La coltura dei vestiti

15 Giugno 2022

No, non c’è nessun refuso nel titolo. Stiamo effettivamente scrivendo di vestiti che vengono coltivati come fossero piante. È possibile? Assolutamente si, e non dobbiamo stupircene. L’industria dei biomateriali è destinata a diventare sempre più importante in futuro ed è già un grande business, come confermano i professionisti di Pangaia.

(Breve) storia di un brand

Pangaia, o meglio PANGAIA secondo il font originale, scritto tutto in maiuscolo, è nata soltanto nel 2018 ma si è già messa in luce in tutto il mondo. L’idea di base da cui è partita non è troppo desueta in tempi come i nostri nei quali la sensibilità ambientale è molto elevata – almeno a parole: Pangaia produce e vende abbigliamento derivante da pratiche ecologiche a bassissimo impatto ambientale.

Nessuno però aveva mai messo a sistema produttivo la sostituzione delle fibre tessili con materiali sostenibili e amici dell’ambiente e degli animali come i biotessuti. Pangaia ha invece assunto fin da subito biologi, ingegneri e scienziati specializzati nelle fibre, reclutando alunni del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Parallelamente a ciò, ed è forse questa la chiave del successo, l’azienda ha trovato gli investitori giusti. Tra i primi a credere nel progetto ci sono stati gli esperti di Net-a-Porter.

Pangaia è nato all’interno di Future Tech Lab, un incubatore di start-up specializzato nelle innovazioni tecnologiche responsabili. Il ragionamento dei fondatori è stato quello che l’industria della moda fosse stagnante, lontanissima dalla sostenibilità.

“Perché Google e Apple hanno squadre di ricerca e sviluppo che assemblano i loro stessi software, assicurandosi un grande vantaggio competitivo, mentre nessuna casa di moda sviluppa i propri materiali?”

Si è domandata Amanda Parkes, chief innovation officer di Pangaia.

“La tecnologia ha fatto passi da gigante, il tessile non è invece avanzato neppure di un centimetro. L’ultima grande frontiera del settore è stato il poliestere o lo Spandex, negli anni sessanta. Ci siamo resi conto che c’erano spazio e opportunità per creare nuove cose.”

Ha affermato la scienziata e imprenditrice a Courier.

Pangaia oggi e domani

Non pensiamo che nessuno nella moda stesse pensando all’introduzione dei materiali. Sbaglieremmo di grosso. Sono molte le aziende del settore che stanno puntando su questo tipo di innovazione ma nessuna è in fase più avanzata di quella della ricerca in laboratorio. Il vantaggio di Pangaia è che è riuscita, in pochissimo tempo, a togliere i biomateriali dai vetrini dei microscopi e spostarli in linea di produzione. Non paga, l’azienda li ha collocati subito dopo sugli scaffali dei negozi più attenti al tema e all’interno degli store online.

Pangaia ha fuso la disponibilità di materiali sostenibili ed ecologici con un design gradevole, giovanile e comodo da indossare. Niente male per qualcuno che opera all’interno di un settore che è estremamente nocivo per l’ambiente, tanto da produrre una percentuale compresa tra il 4 e il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica ogni anno. In sostanza, la moda inquina più di quanto facciano i trasporti via mare e i voli internazionali. Messi assieme.

La vision aziendale non vede sostenibilità e vendite come due concetti estranei e incompatibili tra loro. Pangaia ha messo sul mercato nel 2019 una collezione di magliette prodotte grazie ad alghe marine ed è diventata celebre grazie a tute sportive in cotone organico e riciclato, lanciate l’anno successivo. Secondo i rilievi della società The Business of Fashion, nel 2020 Pangaia ha guadagnato 75 milioni di dollari.

Tra gli altri materiali prodotti dall’azienda ricordiamo FLWRDWN, composto di fiori selvatici perfettamente in grado di sostituire vari composti sintetici e FRUTFIBER, ottenuto da bambù, foglie di banana e ananas, che non è cotone ma lo ricorda moltissimo. Pangaia produce abiti colorati, vivaci, sgargianti e comodi, capace di accontentare il cliente più e meno giovane. Ma quel che è più importante, è che lo fa impattando pochissimo sull’ambiente.

TAG:
CAT: Inquinamento, Moda & Design

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