Il piano bee che salva l’agricoltura e l’alimentazione
Secondo la FAO mangiare insetti diventerà presto una delle nuove frontiere della cultura culinaria in tutto il mondo e contribuirà alla salvaguardia della sicurezza alimentare, dell’ambiente e dell’economia. L’entomofagia è già una pratica diffusa in numerosi Paesi, specialmente in alcune zone dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina ed è parte dell’alimentazione di circa 2 miliardi di persone.
Insomma, nutrire il pianeta con gli insetti è possibile, ma il primo passo da compiere forse non è mangiarli.
Durante il secolo scorso l’agricoltura ha visto un utilizzo maggiore e sempre più diffuso di fertilizzanti di tipo chimico e di sostanze tossiche, l’espansione delle monocolture, la conversione di interi ecosistemi allo stato naturale in aree agricole. I primi ad aver risentito di questi cambiamenti sono stati gli insetti impollinatori, di cui le api sono la parte più consistente, con grosse ripercussioni sull’agricoltura. Secondo la FAO si occupano dell’impollinazione di 71 delle circa 100 colture che costituiscono il 90% dei prodotti alimentari in tutto il mondo.
Come spiega il rapporto di Greenpeace Bees in Decline: a review of factors that put pollinators and agriculture in Europe at risk, l’84% delle 264 specie coltivate in Europa dipende dall’impollinazione degli insetti. A quella delle api in particolare si deve l’esistenza di 4.000 varietà di piante: oltre a moltissima frutta e verdura, anche il foraggio per il bestiame destinato alla produzione di carne e di prodotti lattiero-caseari.
Secondo lo studio Spatial and Temporal Trends of Global Pollination Benefit pubblicato nel 2012, i guadagni a livello mondiale legati all’impollinazione sarebbero di 265 miliardi di euro e in alcune aree dell’Europa, nel Nord America e dell’Asia orientale l’impollinazione può arrivare a valere fino a 1.200 euro per ettaro.
Le api sono però in netta diminuzione in tutto il mondo, soprattutto in Europa e Stati Uniti — come si legge nel documento Global pollinator declines: trends, impacts and drivers. Trends in Ecology & Evolution — dovuta spesso al Colony Collapse Disorder, una sindrome caratterizzata dalla sparizione delle api operaie. In Europa negli ultimi anni la moria è stata in media di circa il 20%, con picchi in alcuni Paesi del 53%.
Secondo la ricerca Global warming and the disruption of plant–pollinator interactions. Ecology Letters pubblicata nel 2007, tra il 17% e il 50% delle specie di insetti impollinatori avrà nel prossimo futuro seri problemi a nutrirsi. Di conseguenza molte specie vegetali, alcune delle quali parte integrante dell’alimentazione umana, potrebbero rischiare l’estinzione.
I motivi di questo fenomeno sono vari e alcuni sconosciuti: i più rilevanti si possono ricondurre a malattie, parassiti e pratiche agricole di tipo industriale che, quando non risultano mortali, aumentano il rischio per questi insetti di contrarre malattie. L’aumento delle temperature, il cambiamento dell’intensità e della regolarità delle precipitazioni – tutti effetti del cambiamento climatico – sono anch’essi cause dell’aumento della mortalità o dell’alterazione delle abitudini naturali degli insetti impollinatori: in Polonia, ad esempio, le api hanno anticipato la data del risveglio dopo l’inverno.
La presenza, invece, di pesticidi sulle piante causa negli insetti effetti fisiologici (come malformazioni), difficoltà nel procacciarsi il cibo, disturbi nell’alimentazione, interferenze nei processi di apprendimento — il riconoscimento dei fiori o dell’arnia, l’orientamento.
Greenpeace ha individuato sette insetticidi diffusi in tutta Europa che dovrebbero essere limitati e non dispersi nell’ambiente per proteggere le specie di insetti impollinatori: imidacloprid, fipronil, thiamethoxam, clothianidin, clorpirifos, cipermetrina, deltametrina.
Secondo UNEP (United Nations Environment Programme) le sostanze chimiche tossiche o potenzialmente tali utilizzate nel mondo sarebbero all’incirca 150.000.
I medici di ISDE Italia hanno prodotto pochi giorni fa – subito dopo la pubblicazione della ricerca dello IARC che ha definito il glifosato “probabilmente cancerogeno” – un paper che ben evidenzia quali siano i rischi che l’uomo corre a causa dell’esposizione ai pesticidi. Secondo gli studiosi, la quantità rilasciata nell’ambiente ogni anno ammonterebbe a circa 2,5 milioni di tonnellate, soprattutto per usi agricoli, di cui il 40% erbicidi, molto più utilizzati di fungicidi e insetticidi.
In Europa sarebbe l’Italia il Paese ad utilizzare più diserbanti: sia in termini assoluti (61.890 tonnellate), sia in termini di consumo per quantità di superficie coltivata (5,6 kg per ettaro di terreno). Nel 2006 in Italia sono state utilizzate 81.450 tonnellate di pesticidi, contro le 71.612 della Francia, le 31.819 della Germania e le 21.151 del Regno Unito. Il Trentino Alto Adige è la regione a detenere il primato, 42,33 Kg per ettaro, la regione a consumarne meno è il Molise, con 1,07Kg/ha.
L’esposizione a queste sostanze è stata definita dai medici di ISDE Italia una “minaccia per la salute pubblica”.
Il rapporto The bees’ burden – An analysis of pesticide residues in comb pollen (beebread) and trapped pollen from honey bees (Apis mellifera) in 12 european countries evidenzia le concentrazioni di pesticidi presenti nel polline delle api bottinatrici, cioè quelle che raccolgono il polline e il nettare sui fiori. I risultati si basano su un campione di 25 pani d’api rimossi in 7 Paesi europei nel 2012 e 107 campioni di polline raccolto dalle api durante la stagione di foraggiamento nel 2013 raccolti in 12 Paesi europei, e rilevano frequentemente la presenza di prodotti fitosanitari, specialmente fungicidi.
Nei campioni prelevati all’entrata degli alveari sono stati rilevati 53 pesticidi, in 17 dei 25 campioni di polline presente nei favi (cioè il pane d’api) sono stati rilevati almeno uno dei 17 pesticidi presi in considerazione (9 insetticidi e 8 fungicidi).
In un campione prelevato in Italia sono stati trovati 17 pesticidi di cui 3 insetticidi e 14 fungicidi.
Secondo Greenpeace tecniche e pratiche agricole ecologiche hanno ricevuto dai governi meno incentivi (anche economici) rispetto alle tecniche convenzionali; per la sopravvivenza delle api è necessaria la conservazione degli habitat naturali e semi-naturali delle aree agricole e l’aumento della biodiversità nei campi. Le pratiche odierne prevedono il contrario.
Secondo il rapporto Plan bee – living without pesticides. Moving towards ecological farming un’agricoltura rispettosa dell’ambiente è possibile e potrebbe essere l’unica soluzione non solo alla perdita di biodiversità, alla contaminazione del suolo, dell’aria e dell’acqua con tutte le conseguenze che questo implica, ma anche alla diminuzione della fertilità del suolo e all’aumento continuo della dipendenza degli agricoltori dalle società produttrici di pesticidi, fertilizzanti e sementi.
Durante Expo 2015, i vari Paesi tenteranno di “dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri”. Ripartire dalla tutela e dalla promozione di un’agricoltura biologica è quindi necessario: i benefici legati all’utilizzo di prodotti chimici sono da una parte la maggiore produttività e dall’altra la maggiore redditività. Ma i costi di un’alimentazione a base di pesticidi sono l’aumento nella popolazione dei casi di patologie neurodegenerative, patologie cardiovascolari, obesità, disordini riproduttivi, malformazioni congenite, difetti di sviluppo, malattie endocrine, patologie renali e cancro. Un’alimentazione lontana dall’essere sana e sicura.
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