsunami. “Ha anche influenzato la nostra unica cultura del richiamo degli squali che è la nostra identità”, ha aggiunto Mesulam. “Gli squali sono una delle principali fonti di cibo per la nostra gente, e li cacciamo chiamandoli, con una tecnica ed un rito vecchi di secoli. Quando Nautilus ha iniziato le sue attività di esplorazione, gli squali hanno lasciato le nostre acque”[82].

Un’immagine dei fondali marini nelle acque extra-territoriali al largo di Papua Nuova Guinea dopo che Nautilus Minerals, con le sue trivellazioni, ha ricoperto tutto di sabbia e fango[83]

Nell’agosto del 2019, il presidente delle Isole Figi, Frank Bainimarama, ha chiesto all’ONU di “sostenere la richiesta di una moratoria di 10 anni sull’estrazione dei fondali marini dal 2020 al 2030 che consentirebbe un decennio di ricerca scientifica adeguata delle nostre acque territoriali”. Charlot Salwai, primo ministro di Vanuatu, è stato il primo ad appoggiare questo appello, “per dare priorità alla salute delle nostre comunità e riconoscere valori oltre il guadagno economico”. Papua Nuova Guinea aveva in precedenza sostenuto il progetto di sfruttamento delle acque profonde, ma il nuovo primo ministro James Marape ha cambiato idea, dopo la brutta avventura passata con Nautilus Minerals[84].

Anche Nauru è tra i sostenitori iniziali del progetto minerario sui fondali oceanici. DeepGreen vuole estrarre cobalto e altri metalli da una zona di 75.000 kmq nella zona CCZ, sulla quale è stato concesso il controllo allo Stato del Nauru. Una società canadese nata dalle ceneri della Nautilus Minerals, la DeepGreen Metals, ha ottenuto un finanziamento di 150 milioni di dollari, la maggior parte da una società svizzera (Allseas SA Châtel St. Denis) per iniziare gli studi di fattibilità[85]. Nauru è un paese già segnato dalle miniere. Più dell’80% della massa continentale della minuscola isola è stata resa inabitabile dall’estrazione di fosfati compiuta da inglesi ed australiani durante il XX secolo[86].

Allseas non si occupa di estrarre minerali, ma di depositare sui fondali marini degli oleodotti intercontinentali – e quindi ha, nel progetto, interessi non del tutto cristallini[87]. Allseas controlla più di cento aziende distribuite in tutto il mondo[88], ma non rende noti né i propri azionisti, né il proprio fatturato[89]. L’unica cosa che è nota, è che Allseas sta deponendo gli oleodotti sui fondali marini che uniscono la Germania, attraverso lo Skagerrak ed il Golfo di Botnia, alle regioni dell’estremo nord della Russia (il progetto chiamato North Stream) e contro il quale il governo degli Stati Uniti sta procedendo con tutta la forza della sua macchina giuridica[90].

I conflitti di interesse dell’International Seabed Authority

Il direttore generale dell’ISA International Seabed Authority, Michael W. Lodge, con un elmetto del gruppo DeepGreen Metals in testa[91]

L’intero sistema di concessione delle licenze della International Seabed Authority solleva alcuni interrogativi. Uell’ufficio di Lodge lavora il cittadino canadese di origine zambiana Chapi Mwango che, prima di entrare in ISA, lavorava per GlencoreXstrata[96] – ovvero uno dei partners industriali di Nautilus Minerals nelle operazioni nell’Oceano Pacifico[97]. Oggi, Mwango, oltre ad avere in mano la cassa di ISA, è un azionista ed il vicepresidente di PMI Jamaica[98], un’azienda che fornisce valutazioni di impatto ambientale e sostegno nelle candidature alle aziende che vogliono ottenere una licenza per lo sfruttamento dei fondali marini[99]. A capo dell’ufficio legale di ISA c’è il diplomatico messicano Alfonso Ascencio Herrera, che è al contempo un ufficiale del SEM (Servicio Exterior Mexicano), ovvero dei servizi segreti militari del suo Paese[100] e, in quella funzione, partecipava ad un programma di partecipazione della Cina[101] e della Corea del Sud ai progetti di sfruttamento dei fondali marini[102].

Nel dicembre del 2020 il Consiglio dell’ISA ha approvato il piano di prospezione e sfruttamento della Blue Minerals Jamaica Ltd. Kingston[103], salutando il fatto che il piccolo paese caraibico avesse deciso di investire in questo progetto[104]. Peccato che Blue Minerals non abbia nulla di giamaicano, e sia soltanto una società offshore, fondata nel 2019 con un capitale pari a 0 dollari[105], che appartiene a due broker operanti in Svizzera, l’italiano Romeo Spinelli ed il danese Peter Henrik Jantzen[106], che da anni collaborano con Michael W. Lodge e partecipano alle sue conferenze in qualità di esperti dell’ISA[107].

Nonostante tutte le grandi ONG, da oramai un decennio, stiano disperatamente lottando per fermare questi progetti apocalittici, le Nazioni Unite non reagiscono, anche perché moltissimi Stati nazionali, sapendo che gli scavi saranno in mezzo ad un oceano a migliaia di chilometri dalle loro coste, non dimostrano alcun interesse a ragionare sulla pericolosità e della probabile illegalità dell’intero progetto. Contrariamente alla questione del riscaldamento globale, della presenza della plastica negli oceani e dell’inquinamento atmosferico, nella popolazione manca del tutto la consapevolezza del pericolo. Per questo motivo, da oggi in poi, inizieremo a pubblicare periodicamente degli articoli che cerchino di risvegliare le coscienze. Prima che sia troppo tardi.

 

 

 

[1] Frank Schätzing, “Der Schwarm“, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2004
[2] https://www.isa.org.jm/mining-code/regulations
[3] https://www.statista.com/statistics/268789/countries-with-the-largest-production-output-of-lithium/
[4] https://www.mckinsey.com/industries/oil-and-gas/our-insights/metal-mining-constraints-on-the-electric-mobility-horizon#
[5] https://sites.nationalacademies.org/cs/groups/pgasite/documents/webpage/pga_059587.pdf
[6] https://geology.com/articles/rare-earth-elements/
[7] https://www.reuters.com/article/us-congo-mining-insight-idUSKCN1UC0BS
[8] https://unctad.org/
[9] https://unctad.org/system/files/official-document/ditccom2019d5_en.pdf
[10] https://about.bnef.com/blog/china-dominates-the-lithium-ion-battery-supply-chain-but-europe-is-on-the-rise/
[11] https://www.cnbc.com/2019/06/14/us-china-trade-war-chinas-rare-metal-dominance-explained.html
[12] https://www.trtworld.com/magazine/china-s-control-of-rare-minerals-has-the-power-to-disrupt-the-us-economy-26845
[13] https://www.usgs.gov/news/interior-releases-2018-s-final-list-35-minerals-deemed-critical-us-national-security-and
[14] https://jnlwp.defense.gov/Press-Room/Fact-Sheets/Article-View-Fact-sheets/Article/577989/active-denial-technology/
[15] http://www.rareearthassociation.org/DoE%20Critical%20Materials%20Strategy%20Report.pdf
[16] https://geology.com/articles/rare-earth-elements/ ; https://www.isa.org.jm/news/isa-secretary-general-welcomes-growing-interest-deep-seabed-mining-positive-development
[17] https://mcgroup.co.uk/researches/manganese
[18] https://www.mining-technology.com/features/featuremined-into-extinction-is-the-world-running-out-of-critical-minerals-5776166/
[19] https://divediscover.whoi.edu/history-of-oceanography/the-challenger-expedition/
[20] http://www.bbc.com/travel/story/20200719-hms-challenger-the-voyage-that-birthed-oceanography
[21] https://oceanexplorer.noaa.gov/explorations/03mountains/background/challenger/challenger.html
[22] https://pubs.geoscienceworld.org/msa/elements/article/14/5/301/559105/Deep-Ocean-Mineral-Deposits-Metal-Resources-and ; https://epic.awi.de/id/eprint/38636/2/challenger-report_1891.pdf
[23] John L. Mero, “The mineral resources of the sea”, Elsevier Publishing Company, Amsterdam 1965
[24] https://core.ac.uk/download/pdf/42904622.pdf
[25] https://edgeeffects.net/seabed-mining/
[26] https://www.pewtrusts.org/en/research-and-analysis/fact-sheets/2019/09/deep-sea-mining-on-hydrothermal-vents-threatens-biodiversity
[27] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[28] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[29] https://www.pri.org/stories/2015-09-07/ship-built-cias-most-audacious-cold-war-mission-now-headed-scrapyard
[30] https://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-sh/deep_sea_mining
[31] https://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-sh/deep_sea_mining
[32] https://www.pri.org/stories/2015-09-07/ship-built-cias-most-audacious-cold-war-mission-now-headed-scrapyard
[33] https://www.nytimes.com/1977/07/17/archives/mining-the-wealth-of-the-ocean-deep-multinational-companies-are.html
[34] https://www.nytimes.com/1977/07/17/archives/mining-the-wealth-of-the-ocean-deep-multinational-companies-are.html
[35] https://clearworld.us/renewable-energy-requires-rare-earth-minerals-china-holds-most-of-them/
[36] https://digital.sandiego.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2380&context=sdlr
[37] https://legal.un.org/ilc/texts/instruments/english/conventions/8_1_1958_continental_shelf.pdf
[38] https://legal.un.org/ilc/texts/instruments/english/conventions/8_1_1958_continental_shelf.pdf
[39] https://digital.sandiego.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2380&context=sdlr, pages 499-500
[40] https://legal.un.org/avl/ha/uncls/uncls.html
[41] https://en.wikipedia.org/wiki/Arvid_Pardo ; https://legal.un.org/avl/ha/uncls/uncls.html
[42] https://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/pardo_ga1967.pdf
[43] https://cil.nus.edu.sg/wp-content/uploads/formidable/18/1970-UN-General-Assembly-Resolution-2749.pdf
[44] https://www.cambridge.org/core/journals/international-organization/article/in-search-of-an-ocean-regime-the-negotiations-in-the-general-assemblys-seabed-committee-19681970/F2782DB29E419F35B3F3A2DA624DF71C
[45] https://www.un.org/Depts/los/convention_agreements/texts/unclos/UNCLOS-TOC.htm
[46] https://www.isa.org.jm/
[47] https://isa.org.jm/files/files/documents/sb-15-17.pdf
[48] https://www.grida.no/resources/6311
[49] https://isa.org.jm/files/documents/EN/30Ann/SG-Presentation.pdf
[50] https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2020/01/20000-feet-under-the-sea/603040/
[51] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[52] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[53] https://www.isa.org.jm/about-isa
[54] https://www.dw.com/en/whats-the-science-on-deep-sea-mining-for-rare-metals/a-53686045
[55] https://www.dw.com/en/whats-the-science-on-deep-sea-mining-for-rare-metals/a-53686045
[56] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[57] https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2020/01/20000-feet-under-the-sea/603040/
[58] https://oceanexplorer.noaa.gov/explorations/18ccz/background/mining/mining.html
[59] https://www.isa.org.jm/documents/geological-model-polymetallic-nodule-deposits-clarion-clipperton-fracture-zone
[60] https://www.nature.com/articles/s43017-020-0027-0?utm_source=other&utm_medium=other&utm_content=null&utm_campaign=JRCN_2_DD01_CN_NatureRJ_article_paid_XMOL
[61] https://candlepozt.com/2018/01/12/5-mysterious-things-about-the-mariana-trench/
[62] https://www.dw.com/en/whats-the-science-on-deep-sea-mining-for-rare-metals/a-53686045
[63] https://www.researchgate.net/publication/280735258_Metody_landsaftnyh_issledovanij_i_ocenki_zapasov_donnyh_bespozvonocnyh_i_vodoroslej_morskoj_pribreznoj_zony
[64] https://www.dw.com/en/whats-the-science-on-deep-sea-mining-for-rare-metals/a-53686045
[65] Hein, J.R., Koschinsky, A. & Kuhn, T. Deep-ocean polymetallic nodules as a resource for critical materials. Nat Rev Earth Environ 1, 158–169 (2020). https://doi.org/10.1038/s43017-020-0027-0
[66] https://www.nature.com/articles/s43017-020-0027-0?utm_source=other&utm_medium=other&utm_content=null&utm_campaign=JRCN_2_DD01_CN_NatureRJ_article_paid_XMOL
[67] https://www.nature.com/articles/s43017-020-0027-0?utm_source=other&utm_medium=other&utm_content=null&utm_campaign=JRCN_2_DD01_CN_NatureRJ_article_paid_XMOL
[68] https://www.seatools.com/projects/subsea-mining-vehicle-patania-ii/
[69] https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2020/01/20000-feet-under-the-sea/603040/
[70] https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2020/01/20000-feet-under-the-sea/603040/
[71] https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2020/01/20000-feet-under-the-sea/603040/
[72] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[73] https://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-sh/deep_sea_mining
[74] https://www.dhyg.de/images/hn_ausgaben/HN095.pdf
[75] https://www.nature.com/articles/d41586-019-00757-y
[76] https://miningwatch.ca/blog/2019/10/30/mining-deep-sea-stories-suckers-and-corporate-capture-un
[77] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[78] https://miningir.com/deepgreen-secures-150m-funding-for-deep-sea-mining/
[79] https://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-sh/deep_sea_mining
[80] https://miningwatch.ca/news/2019/11/22/where-does-canada-stand-deep-sea-mining ; https://www.savingseafood.org/news/conservation-environment/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/ ; https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[81] https://www.theguardian.com/world/2019/sep/16/collapse-of-Papua Nuova Guinea-deep-sea-mining-venture-sparks-calls-for-moratorium
[82] https://miningwatch.ca/news/2019/11/22/where-does-canada-stand-deep-sea-mining ; https://www.savingseafood.org/news/conservation-environment/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/ ; https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[83] https://news.mongabay.com/2020/06/deep-sea-mining-an-environmental-solution-or-impending-catastrophe/
[84] https://www.theguardian.com/world/2019/sep/16/collapse-of-Papua Nuova Guinea-deep-sea-mining-venture-sparks-calls-for-moratorium
[85] https://deep.green/deepgreen-acquires-third-seabed-contract-area-to-explore-for-polymetallic-nodules/ ; https://miningir.com/deepgreen-secures-150m-funding-for-deep-sea-mining/
[86] https://www.theguardian.com/world/2019/sep/16/collapse-of-Papua Nuova Guinea-deep-sea-mining-venture-sparks-calls-for-moratorium
[87] https://allseas.com/activities/
[88] https://opencorporates.com/companies?jurisdiction_code=&q=allseas&utf8=%E2%9C%93
[89] Allseas Fabrication Holding BV Delft; Allseas Group SA Châtel-Saint-Denis
[90] https://www.arcinfo.ch/articles/monde/firme-suisse-touchee-par-une-sanction-de-trump-contre-un-gazoduc-russe-l-ue-s-oppose-a-l-ingerence-americaine-891042
[91] https://safety4sea.com/wp-content/uploads/2019/07/Mining-Watch-Canada-Deep-Sea-mining-campaign-London-mining-network-Why-the-rush-2019_07.pdf
[92] https://isa.org.jm/files/files/documents/Public%20information%20on%20contracts%20OMS.pdf
[93] https://www.marketscreener.com/quote/stock/KEPPEL-CORPORATION-LIMITE-6492087/company/
[94] 2018.12.31 Seabed Resources Development Ltd. Langstone, page 17
[95] https://www.linkedin.com/in/tsweichen/
[96] https://www.linkedin.com/in/chapi-mwango-pmp-23b8a95b/?originalSubdomain=jm
[97] https://safety4sea.com/wp-content/uploads/2019/07/Mining-Watch-Canada-Deep-Sea-mining-campaign-London-mining-network-Why-the-rush-2019_07.pdf, page 11; https://financialpost.com/commodities/mining/deepgreen-strikes-deal-with-glencore-for-undersea-mining-metals ; https://www.reuters.com/article/china-mining-cobalt-idUSL8N1XN6JD ; https://www.proactiveinvestors.co.uk/companies/news/253732/fairfax-market-report-including-glencore-ormonde-mining-and-nautilus-minerals–5089.html ; http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/2221
[98] https://pmijamaica.org/2021/01/02/vice-president-finance/
[99] https://pmijamaica.org/about-us/
[100] https://www.gob.mx/sre/prensa/el-mtro-alfonso-ascencio-herrera-es-electo-a-la-comision-juridica-y-tecnica-de-la-autoridad-internacional-de-los-fondos-marinos-periodo-2017-2021
[101] http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:ToUq6oUHFkQJ:www.comra.org/en/2017-02/07/content_9321758.htm+&cd=19&hl=it&ct=clnk&gl=it&client=firefox-b-d
[102] http://www.dila-korea.org/dilakorea/gallery_view_06.html ; file:///C:/Users/Paolo/AppData/Local/Temp/Alfonso%20Ascencio%20Herrera.pdf
[103] https://isa.org.jm/files/files/documents/ISBA_26_C_L.5-2014638E.pdf
[104] https://isa.org.jm/files/files/documents/Jamaica_2.pdf
[105] Blue Minerals Jamaica Ltd. Kingston
[106] Jantzen & Spinelli Capital Power GmbH Winterthur; Jantzen & Spinelli Capital Power Ltd. London; Blue Minerals Jamaica Ltd. Kingston
[107] Greenpeace Lodge Spinelli, pages 10-13; WEF Lodge Spinelli, page 9; https://www.greenpeace.de/sites/www.greenpeace.de/files/publications/deep-trouble-report-greenpeace.pdf, page 10
[108] Blue Minerals Switzerland SA Châtel-St-Denis

 

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CAT: Inquinamento, Materie prime

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